I Mad Men, gli uomini pazzi della Madison Avenue, sono i fabbricanti di emozioni. I sarti della finzione che tagliano e cuciono la realtà a loro piacimento, entrando subdoli nella mente dei consumatori. Il loro lavoro è appropriarsene, sfruttare quei pensieri per trarne un ricavo meramente economico.
Gli uomini delle illusioni si immergono nella psiche umana, la manipolano e questa manipolazione li fa sentire potenti, invincibili, sono burattinai di una società narcotizzata dai colori e dagli slogan. Come smalto sulla verità si adagiano in questo mondo di vizi e superficialità, dimenticando tutto ciò che di umano ristagna al di là di quella superficie patinata.
Ma, nonostante nei loro castelli di vetro si sentano padroni dell’umanità, i Mad Men sono solo uomini che hanno dimenticato di esserlo.
Le emozioni, i sentimenti, le più tenere inclinazioni della nostra natura non possono giacere sul fondale del mare senza giungere prima o poi tra la cresta furiosa delle onde che si susseguono.
Mad Men ci introduce con schiettezza nella vita a brandelli di Don Draper, un uomo che di veritiero non ha neanche il nome (qui trovate 10 motivi per amarlo). Ha fabbricato la sua identità con la stessa cura con cui ha fabbricato le sue geniali pubblicità. Lui in primis è la pubblicità di se stesso, niente di tanto diverso dalla moderna realtà dei social in cui è immersa la nostra generazione: impacchettiamo la nostra personalità in un feed Instagram e in uno stato di Facebook, lasciamo trasparire solo ciò che vogliamo, costruendo un’immagine quanto più fedele possibile a ciò che aspiriamo ad essere.
Ma le aspirazioni, come le illusioni pubblicitarie, non si lasciano mai afferrare davvero. Si impongono nel loro fascino velenoso, inglobano l’uomo in se stesso e lo rendono schiavo di quell’immagine diventata prigione, mentre tutto ciò che mal si concilia con il modello prescelto viene ripudiato.
In fondo Mad Men non fa altro che evidenziare con crudezza la cinta muraria che divide l’esteriorità dall’interiorità.
Solo i più impavidi riescono a esplorare i meandri oscuri della propria anima, i lati misteriosi che abbiamo paura, o che siamo incapaci, di mostrare alla collettività.
“L’arte è superficie e simbolo. Chi va oltre la superficie lo fa a proprio rischio e pericolo”
Affermava saggiamente Oscar Wilde. D’altronde l’arte è nient’altro che lo specchio più crudo e veritiero dell’uomo, la liquefazione della sensibilità che scappa via fugace dalle dita degli artisti.
Eppure l’uomo e le infrastrutture da lui create sono destinati a crollare sotto la furia inesorabile della natura. Come accade a Don Draper, interpretato da uno straordinario Jon Hamm, che è costretto a fare i conti con Dick nonostante ripudi fermamente la sua immagine.
Don ritorna nel suo embrionale stato di natura mentre osserva impotente la copertina della sua vita scolorirsi e dissolversi, mettendo a nudo le pagine dell’anima che pensava di aver distrutto.
Allo stesso modo, in un circolo di hippy stralunati, Leonard nel suo vestiario compito e ordinato si alza e rovescia il flusso di se stesso con rabbia e consapevolezza. Si sente invisibile, incastrato tra la statica frenesia quotidiana e la grigia e inconsistente vita familiare. Nessuno lo vede e questo invisibile velo di anonimia lo deforma e lo imprigiona.
È un continuo sforzarsi di ottenere amore e ammirazione dagli altri. Ma arriva un momento in cui realizzi che neanche tu sai cosa sia l’amore, cosa sia quell’aspirazione irrequieta che scompiglia e turba l’anima.
Siamo come un prodotto stipato su un ripiano del frigorifero.
Le persone continuano ad aprire e chiudere lo sportello attivando e disattivando la luce. Don Draper, come tutti noi, si illudeva di essere un venditore ma era egli stesso merce incastrata passivamente tra le braccia di un mercato veloce, scaltro e calcolatore. Nessuno può farci niente, siamo tutti piccoli e impotenti.
Quando la luce nel frigorifero si accende ti rallegri, ti impettisci aspettando che il sorridente volto altrui decida di prendere proprio te nella tua bella confezione colorata. Ma loro non lo fanno, lo sportello si chiude, la luce si spegne e sei solo con te stesso. Vulnerabile.
E nella sua vulnerabilità senza confezione, Don Draper si alza e abbraccia disperatamente Leonard in lacrime. L’uomo incontra l’uomo.
In quel momento il mercato, l’esposizione e le vetrine si dissolvono. L’uomo ha vinto per un solo piccolo istante. Nel silenzio animato dal pianto vivo, l’umanità riconosce che siamo tutti uguali, tutti piccoli sensibili costruttori di illusioni alla ricerca di qualcosa che probabilmente non otterremo mai ma che non possiamo fare a meno di inseguire. In fin dei conti è la stessa corsa a renderci vivi.
Ma in quell’abbraccio riscopriamo fugacemente l’intensa e indescrivibile similitudine dell’uomo con l’umanità. Anche se quando le braccia si separeranno e i corpi smetteranno di sentire l’uno il calore dell’altro, la fiera riprenderà il suo corso, le confezioni torneranno ad avvolgerci e dopo la boccata d’aria ricominceremo a correre.