Composta al momento dalla bellezza di ben tre stagioni: Love Death & Robots continua a essere una delle produzioni di punta per la sua casa di produzione, ovvero Netflix. Ideata da Joshua Donen, David Fincher, Jennifer Miller e Tim Miller, la serie animata si incentra su diversi generi (tra cui la fantascienza, l’horror e la satira) e ha una struttura antologica: ogni episodio racconta una storia diversa, proprio come differenti sono i team creativi dietro ciascun capitolo. Una formula vincente, se vi si pensa, dal momento che viene data voce a più artisti, stili e modi di esprimersi, permettendo di raggiungere un gradimento del pubblico vasto ed eterogeneo. Il filo conduttore, che collega ogni frammento del progetto, è il senso di critica verso la modernità e le tante conseguenze dell’urbanizzazione, presentate come negative in una società all’avanguardia, quanto dispotica e dissociata dai veri valori (la maggior parte delle volte, se non sempre). Tuttavia, alcuni episodi più di altri hanno mostrato la loro superiorità, sia per le tecniche artistiche utilizzate, che per tutta una serie di scelte scenografiche, narrative e recitative.
Tra questi, ne troviamo cinque in particolare.
5) Sepolti in sale a volta
Cominciamo con l’ottavo episodio della terza stagione, che sbalordisce per la trama intrigante e le visuali mozzafiato, degne di essere definite come lovecraftiane: pare di essere dinanzi a un vero e proprio videogioco. La regia viene affidata a Jerome Chen e la sceneggiatura ad Alan Baxter. La storia si pone tra una guerra moderna e antiche divinità, dove una squadra speciale in missione per liberare alcuni ostaggi si trova intrappolata in una prigione con un antico spirito maligno.
La bellezza di quest’episodio è racchiusa nella scelta delle giuste ombreggiature e inquadrature, che regalano allo spettatore un senso di angustia e curiosità nei confronti di quello che i soldati stanno per andare a scoprire, fra le pareti rocciose e spigolose del luogo nel quale si trovano. Tra loro abbiamo il capitano Coulthard (Joe Manganiello), Harper (Christian Serratos) e Spencer (Jai Courtney), che saranno anche gli ultimi tre ad arrivare alla tappa finale, seppur solo Coulthard e Harper giungeranno al nucleo dell’enigmatica grotta e scopriranno cosa si cela dietro le ambiguità riscontrate fino a quel momento: un essere arcaico e dalle colossali dimensioni, che chiede di essere liberato attraverso una manipolazione mentale. La sua liberazione coinciderebbe alla fine del mondo, visti gli intenti che lascia intravedere ai due onorevoli soldati. L’uomo viene tentato di spezzare le catene, ma verrà prima ucciso dalla ragazza, l’unica sopravvissuta del gruppo, che però per non cedere alle richieste del demone, arriverà a cavarsi gli occhi e recidersi le orecchie: un’ultima inquadratura sanguinolenta e grottesca, che chiude l’episodio esteticamente più soddisfacente di Love Death & Robots.
4) Buona caccia
Ci avviciniamo alla medaglia di bronzo, e prima di entrare nelle dinamiche del podio parliamo dell’ottavo episodio della prima stagione. Diretto da Oliver Thomas, la sceneggiatura non originale è di Philip Gelatt e si rifà all’opera di Ken Liu. Nel 2019, il loro lavoro è stato riconosciuto con una premiazione importante, ovvero il Primetime Emmy Award alla Miglior realizzazione individuale nell’animazione. Sarebbe stato impossibile non coronare questo capolavoro bidimensionale, che trasporta l’individuo in una dimensione dai sapori esotici e orientali, rilegati alla tradizione scenografica e alle consuetudini personali del luogo.
L’episodio è ambientato nella Cina feudale, dove un uomo e il proprio figlio danno la caccia a una creatura magica in grado di cambiare sembianze a proprio piacimento. Anni dopo il ragazzo, Liang (Matt Yang King), con grandi doti meccaniche, si reca in città per diventare creatore di automi. Qui il suo destino si intreccia di nuovo a Yan (Elaine Tan), la figlia della creatura mistica uccisa dal padre tempo addietro e con il quale era rimasto in buoni rapporti. Ella ha perduto le proprie doti magiche, a causa dell’urbanizzazione e la dissolvenza della natura, oppressa dall’accrescere delle edilizie urbane. La ragazza ha ceduto alla sua vera essenza per seguire lo sviluppo, lo stesso che l’ha portata a vendersi per i più facoltosi uomini della città. Proprio uno di questi la renderà un suo oggetto del piacere, rendendola un essere meccanico, che poi sarà affinato da Liang al fine di trasformarla in una specie di vendicatrice nei confronti delle creature più umili e indifese. Se in molti episodi di Love Death & Robots lo spettatore viene ferito da un pugno nello stomaco e rimane affranto dinanzi alla conclusione delle storie, qui abbiamo una sorta di evento che chiude alla perfezione il cerchio, per lasciare che se ne apra un altro, meno tortuoso e doloroso. Yan ha pagato il prezzo dello sviluppo (non solo scientifico, ma anche sociale), quasi come una martire, per divenire la giustiziera dell’occasione e non lasciare che qualcun altro finisca nelle medesime condizioni.
