Se stai leggendo questo articolo, significa che le serie tv sono la tua vita: la puntualità dei dettagli, le sfumature delle immagini, la complessa immediatezza di quel messaggio inviato e in pochi istanti recepito, lasciando però a chi è dall’altra parte dello schermo la responsabilità di capirlo. Libidine.
Le serie sono questo ma c’è molto di più, per scoprirlo occorre analizzarle fino ai tanti piccoli atomi che le compongono, le singole scene. Il compito di questa rubrica sarà per l’appunto quello di calarsi dentro i microcosmi dell’universo più ganzo che ci sia nel tentativo di avvicinare il lettore (che non è altro che l’occupazione part-time dello spettatore) al messaggio di cui sopra: enjoy!
IL RITORNO DI LUTHER
Lo avevamo lasciato (quasi) felice, leggero, spogliato di quel cappotto che costituisce il simbolo della sua eterna dannazione e di quel fascino magnetico. Lo ritroviamo sprofondato in un parka verde molto hipster e più vicino ai gusti alternativi dell’attore (Idris Elba = migliore in circolazione?) piuttosto che a quelli del personaggio, ma non è che una fase, un momento di debolezza o forse semplicemente di pace, dipende da quale angolazione lo si vuole guardare; John non riesce a non essere Luther a lungo, ne ha bisogno, è la sua natura che glielo impone ed ecco che nel momento più difficile e critico il nostro eroe vede l’occasione perfetta per tornare : vuole farlo, forse non ne è sicuro al 100% ma sa per certo che quella è l’unica soluzione praticabile per rimettere le cose a posto.
Perfino una dura come Emma Lane (SI, è proprio chi pensate che sia) , disastrata dalla perdita del suo mentore e conscia che il suo rientro non basterà a realizzare la tremenda vendetta che ha in mente, rivolge speranzosa lo sguardo verso l’orizzonte dopo aver notato il cambio di espressione del capo Schenk, un uomo tutto d’un pezzo che dimostrerebbe un simile stupore solo se sulla scena del crimine approdasse Gesù Cristo in persona, oppure il suo esatto contrario. Era proprio ora di rimetterselo quel cappotto, tornare ad essere il poliziotto infallibile e sregolato disposto a tutto pur di risolvere un caso, che nonostante le ferite che gli sono state inferte e che sa per certo non saranno le ultime va avanti, implacabile, con quell’andatura da bullo e le mani in tasca per ricordare a sé stesso e agli altri di non prenderlo troppo sul serio. E’ impossibile non innamorarsene. Il regista è estremamente abile nell’inquadrarlo di spalle così da permettere a tutti noi di aggrapparci a lui e accompagnarlo ancora una volta oltre le porte dell’inferno dopo un breve soggiorno in un purgatorio decisamente troppo noioso per un mezzo demone come Luther. La musica spinge le lacrime fuori dagli occhi, gonfia il petto, fa battere forte il cuore : è tornato, il nostro eroe è tornato!
Il suo carisma squarcia lo spazio che attraversa lasciandosi dietro spettatori, colleghi, emozioni e speranza, si perché la cosa incredibile di un personaggio così oscuro è la sua capacità di infondere speranza e sicurezza in chi gli sta intorno, perfino un novizio della serie se ne renderebbe subito conto. La sua marcia lo riporta là, nel suo ufficio, dove ad aspettarlo c’è uno dei pochi sopravvissuti della/alla sua folle vita : Benny “Deadhead” Silver, che assomiglia a un po’ a Wolowitz tra 30 anni, ma più maledetto. La loro amicizia leale e genuina è tutta nel fugace sguardo che si scambiano, è chiaro che entrambi sapevano che quel momento sarebbe arrivato e scelgono di gustarselo senza contaminarlo con le parole, da veri uomini. Non resta che prendere la sedia, riguadagnare la posizione in trincea e fare un lungo respiro : allora Benny, che cosa abbiamo?