L’Uomo Tigre compie 50 anni.
Mezzo secolo. Cinque decadi. Dieci lustri. Cinquant’anni. Seicento mesi. Duemilaequattrocento settimane. Sedicimilaottocento giorni. Quattrocentotremilaeduecento ore.
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Potremmo anche andare avanti a segmentare il tempo fino a che gli istanti si facciano tanto piccoli da non poter essere più pensabili e solo lì ci ritroveremmo prossimi, davvero, a quel mondo dorato e lontano che è la nostra infanzia.
Qualche giorno fa L’Uomo Tigre ha compiuto 50 anni. L’Uomo Tigre è solo un espediente per ritornare a quell’Itaca mai dimenticata che sono stati gli anni in cui i cartoni animati ci facevano sognare. L’Uomo Tigre è un perfetto emblema di quell’epicità televisiva forse perduta.
Era il 2 ottobre del 1969 e in terra nipponica andava in onda il primo episodio del wrestler con la maschera felina. In Italia arriva dopo, molto dopo: siamo già nel 1982, sono cambiate tante cose nel mondo. Si parla forse proprio di un altro mondo, eppure L’Uomo Tigre colpisce ancora e ancora fa sognare i bambini, oltre l’Oceano in cui è nato. E così va avanti, conquista molte generazioni. La storia di Naoto Date (Tiger Mask), svestita delle sue peculiarità, non è poi così originale: il riscatto di un orfano che dalla vita ha perso tanto eppure è pronto a dare al mondo ancora di più non è di certo nuova.

E allora come ha fatto Ikki Kajiwara a creare un personaggio così mastodontico e capace di tenerci incollati alla televisione?
Sono stati gli scontri sul ring? Il suo abbandonare la Tana delle Tigri per poter devolvere gli incassi dei suoi match all’orfanotrofio? L’evoluzione del personaggio? O quel Giappone devastato dalla Seconda Guerra Mondiale e dalle bombe atomiche? Le indimenticabili animazioni di Keiichiro Kimura? La sigla che ancora ci sorprendiamo a canticchiare?
Non ci è dato saperlo. Non scopriremo mai qual è l’ingrediente segreto di questi prodotti, quello in grado di creare quell’alone di leggenda, quell’epica fanciullesca che ci ha formato e cresciuto e che appartiene ai cartoni giapponesi che hanno regalato un immaginario quasi mitologico ad almeno tre generazioni.
La nostalgia che proviamo per questi cinquantanni è davvero quel “dolce ritornare” in un luogo che è tanto personale quanto condiviso. La verità è che abbiamo sempre bisogno di eroi, ma nessun eroe sarà mai per noi quello che sono stati quelli della nostra infanzia. E L’Uomo Tigre è lì sul podio della memoria.