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Don Draper: l’uomo inconsistente della Pastorale americana di Bob Dylan

Mad Men
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C’è un uomo. Ha una penna in mano. Alto, acconciatura impeccabile. Affascinante. Cammina in una stanza. Là c’è qualcuno nudo. Ma chi è? L’uomo si danna per tentare di capire chi sia ma non riesce a vedere. È come se tutto fosse sfocato. Sta succedendo qualcosa ma quell’uomo non sa cosa.

Quell’uomo è uno e trino. Ha tre volti, tre sfaccettature, tre modi di essere carpito ma è sempre lui. Sempre un’unica persona. Quell’uomo si chiama Mr. Jones. Si chiama Don Draper. Si chiama Seymour Levov, detto lo Svedese. Quell’uomo è una persona sola ma ha tre volti. Tre come gli artisti che l’hanno ritratto. Tre come le opere di cui è protagonista: Mad Men, Pastorale americana, Ballad of a Thin Man.

Ma chi è? E chi è quell’uomo nudo?

Per comprenderlo dobbiamo riavvolgere il tempo, dimenticare l’entropia ideologica del presente e calarci nel passato. In un passato tanto vivo quanto violento. Siamo nel 1965. Nell’America e nel mondo si respira un’aria di cambiamento. Qualcosa sta accadendo e tu non sai cos’è, non è vero Mr. Jones? C’è tensione, c’è fervore. L’aria è increspata e tutto è in fibrillazione. Puoi percepirlo distintamente.

Mr. Jones cammina. Ha una penna in mano. Vuole capire. Ma non può. Lui è un ‘thin man’, un uomo sottile. Forse sa di esserlo. Ha scelto di esserlo. Quando suo padre, Lou Levov, lo ha cresciuto sperava diventasse qualcuno. Sperava che in lui si concretizzasse il sogno americano. E Seymour ce l’ha fatta. È diventato qualcuno. È ricco, ha una bella moglie e ha la leggerezza di una vita semplice. Eppure, un terremoto sta per sconvolgere la sua esistenza.

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Don Draper si è ricamato un nome. Se l’è cucito addosso come un tessuto, come il suo cognome rubato. Sua moglie è una donna bellissima che ha vinto concorsi di bellezza. Lui un pubblicitario di successo. Eppure, qualcosa sta accadendo e lui non sa cos’è.

Alzi la testa e domandi: “È qui che bisogna stare?”

Si è sempre preoccupato di essere al posto giusto, con le persone giuste. È sempre stato attento, quest’uomo, a intrattenere rapporti cordiali. Ha costruito se stesso sull’apparenza. Su una pubblicità di se stesso. Ha dato a ognuno ciò che gli altri volevano da lui. E per questo è amato e rispettato. Lo sei, vero Don? Vero Seymour, vero Mr. Jones? Fa il pubblicitario. Il giornalista. L’industriale. È alto, bello. Leggero e inconsistente come l’aria. Ma in questo maledetto anno qualcosa sta accadendo e lui non sa cosa.

Don Draper nell’ultima stagione di Mad Men vaga disperato. Il suo velo si sta scoprendo. E sotto, sotto sembra proprio esserci il nulla. Intorno a lui tutto sta cambiando. La vecchia pubblicità non vende più. La sua famiglia è allo sfascio. E lui è il vecchio, il superato. Sorpassato. Lo Svedese non si raccapezza. Cosa ha fatto di male? Perché sua figlia lo ha fatto? Cosa è andato storto? Il mondo è forse impazzito? Qualcosa sta accadendo ma tu non sai cos’è, non è vero Mr. Jones?

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Don in Mad Men ha sempre venduto pubblicità. Ha venduto apparenza, sogni, desideri. Si è nascosto in quell’immagine. Ha rinnegato tutto per l’immagine. E ora che tutto cambia, ora che la rivoluzione sta avvenendo si sente perduto. È una rivoluzione che il nostro Mr. Jones, il nostro inconsistente uomo d’altri tempi non comprende. Quella rabbia non fa parte di lui. Lui, conformista, perbenista e rampante uomo anni ’50.

“Sei una vacca, dammi del latte oppure tornatene a casa!”

