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Donald Draper, un uomo senza qualità

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Donald Draper (Jon Hamm) è il Direttore Creativo della Sterling Cooper – una prestigiosa agenzia pubblicitaria di Madison Avenue nella New York degli anni ’60 – dove convergono le vite di uno staff variegato delle quali la serie Mad Men ci racconta. Don, in particolare, è un uomo eclettico e di difficilissima lettura: è un individuo brillante dotato di una mente geniale, nonché padre amorevole e marito in apparenza perfetto.
Don è il protagonista (in)discusso di una realtà che funziona per contrasti: parliamo di un uomo e della sua contraddizione, di un individuo che nutre un’estrema diffidenza per il suo simile al di fuori del suo ambiente particolare. Nasconde un passato fatto di bugie e vive innumerevoli relazioni extraconiugali che lo rendono umano e spesso detestabile, per questo è una figura che sul piano etico e morale suscita discordanze; insomma, è un buono (dieci buoni motivi per amarlo li trovate qui) con difetti enormi.

Donald Draper

Il passato di Donald Draper è una nebulosa costituita da sconforto e angoscia: il crescente disorientamento provato durante la giovinezza lo spinge ad abbandonare le umili sembianze di Dick Withman, persuaso che non sia quella la strada più adeguata alla ricerca del senso della vita: nei panni di Dick, talvolta, gli sembrava di esser nato con una vocazione per cui non ci fosse meta o soddisfazione, finché la guerra in Corea gli offre l’alternativa. Don diviene l’alter ego di sé stesso: rinnega una parte di sé con cui non farà mai pace; ripudia costantemente la sua identità precedente con la speranza che, un’abiura di questa portata, possa cancellare i fatti concreti. Così facendo, in realtà, non fa che accrescere ulteriormente il timore di essere scoperto: vive per anni a furia di esattezza, aspettando l’imprevisto perché non possedeva né una direzione né nient’altro che gli potesse dare pace. Proprio questo continuo conflitto intrapersonale logora progressivamente i rapporti con i suoi cari e mina un equilibrio già precario. Donald Draper è soggiogato da un’opprimente ombra di disgusto pronta a posarsi su tutto ciò che egli fa o subisce e costantemente travolto da un vortice di solitudine al quale non sa porre fine, motivo per cui matura un acuto cinismo.

Le condizioni esterne determinano le azioni soggettive in un modo che è intellegibile soltanto a coloro che ne sono influenzati in prima persona; in balia della passione stessa compiamo azioni incomprensibili delle quali, a mente fredda, ci pentiamo. Donald Draper è l’uomo per antonomasia, che procede negli anni lasciando la sua vita vissuta alle spalle: ciò che ha già vissuto e che ancora ha da vivere formano un muro dando la sensazione di uno spazio cieco, tagliato fuori, al di là dello spazio.

Mad Men

Donald Draper appare piuttosto come la figura emblematica di una civiltà immobilizzata dall’eccessiva mercificazione e dal feticismo diffuso, che non intende rassegnarsi alla propria deriva e vi oppone la ricerca disperata di qualcosa che valga per il proprio valore intrinseco. Il possesso diviene un’illusione vitale, come valore supremo; il mondo che la pubblicità rappresenta è un mondo idilliaco, attraente e desiderabile.

Siamo dunque alle prese con una rappresentazione della realtà subordinata a esigenze di persuasione. La fatalità attraente che scaturisce dalle pubblicità è la stessa che aleggia attorno alla figura del pubblicitario. Il materialismo sembra essere il mezzo per raggiugere la felicità, uno status a cui il sedicente e seducente Don vuole tendere e raggiungere a qualsiasi costo: non è un caso che abbia scelto il mondo patinato della pubblicità per lavorare.
L’ambiente della costruzione fittizia è necessario a tutti per ironizzare sulla solitudine umana, per vendere un lusso impossibile, ma congenitamente desiderabile. Don e tutti gli altri protagonisti della serie sono mad men, perché nelle loro vite riecheggiano confusioni, miscredenze, schizofrenie identitarie che la serie racconta fornendoci i continui corti circuiti di vite accelerate, centrifugate e snaturate.

Don non è cattivo, ha molte qualità ammirevoli e in fondo è una persona con dei principi, che commette errori in continuazione: ad aprire la danza degli sbagli si colloca la guerra di Corea durante la quale, dopo aver visto morire il suo compagno e tenente Donald Draper, gli ruba l’identità; successivamente incappiamo nei tradimenti ripetuti verso la prima moglie; ultime, ma non per importanza, si posizionano le costanti bugie dette riguardo al suo passato.

Donald Draper

Donald Draper, è un uomo senza qualità, che potrebbe anche definirsi un insieme di qualità senza l’uomo. Le qualità possedute sono connesse tra loro, perciò non hanno strettamente a che fare con lui o con altri individui che a loro volta le posseggono. Queste virtù determinano l’uomo e lo compongono anche se egli non è identico ad esse, per cui alle volte, si appare estranei a se stessi tanto in stasi quanto in attività.

