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Ma questo sono io

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Don Draper lo abbiamo amato. Altre volte lo abbiamo odiato. E sicuramente non lo abbiamo mai davvero compreso. D’altronde, navigare nei meandri nella sua complessa psiche non è cosa semplice. Come non lo è nel caso di moltissime altre persone ben più reali del protagonista di Mad Men. Tra battute, meme, e diffusa ilarità, l’Italia ci ha provato per settimane con uno dei personaggi più sopra le righe del panorama musicale nostrano, Morgan. Un artista eclettico, competente, sicuramente dotato di vastissima conoscenza musicale. Che però ci ha abituati a svariati fuori programma.

Fuori programma che hanno raggiunto il picco con ciò che è accaduto durante la chiacchieratissima serata dell’8 febbraio 2020. Quando davanti a pubblico in sala e milioni di telespettatori Marco Castoldi ha portato in scena sul palco dell’Ariston il suo particolare atto di ribellione. Nasce così la versione rivista in chiave Morgan della canzone Sincero, interpretata assieme a Bugo. Consegnata definitivamente all’Olimpo dei momenti televisivi italiani che non dimenticheremo mai!

Un momento che musicalmente si conclude con una frase tremendamente esplicativa: QUESTO SONO IO!

Forse l’unica frase in comune (more or less, l’originale dice “Ma sono solo io”) tra il testo originale della canzone e quello modificato da Morgan per la sua pubblica invettiva a Bugo. Casualità, “licenza poetica” o rumorosa espressione di un concetto, poco importa. Con quella frase è come se Morgan avesse apposto con inchiostro indelebile la sua firma a un’opera che va ben oltre l’incosciente bizzarria di un artista arrabbiato.

Infatti mettendo da parte discussioni e polemiche sull’accaduto in sé, sono stati tanti i discorsi che hanno circondato la figura di Morgan a seguito del chiacchierato evento. In molti lo hanno attaccato. La maggior parte degli spettatori si è schierata dalla parte di Bugo. Contenuto fino alla fine, nonostante l’esser stato attaccato davanti a tutti. Ma forse davvero pochi si sono chiesti cosa passasse per la testa di Morgan quando ha cantato “Ma questo sono io!” .

E se in Italia a fare un tentativo di comprensione di ciò che sembra inconcepibile ci pensa Barbara D’Urso, per il personaggio di Mad Men che ha aperto questo articolo ci pensano figure più autorevoli. Senza dubbio più preparate all’impresa.

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Nel 2014, dopo la messa in onda della settima stagione, Jordan Gaines Lewis pubblicò su Psychology Today un articolo che parlava molto delle ragioni per le quali Don Draper difficilmente avrebbe potuto essere diverso. Con la visione della settima e ultima stagione di Mad Men si mise a tacere anche l’ultima flebile speranza in una redenzione dell’uomo.

Alla luce delle parole coniate da Morgan un mese fa, oggi potremmo dire con certezza quanto Don Draper incarni l’esempio più lampante di chi “è così senza via di scampo”. Di quella voce che urla al mondo MA QUESTO SONO IO! Con un sottinteso “e nessuno può farci nulla” a seguire. Perché in effetti nel caso di persone come Morgan, o di personaggi come Don Draper, sembra che davvero nessuno possa farci nulla per rendere le cose diverse da come sono. Per illuminare i lati più oscuri di una personalità così densa di ombre per un tempo più vicino al “definitivamente”.

Perché a salvare Don Draper ci hanno provato in tanti. Uomini, donne. Amici, amanti, colleghi, figli (anche se inconsapevolmente). Ma nessuno è mai riuscito nell’impresa.

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Don Draper ha avuto più di una moglie. E le ha tradite tutte, più volte.

Ha avuto più figli. E non c’è mai stato per nessuno di loro. Potremmo dire che ha avuto degli amici. O perlomeno qualcuno con cui trascorrere del tempo in compagnia godendo di una connessione un po’ più intensa. Eppure ha deluso tutti loro, uno per uno. A partire da Peggy fino a Roger. Tutte le persone che hanno creduto in lui, o che si sono aperte a lui. Senza dimenticare che alla fine di Mad Men, Don viene letteralmente licenziato, anche se con parole più morbide di così.

