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L’Uomo Tigre – Il riscatto di un uomo, il riscatto di una nazione

Uomo Tigre
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Quale cartone animato a tema sportivo negli anni ’80, insieme a Holly e Benji e Mila e Shiro, ha tenuto incollati milioni di bambini, emozionandoli e appassionandoli ad una disciplina, il wrestling, che da lì a poco sarebbe diventata famosissima anche tra noi in Italia?

Parliamo ovviamente de L’Uomo Tigre, cartone animato giapponese trasmesso negli anni ’80 nelle televisioni italiane, ma che nella terra del Sol Levante arrivò a cavallo tra i ’60 e ‘70.

L’Uomo Tigre era noto per l’efferatezza degli incontri in cui si vedevano sedie spezzate sulla schiena, sangue sparso a litri e sconcertanti scorrettezze attuate da chi avrebbe dovuto sconfiggere il protagonista del cartone animato.

Ma dietro questa trama L’Uomo Tigre è il primo vero esempio di narrativa impegnata all’interno del contesto giapponese nel secondo dopoguerra.

Una narrativa impegnata che si nota solo se si scava nel profondo della storia dell’uomo che “lotta contro il male” e che “col nemico non ha pietà”.

L’Uomo Tigre narra le gesta di Naoto Date, bambino orfano dei genitori (morti durante la seconda guerra mondiale) che scappa dall’orfanotrofio per inseguire il suo sogno di “diventare come una tigre”.

Finirà tra le mani poco raccomandabili della cosiddetta “Tana delle Tigri”, associazione che cerca giovani talenti della lotta per trasformarli in scorretti atleti sul ring.

Dopo dieci anni di terribili allenamenti sulle Alpi – dove ha sede la Tana delle Tigri – e dopo essersi fatto una fama di atleta terribilmente scorretto in America, Naoto torna in Giappone con lo pseudonimo di Uomo Tigre, per conto della Tana delle Tigri.

Un giorno il “Demone Giallo”, soprannome datogli dai telecronisti per la ferocia messa contro i nemici, fa visita all’orfanotrofio in cui ha vissuto per anni, e si rende conto che i bambini che lo guardano alla televisione seguono come modello le sue orribili “imprese”.

Naoto prende quindi la clamorosa decisione di non usare più scorrettezze durante gli incontri a cui partecipa; inoltre decide di devolvere i suoi soldi a tutti gli orfanotrofi del Giappone, contravvenendo così alla regola principale di Tana delle Tigri, ossia che la metà dei ricavi di ogni incontro debba essere devoluta all’associazione stessa.

Da quel momento in poi Naoto/Uomo Tigre diventerà il bersaglio numero uno di Tana delle Tigri e, attraverso il suo maggior rappresentante, l’inquietante Mister X, cercherà in tutti i modi di eliminare fisicamente Naoto: infatti ad ogni atleta di Tana delle Tigri viene chiesto di uccidere sul ring il “traditore”.

Uomo Tigre
Uomo Tigre

Nonostante i disegni molto primitivi, L’Uomo Tigre è diventato nell’immaginario comune (non solo nipponico) uno dei più iconici personaggi dei cartoni animati giapponesi.

In lui si rivedono tutte le contraddizioni umane, ma allo stesso tempo la voglia di redenzione da un peccato da estirpare.

Naoto è ossessionato da questa sua voglia di redimersi e allontanarsi da Tana delle Tigri, così come è pervaso dalla voglia di riscatto che sente dentro di sé sin dai tempi in cui era dentro un orfanotrofio.

Uomo Tigre
Uomo Tigre

La componente di riscatto da una situazione sociale difficile è del resto il vero tema centrale de
L’Uomo Tigre.

Si pensi alle coordinate spazio-temporali in cui l’opera sia stata scritta: il Giappone post-bellico degli anni ’60, un Giappone che stava cominciando a muoversi dopo lo shock della guerra mondiale, popolato soprattutto da persone che avevano perso i propri genitori durante il conflitto (o, peggio ancora, durante le terribili bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki).

Buona parte degli stessi autori del manga e del cartone animato, tra cui i due ideatori Ikki Kajiwara e Naoki Tsuji, erano orfani di guerra.

E questo si ripercuote in maniera assoluta nel cartone.
Naoto è un orfano che cerca il riscatto per sé e per tutti quelli come lui, da uomini malvagi (come il terribile Mister X) e per farlo ha il solo aiuto di chi è come lui (i bambini dell’orfanotrofio, che lo elevano a vero e proprio eroe).
Pochi colleghi del mondo della lotta  rivedono nell’Uomo Tigre un esempio di lealtà, come Mr. Baba e Antonio Inoki (che nella realtà sono stati veri lottatori di Puroresu, ossia come viene chiamato il wrestling che viene praticato in Giappone).

L’Uomo Tigre quindi non narra solamente della voglia di riscatto di un piccolo orfano con in testa il mito della lotta,

ma parla al cuore di quel Giappone, un Giappone che è rimasto orfano, in tutti i sensi, della propria storia e dei propri figli e che cerca di “vendicarli” non chinando la testa, ma anzi combattendo “come una tigre”.