3) La testimone
La medaglia di bronzo, seppur possa sembrare banale, va al più celebre degli episodi: il terzo della prima stagione. Vincitore di due Primetime Emmy Awards nel 2019, quello al Miglior corto animato e alla Miglior realizzazione individuale nell’animazione. Scritto e diretto da Alberto Mielgo, l’episodio parla di una giovane ragazza (Emily O’Brien), che si risveglia in una camera d’albergo, ricordando di aver assistito ad un omicidio. Resasi conto di essere inseguita dall’assassino (Ben Sullivan), comincia una fuga disperata per le strade di una città surreale.
Quello che ha colpito dell’episodio, sia tra gli spettatori che nella critica, è stata proprio la sua surreale scenografia, unita a uno stile artistico confusionario, che però per certi versi alle volte si fa anche troppo nitido, sfociando nella lussuria e nella malizia. Lo spettatore si trova a dover analizzare un assassinio di cui non si hanno i moventi o anche solo un background di base: egli, insieme alla ragazza e l’uomo, deve correre per le vie vuote e sottosopra di una città abbandonata a se stessa. Una fuga che porta entrambi a spogliarsi di tutto e trascina verso un finale sconvolgente, nel quale la ragazza uccide l’uomo e si ritrova nei suoi panni, con le mani sporche di sangue e la vittima che l’osserva dalla finestra del palazzo opposto. Un loop stravagante e che è destinato a ripetersi. Ovviamente, alla base l’artista vuole mostrare, oltre alle sue eccellenti abilità tecniche, l’impossibilità di trovare un confronto: una mancata comprensione che porta a sangue e terrore. Un’assente volontà di confrontarsi tra esseri umani che non avrà mai fine, un destino scritto e incancellabile.
2) Jibaro
La medaglia d’argento se l’aggiudica il nono episodio della terza stagione, ovvero l’ultimo finora prodotto di Love Death & Robots. Sempre diretto e scritto da Alberto Mielgo, ha sorpreso il pubblico e la critica, rialzando l’asticella qualitativa del progetto: aspramente criticato per la sua seconda stagione, da molti ritenuta caricaturale e fin troppo commerciale. Tra le tante cose, il seguente episodio ha ricevuto due Primetime Emmy Awards nel 2022, quello al Miglior corto animato e alla Miglior realizzazione individuale nell’animazione; affermando, pertanto, il curriculum e le capacità tecniche dell’artista.
La trama narra dell’unione di cavaliere sordo e una mitologica sirena; un’attrazione fatale intrisa di sangue, morte e tesori rubati. Jibaro (Girvan ‘Swirv’ Bramble) è niente di meno che una creatura magica, dalla voce ammaliante e l’aspetto attraente: una versione alternativa, più grottesca e impreziosita della semplice sirena, che proviene dalla cultura latina dell’America meridionale. Non solo le visuali sono strabilianti e inerenti allo stile già mostrato dall’artista, seppur maturato e accresciuto, ma quello che ha toccato il cuore degli spettatori è la straziante tematica affrontata. Una prima chiave di lettura è quella della decolonizzazione nei confronti delle tribù indigene in America, dilaniate dai colonizzatori e derubate di ogni loro ricchezza, per poi essere lasciate ad affogare nella loro stessa disperazione. Mentre una seconda chiave di lettura è quella di un amore tossico, una relazione dolorosa e che porta entrambi i membri a ferirsi reciprocamente: un tira e molla, un chiamarsi nel momento del bisogno e odiarsi nei restanti, che produce astio, rancore e infinito dolore. Una pena sofferta e che rimane impressa nel cuore dello spettatore grazie al grido finale della creatura e la sua mal riuscita danza, frutto della persa innocenza e integrità.
1) Zima Blu
Il primo posto se lo aggiudica il quattordicesimo episodio della prima stagione. Diretto da Robert Valley, la sceneggiatura è stata scritta a quattro mani, da Philip Gelatt e Alastair Reynolds, ovvero lo scrittore della storia originale e di un altro episodio della medesima stagione (Oltre Aquila). La narrazione vede come protagonista l’enigmatico Zima Blue (Kevin Michael Richardson), un artista ormai ritirato a vita privata lontano dal pubblico, che durante l’incontro con la giornalista Claire (Emma Thornett) ripercorre la propria vita misteriosa e l’ascesa alla fama, per poi svelare la sua opera finale.
Quello che ha colpito il pubblico e la critica è stata la sua immensa profondità filosofica, che si fonde all’arte e agli enigmi esistenziali propri dell’essere umano. Zima Blue si pone un obiettivo, quello di utilizzare la propria arte come strumento di ricerca per le sue origini e, attraverso diverse fasi di vita (coincidenti a quelle artistiche), riesce a raggiungere la tanto desiderata verità. Cominciando dai ritratti fisionomici, per poi passare alla rappresentazione della natura e del cosmo ornato dai suoi infiniti organismi, scopre di essere lui stesso l’opera d’arte e pertanto il mezzo da cui il cerchio ha avuto inizio. Nell’ultima scena dell’episodio, egli si spoglia di quella ricerca e ritorna alle origini attraverso una sorta di dinamica installazione, la vera e propria opera d’arte contemporanea. Questa sua vicinanza a una forma d’arte attuale e spesso controversa, ha attirato l’attenzione e l’ammirazione di tutti, essendo che nessun altro prodotto si era mai spinto tanto oltre e forse mai lo farà.