Ma nonostante la ripetitività nel tempo di azioni ed eventi che hanno sconvolto la vita di chi gli stava attorno – e automaticamente anche la sua – Don Draper non è mai cambiato. È sempre rimasto uguale a se stesso, uguale all’immagine della sua falsa identità. Forse è per questo che – come lui stesso ammette – l’unica persona che lo abbia davvero conosciuto è stata Anna, moglie del vero Don Draper. L’unica che ha sempre saputo di Dick Whitman. Del bambino che precedette quest’uomo. E dell’uomo che rubò l’identità del suo defunto marito per non morire da disertore o da soldato in Korea.

Mad Men non ha mai lesinato in particolari che ci facessero comprendere, pezzo per pezzo, il puzzle che raffigura l’anima spezzata del suo protagonista.

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Forse è per questo che la rabbia causata dai suoi continui e reiterati scivoloni morali si neutralizza al sopraggiungere di quella pietà per il bambino che fu. Proprio lui, quell’uomo che ora sembra incapace di migliorarsi, di redimersi, di non sfogare inconsapevolmente sul presente e il futuro il dolore di un passato incancellabile. Difficile non odiarlo nel corso degli innumerevoli sbagli che spezzano famiglie, cuori e sentimenti altrui senza che al suo apparente pentimento segua un reale cambio di rotta. E altrettanto difficile risulta non empatizzare con un uomo soffocato dal fardello di un passato troppo pesante da sopportare.

Così ogni sua parola, ogni sua azione sembra urlare quella frase piena di arroganza e presunzione che sembrano tali solo quando non sai tutto quello che è venuto prima. QUESTO SONO IO. Difficile essere diversamente quando, nel caso del protagonista di Mad Men, sei un’anima sulla quale il destino ha voluto accanirsi per anni. Difficile crescere diversamente quando la tua infanzia ha conosciuto morte e povertà, abbandono e violenza, odio e abuso. Mai una carezza, mai un abbraccio, mai una parola dolce che incoraggiasse il bambino a sognare il futuro.

Mad Men ha raccontato la parabola di un dolore, un dolore devastante e prolungato nel tempo. Quello del piccolo Dick Whitman. E del suo successivo incontro con un dolore forse ancora più duro, quello della guerra e della sua insensata atrocità.

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E lo ha fatto con la magistrale tecnica narrativa che ci ha portati a ritroso nel tempo. A scoprire la verità di Dick Whitman attraverso gli occhi profondi e al tempo stesso impenetrabili di un falso Don Draper. Padre, marito, creativo, uomo d’affari. Uomo che ha saputo dipingere un nuovo se stesso sulla vecchia tela della sua anima distrutta. Che ha saputo scrivere su questa rinnovata superficie QUESTO SONO IO. Prendere o lasciare. E affrontare le conseguenze delle altrui decisioni dinanzi a questo ultimatum morale con l’umanità di chi vive la sua vita con la consapevolezza della propria autodistruttività.

Ossia col cinismo, l’arroganza, il lasciar fare senza intervento. E poi, inesorabilmente, il senso di colpa, il pentimento, le lacrime e la disperazione. Ma come un film che si ripete e che, già girato e montato non può essere modificato, incapace di tornare sui suoi passi e azionare la leva del cambio di rotta.

Perché QUESTO È DON DRAPER. Questo è l’uomo venuto fuori dalla sequela di eventi che lo hanno reso tale. Che hanno preso il piccolo Dick e ne hanno fatto Don.

Tutto solo per quello che sembra un lungo e perverso scherzo del destino. Vivere una vita di incontrastabile autodistruzione solo per finire sulla punta di una costa californiana a confrontarsi con la propria anima. Distrutta, insopportabile. Troppo complessa per essere compresa anche dallo stesso uomo che la possiede.

Eppure, in dirittura d’arrivo, verso un rinnovato equilibrio di vita, riscoperto forse proprio in quel confronto, ora più consapevole, più sereno, privo di lotte, con quell’Io che si è sempre odiato. E che in quell’indimenticabile finale, Don saluta con un pacato, luminoso, accenno di un sorriso che non avevamo mai visto. Che ci ricorda ancora una volta in Mad Men: “Ehi, QUESTO SONO IO… ma forse il segreto è tutto qui, nell’accettarlo in prima persona“.

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Le brutte intenzioni la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera. La tua ingratitudine, la tua arroganza, fai ciò che vuoi mettendo i piedi in testa. Certo il disordine è una forma d’arte. Ma tu sai solo coltivare invidia. Ringrazia il cielo sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato dentro.

Che succede?