Ogni generazione ha la sua serie per ragazzi, che si tratti di genere horror, drammatico, comico e così via. Di recente vi abbiamo parlato di una novità horror pensata per i giovani d’oggi (in questo articolo). Qui però vogliamo richiamare alla memoria dei nostalgici degli anni ’90 un cult che ha appassionato tanti giovani di quegli anni, Piccoli Brividi, e metterlo in relazione con una serie che ha tutte le carte in regola per raccogliere l’eredità lasciata dagli episodi tratti dai romanzi di R. L. Stine. Parliamo di Love, Death & Robots (LDR).
Love, Death & Robots è una serie animata antologica creata per Netflix da Tim Miller. La prima stagione è stata rilasciata il 15 marzo scorso, ma già in estate è stato annunciato il rinnovo. I 18 episodi della prima stagione raccontano 18 storie che intrecciano comedy, horror, fantasy e fantascienza.
Miller, nel presentare la serie, ha dichiarato che si è ispirato alla sua adolescenza, ovvero alla passione per l’animazione e le storie avvincenti. Lo stereotipo dei ragazzi americani tendenti al nerdismo tra gli anni ’80 e ’90 prevede film fino a tarda notte nel weekend, fumetti, libri e riviste di fantascienza. Miller ha orgogliosamente rivendicato questa sua formazione, traducendola in una piccola perla seriale.
Già prima di Love, Death & Robots, Netflix aveva proposto diverse serie animate controverse (spingendosi anche oltre).
Quello che però caratterizza LDR è un particolare collegamento con gli anni ’90. Miller, infatti, ha detto di aver trovato nello stile di quell’epoca l’ispirazione per la sua creatura, ma a nostro avviso il legame speciale che lo lega a quegli anni è proprio dovuto a Piccoli Brividi.
Di recente il fortunato franchise tratto dai racconti di R. L. Stine ha ripreso vita al cinema con due pellicole, rispettivamente nel 2015 e nel 2018. Ma la peculiarità della serie di storie risiede tutta nei 74 episodi delle 4 stagioni andate in onda in America tra il 1995 e il 1998 sulla rete Fox Kids, e in Italia tra il 1996 e il 1999 su Italia 1.
Le puntate mettevano in scena i racconti di Stine, i quali avevano per protagonisti ragazzi o bambini alle prese con avventure soprannaturali o personaggi irreali, non sempre con un lieto fine. In apparenza, quindi, ad accomunare le due serie sembra essere solo il genere e, a dirla tutta, neanche al 100%, visto che Love, Death & Robots offre anche episodi più leggeri e non esclusivamente horror.
In realtà, l’elemento che emerge in modo evidente e che collega le due serie è il fatto che l’originale Netflix, proprio come Piccoli Brividi, ricorre alle tecniche della brevità della storia, i colpi di scena che stravolgono la distopia in catastrofismo nei secondi finali di episodio, e la fantasia. Questi sono tutti aspetti che hanno caratterizzato Piccoli Brividi e che ritroviamo in Love, Death & Robots.
La serie di Miller, infatti, presenta episodi dalla durata massima di 18 minuti. Lo stravolgimento nell’epilogo, caratteristica per eccellenza della serie di Stine, si coglie immediatamente sin da Il vantaggio di Sonnie.
In questo episodio vediamo un gruppo di tre persone, composto da un uomo e due donne, partecipare a combattimenti clandestini in cui bestie addestrate sono messe in collegamento mentale con il pilota e si scontrano in un’arena. Un ricco allibratore propone un’ingente somma al gruppo per perdere un incontro truccato, ma il gruppo rifiuta. Durante il match, Sonnie ha la meglio contro l’avversario, nonostante uno stratagemma ai limiti del regolamento, e ne decapita la bestia da combattimento.
In seguito all’incontro, la bella assistente dell’allibratore seduce la “pilota” del mostro con la scusa dell’ammirazione, ma il tutto si rivela un doppio gioco per ucciderla. Con la protagonista in fin di vita con il cranio spaccato a terra, si scopre che in realtà la mente di lei è stata trasferita nel mostro e la puntata si conclude con il mostro stesso che uccide la coppia.
Basta la descrizione della trama di questo primo episodio per cogliere l’immediato collegamento con i racconti di Stine. Lì anche vi era questo stravolgimento nel finale che lasciava il giovane pubblico a bocca aperta.
Prendiamo ad esempio gli episodi 12 e 13 della prima stagione di Piccoli Brividi, tratti dal racconto Il mistero dello scienziato pazzo.
Il dottor Brewer si comporta stranamente, passando praticamente tutto il tempo nella cantina di casa sua, lavorando sui suoi esperimenti con le piante. Ha avvertito i suoi figli, Margaret e Casey, di non entrarci ma i due sgattaiolano dentro e danno un’occhiata alle enormi piante. Cominciano a preoccuparsi ancora di più quando Margaret scopre suo padre mangiare concime, dormire su uno strato di terriccio e lavarsi una ferita a una mano dalla quale cola del sangue verde.
Quando gli cade il berretto rivelando delle foglie che gli crescono dalla testa, il dottor Brewer spiega che sta lavorando con l’ingegneria genetica, per creare un ibrido pianta/animale. Infine Margaret e Casey ritornano nella cantina e trovano un altro dottor Brewer legato e imbavagliato nello sgabuzzino. Questo porta a una resa dei conti finale, nella quale i fratelli e la madre scoprono la verità: il botanico aveva cominciato per sbaglio a creare piante in parte umane, e il “dottor Brewer” con il quale loro avevano vissuto per un certo tempo è in realtà un clone quasi perfetto di quello vero.
Il clone, insieme alla maggior parte delle piante, è distrutto dal vero dottor Brewer con un’ascia, mentre alcune delle piante normali sono spostate in giardino. Nel finale dell’episodio, però, una di queste parla a Margaret sostenendo di essere il suo vero padre.
Un’altra storia mozzafiato rapportata agli occhi di un adolescente di allora. Ma, soprattutto, tanta tanta fantasia, che è poi la terza caratteristica che accomuna Love Death & Robots a Piccoli Brividi.
Qui vi abbiamo voluto dare un assaggio di quella che è una serie di animazione tra le più quotate del momento, ma anche offrirvi un tuffo nel passato, magari suscitando la voglia di andare a (ri)vedere una serie che sicuramente ha segnato gli adolescenti degli anni ’90.