Don Draper se avesse dovuto dare una definizione di sé si sarebbe trovato in imbarazzo, perché non ha mai studiato se stesso che in rapporto a un problema e alla sua soluzione. Non perché la coscienza di sé avesse sofferto danno o perché fosse viziata o frivola, semplicemente le era ignoto quel bisogno di ripassare e lubrificare il motore dell’introspezione. Questa condizione, estesa alla collettività, contribuisce a far sorgere un mondo di qualità senza uomo, di esperienze senza colui che le vive, e si può immaginare che nel caso limite, l’uomo non potrà più vivere nessuna esperienza privata e il peso amico della responsabilità personale finirà per dissolversi in un sistema di formule di possibili significati. Probabilmente la decomposizione del rapporto antropocentrico che ha posto l’uomo al centro dell’universo è giunta finalmente all’Io, perché l’idea che l’importante dell’esperienza è viverla, e dell’azione il farla, inizia a sembrare un’ingenuità alla maggior parte degli uomini.

La natura di Donald Draper è simile a una macchina per svalutare continuamente la vita intesa come un rozzo stato di necessità in cui non bisogna pensar troppo al domani perché c’è già abbastanza da affannarsi con l’oggi.

Il sistema degli anni ’60, in cui si inserisce, lo tratta come fosse un ingranaggio di una macchina scomponibile in pezzi impersonali e generali. Il suo nome, le due parole più povere di immaginazione, ma più ricche di sentimento in tutto il linguaggio umano, non significavano niente. Puoi spezzettare un uomo in modo che non ne rimanga niente, ma poi con quei pezzi insignificanti lo rimetti insieme inconfondibilmente e da quelli si riconosce. Don non era uscito vincente da questa scomposizione esistenziale: i pezzi di sé, una volta staccati dal tutto, sono rimasti nei luoghi in cui è stato; “Dick” per lui non è nient’altro che un lontano e pesante ricordo, al quale si legano fotogrammi passati spiacevoli. Soprattutto le sue memorie di infanzia sono profondamente infelici: cresciuto orfano di madre ed educato da una matrigna che non lo ha mai amato, rende comprensibile l’archetipo di donna che Don cerca in una moglie, ma non giustifica i suoi comportamenti. Don e le sue donne stanno insieme in un reciproco inganno, in cui la musica che edulcora i loro momenti di intimità in realtà è solo l’eco storpiato delle loro stesse voci.

Un uomo si illude di rispettare solo poche leggi esteriori per amore della libertà interiore che consiste nel poter pensare ciò che si vuole, nel sapere perché in ogni situazione umana non dobbiamo sentirci legati ad esse, e nel non saper mai da che cosa si vorrebbe lasciarsi legare. Donald Draper è un uomo che qualcosa costringe a vivere contro se stesso, sebbene egli si lasci andare, libero da costrizioni: la sua persona viene modellata dal mondo e dal corso della vita, si conforma esteriormente senza creare problemi.

donald draper

Insomma, abbiamo il piacere di assistere alle vicende di un uomo capace di sacrificare interessi e l’intero capitale della sua anima, se le circostanze lo richiedono. Don infatti rappresenta un modello di self-made man peculiare: le sue doti creative, di cui non possiamo negare l’esistenza, sono lodevoli; tuttavia, il suo personaggio resta e resterà per sempre un groviglio di complessità, talvolta caratterizzato da oscurità, talvolta da luce e purezza.
Donald Draper, vive una vita in cui l’imperativo categorico è mantenere sempre la facciata, il decoro, l’impenetrabilità e la distanza: prima di tutto tra Don e se stesso, poi tra Don e il resto del mondo. Eppure le contraddizioni si insinuano inevitabili, Dick riemerge a galla nei momenti più impensabili, e guerreggia con Don. Ed è in questi momenti che l’alcool – minimo comune denominatore, benzina della creatività – diviene anche motore della sopravvivenza. È come se ognuno dei protagonisti (le cui ultime emblematiche battute potete leggere qui) dovesse “tirare avanti” per dimostrarsi all’altezza di quella vita da sfida, la stessa vita a cui però rimangono saldamente aggrappati:

Credo che per dimenticare una cosa si debba dimenticare tutto
Donald Draper 2×05

Al di là della motivazione modaiola dei tempi, la necessità di stordirsi attraverso sostanze alcoliche deriva dal binomio di inquietudine e solitudine, che sfocia regolarmente del deragliamento da un binario che sembrava assicurare stabilità e successo. Il fallimento è sempre a un passo dall’accadere, la ripresa è sempre dolorosamente riconquistata soprattutto quando riguarda circostanze in cui non è possibile individuare capri espiatori, se non in sé medesimi.

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