Mr. Jones ha prestato la sua gola ad altri, allo status quo, alla classe dirigente. Ma ora non ha più niente da dire. Don non ha più creatività. Non può più spremere idee come latte dalle sue meningi. Non può far altro che tornare a casa. Lo Svedese, Don e Mr. Jones. Cammina e il mondo è sottosopra. Il sessantotto è alle porte. E con lui le bombe, la violenza, il pacifismo e tutte le contraddizioni di una generazione che vuole bruciare al rogo l’incompatibile e ipocrita sogno americano, l’immagine pubblicitaria della famiglia felice, della moglie casalinga e dell’uomo di successo. Tu, Don, Mr. Jones, Svedese sei quell’uomo. E quell’uomo lo vogliono morto.

Ti metti gli occhi in tasca e il naso sul pavimento. Non guardi. Forse non hai la forza di guardare. Non capisci. Non capisci perché tua figlia ha piazzato una bomba. No, non capisci perché ti ritrovi in gabbia come un fenomeno da baraccone additato da tutti. E cosa ti rimane? Nulla, perché tu eri apparenza e ora quell’apparenza sta per essere scoperchiata.

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Al di sotto c’è quello che ogni personaggio di Mad Men nasconde. Il nulla. Un nulla carico di dolore e tristezza. Don non ha mai mostrato il suo volto, come avrebbe potuto? Non c’è niente dietro quell’acconciatura impeccabile e quel portamento. Ha rinunciato a costruire la sua interiorità e ora è alle strette.

Bob Dylan ha costruito la sua ballata su un giornalista.

Un uomo che non riesce a comprendere la sua arte. Non riesce a capire di cosa canti. Un uomo che non può comprendere l’aria che si respira nel 1965 ed è destinato a patire la pena per l’incapacità di leggere il suo tempo. Philip Roth in Pastorale americana ha dato voce allo Svedese, un uomo semplice, la cui sottigliezza, però, fa sì che la figlia cerchi autenticità in un gesto tremendo ma concreto, reale, tangibile.

Un orrore puro, profondo. Quella profondità che lo Svedese non ha mai avuto. Ci ha rinunciato tanto tempo prima, quando si è abbandonato al conformismo reprimendo sogni da giocatore di football ed emozioni profonde. Doveva essere il perfetto ragazzo americano. Lo è stato. E ora non ha più nulla.

Don Draper in Mad Men è così. Una persona che ha soffocato ogni profondità emotiva. Lo ha fatto per sfuggire alla sofferenza che nel profondo invade l’uomo. È inconsistente, perfetto, è tutto quello che tutti vogliono da lui. Padre, marito, amante, pubblicitario. E quando tutto crolla, non è più nulla. Pastorale americana, Mad Men, Ballad of a Thin Man. Tre declinazioni diverse di una stessa persona. Tre prospettive per rappresentare il Thin Man.

Eppure, è lui il protagonista.

Quell’apparente perbenista, buonista, ipocrita, retrogrado, accondiscendente uomo è il protagonista di tutte e tre le opere. Criticato fortemente da Bob Dylan, più compassionevolmente ritratto da Roth e Weiner, ha attirato e affascinato ognuno di questi artisti. Di quegli anni non sono rimasti i rivoltosi, i sessantottini. No, è rimasto lui.

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È rimasto Don Draper che ha saputo reinvertarsi così che tutto cambiasse per rimanere esattamente com’era. Don che supera lo Svedese e Mr. Jones e trionfa. Nel finale abbraccia il cambiamento e finalmente capisce. Guarda quell’uomo nudo e scopre di essere se stesso. Soffre, piange, compartecipa a quel grido di autenticità di una generazione e sorride.

Sorride mentre si fa carico di tutte quelle richieste profonde e le trasforma in bisogni consumistici. Le trasforma in una pubblicità. Niente più donna di casa e uomo in carriera. Ecco una gioventù di ogni etnia che si abbraccia, che cammina in pace, lontano dalla guerra del Vietnam. Che canta. Ecco il cambiamento. Coca Cola, vorrei comprarne una per il mondo. Là si infrange la rivoluzione, là il Thin Man Don vince. Si riempie di nuovo di apparenza. Ha scelto di essere pieno e solo, piuttosto che essere vuoto e solo.

Siamo soli, profondamente soli, e in serbo per noi, sempre, c’è uno strato di solitudine ancora più profondo. Non c’è nulla che possiamo fare per liberarcene. No, la solitudine non dovrebbe stupirci, per sorprendente che possa essere farne l’esperienza. Puoi cercare di tirar fuori tutto quello che hai dentro, ma allora non sarai altro che questo: vuoto e solo anziché pieno e solo.

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