Non è un capolavoro, ma sottovalutarla fino a farla cadere nell’anonimato è un peccato capitale. Lucifer, in onda sulla Fox dal 2016, è un crime dramedy coraggioso e intrigante che ha deluso le aspettative degli appassionati del fumetto dal quale trae ispirazione (Sandman, di Neil Gaiman), ma che ha trovato nel tempo un’identità forte e riconoscibile. I salti mortali necessari per inglobarla in un genere sono di per sé uno dei motivi principali per darle è un’occasione: Lucifer è di base un ordinario crime, ma le sfumature da comedy che sfora nel drama, unite al consolidamento progressivo di una trama orizzontale che ha dato ampio respiro alla crescita dei personaggi, ne stanno facendo un’opera unica che non scade mai nel già visto. La terza stagione, attualmente in onda, lo sta dimostrando per l’ennesima volta, ma il pubblico italiano, penalizzato anche da una programmazione che la mette ai margini del panorama televisivo nazionale, continua a non tenerla granché in considerazione.
Le scusanti, tuttavia, si fermano qui: qualche settimana fa, infatti, Lucifer è entrata a far parte del nostro catalogo di Netflix (per ora è presente solo la prima stagione), e ci sarà finalmente l’occasione per recuperarla e darle lo spazio che merita. L’invito parte da un presupposto fondamentale: Lucifer, massacrata dalla critica fin dai primi episodi, è tempestata di pregiudizi. Specie dagli amanti del fumetto, che si aspettavano un prodotto molto più introspettivo e di nicchia. Una sottolineatura necessaria e veritiera che non farà mai di Lucifer un capolavoro, ma non le impedisce di essere un prodotto dal taglio leggero dotato di grande profondità e maturità. Il tema, d’altronde, è piuttosto complesso e la sintesi offerta per il grande pubblico è soddisfacente. Il rischio di fare di un personaggio come Satana una macchietta monotematica era altissimo, così come di trasformarlo in una tiepida riedizione dell’Hank Moody di Californication (il confronto non è casuale: le due serie condividono lo stesso autore, Tom Kapinos).
Perché l’impresa è riuscita? I motivi sono diversi. Innanzitutto è un atto di fede. Lucifer ha affrontato più di un ostacolo per affermarsi e la prima stagione, seppur gradevole, è stata piuttosto balbettante. La centralità del genere crime non trovava sfogo negli intrecci verticali, spesso deludenti, e la serie sembrava essere un’accozzaglia di elementi narrativi mal mixati e inconcludenti. Dalla seconda, al contrario, Lucifer ha dato maggior spazio alla trama orizzontale (soprattutto grazie all’ingresso in scena della madre del protagonista, “moglie” di Dio e, nella terza, del più grande “peccatore” della Storia), relegando i casi della settimana sullo sfondo come pretesto per raccontare una storia più importante dalle mille voci. Lucifer è diventata nel tempo un’opera corale che non risente più del peso dell’ingombrante protagonista: la bella Chloe è la spalla ideale per far emergere le debolezze di un uomo fragile, e altrettanto fa la sua terapista, Linda. Amenadiel è un angelo che scopre a sua volta i propri limiti e rivaluta il senso profondo dell’essere umani, mentre Ella e Charlotte ci permettono di riflettere al meglio sul rapporto con la fede.
Lucifer è una serie che lavora con delicatezza sull’umanizzazione delle divinità, fino a farci dimenticare che siano tali. Molto più di quanto faccia, per esempio, la splendida (e diversissima) American Gods (anch’essa tratta da un’opera di Neil Gaiman). Lo fa con l’intimità dei personaggi che, nelle loro assurdità, potremmo incontrare davvero ovunque, e con i quali potremmo relazionarci con una buona dose di naturalezza. Il concetto di libero arbitrio, inoltre, più volte rimarcato, ci permette di ragionare sul ruolo degli dei all’interno delle nostre vite, fino ad arrivare ad una semplice conclusione: Lucifero è l’incarnazione del Male? Oppure non è altro che l’esecutore dei nostri desideri più profondi? La serie, in fondo, ruota intorno a questo interrogativo, e la risposta non è mai celata. Insomma, i temi cardine non mancano e vi assicuriamo che ogni ora scarsa investita nella visione è molto ben spesa. Un tempo da vivere con leggerezza (senza essere scanzonati) e tante risate (senza rinunciare alle lacrime). Una fuga dalla realtà, dentro un mondo tanto vicino quanto lontano. Un patto col Diavolo, molto simile a noi. E con cui entrare in empatia, anche in Italia.
Antonio Casu
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