Quando si guarda Mad Men si ha un po’ la sensazione di esser tornati a scuola. Don Draper, maestro di marketing (meno di accounting, ma a quello ci pensa Roger Sterling), ci fa quasi desiderare un lavoro in pubblicità solo per poter diventare fighi come lui. Inoltre Mad Men ci regala un tuffo nella storia e nei costumi di un’epoca che persino chi non l’ha vissuta ricorda con nostalgia. La serie tv di Matthew Weiner infatti è ambientata negli anni ’60, un decennio denso di importanti eventi storici e cambiamenti sociali che all’epoca sconvolsero non solo gli Stati Uniti ma il mondo intero. Mad Men inserisce in tale contesto le fittizie vicende dei (realmente esistiti) “folli pubblicitari” di Madison Avenue con un’eleganza difficile da equiparare.
Il risultato è una narrazione fluida che amalgama in modo impeccabile finzione e realtà storica. Ci fornisce una visione profonda e veritiera di quella che è stata l’evoluzione sociale che ha posto le basi del mondo moderno.
Già dalla prima puntata, “Fumo negli occhi”, si comprende il legame intessuto da Mad Men con vicende storiche e di costume. Vediamo la Sterling Cooper avere una grossa gatta da pelare con un cliente corposo: la Philip Morris. Erano gli anni in cui l’American Cancer Society iniziava a divulgare gli studi scientifici che mettevano in relazione le sigarette con un più elevato rischio di tumore ai polmoni. L’industria del tabacco ne risultò minacciata specie quando politica e magistratura proposero il bando della pubblicità per le marche di sigarette. Allora fu di uomini come Don Draper e Roger Sterling che la lobby del tabacco di servì. Uomini a cui non interessava salvare l’industria del tabacco o dare ascolto alla scienza, ma solo portare a casa il cliente. Ai Mad Men non importava neanche dei soldi, puntavano al trionfo del proprio ego.
Erano gli anni in cui si consigliava alle donne incinte di fumare sigarette per contrastare il malumore. In cui uomini dai capelli ingelatinati, tra un Old Fashion e un Tom Collins, portavano a cene di lavoro splendide mogli che passavano la vita in silenzio a crescere i loro figli e prendersi cura della casa.
Erano gli anni in cui John F. Kennedy correva alla presidenza degli Stati Uniti. Un uomo “pericoloso” per i sistemi a stelle e strisce, dicevano alcuni conservatori dell’epoca. Mad Men ci mostra tutto il coinvolgimento che gli americani hanno storicamente sempre avuto nella vita politica. Nel sostegno al proprio candidato, nell’attaccamento a colui che, seppur distante magari dalle proprie idee, è pur sempre il capitano dell’amata nave America. God Bless America. God bless Betty Draper per averci mostrato come devono aver reagito gli americani che hanno assistito in diretta tv all’omicidio del 35esimo presidente degli Stati Uniti a Dallas. Le lacrime del vice-presidente Lyndon B. Johnson e la sua successiva elezione. Il vestito ancora imbrattato del sangue del marito di una Jackie Kennedy fiera nonostante lo shock al funerale di Kennedy.
Grazie a Don Draper per averci mostrato invece il contrasto con la gente comune. Perchè i Mad Men non avevano sentimenti, non si mescolavano alla gente che viveva ai piedi degli altissimi grattacieli di New York. I Mad Men ne prendevano ispirazione restando alienati nel loro cinismo.
Specie coloro che, come Don Draper, avevano vissuto gli orrori della guerra. Dal desiderio incontenibile di dimenticare tutto ciò nasceva il riscatto freddo e spietato che trasformò un comune Dick Whitman, soldato semplice in Korea, in Don Draper: spregiudicato pubblicitario di Manhattan. Era forse il ricordo di quegli orrori l’unico in grado di scuotere l’anima congelata dei Mad Men. Come scossi vediamo essere i protagonisti durante i drammatici “tredici giorni” dell’ottobre 1962 raccontati nella serie e passati alla storia come “Crisi dei Missili di Cuba”. Mad Men abbraccia il cuore della Guerra Fredda e con essa la pancia del XX secolo. Tutto lo splendore, vero o falso che fosse, che Russia e Stati Uniti gareggiavano a ostentare. La corsa alla follia più grossa, dal primo uomo nello spazio al primo sulla luna.
“Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità.”
E una strepitosa favola raccontata in tv per noi attraverso Mad Men.
Tuttavia la serie ci mostra anche il lato ludico di quegli anni. La moda che i giorni nostri hanno cercato di imitare ciclicamente. Gli anni d’oro del cinema, Marilyn Monroe. Cosa significava per una donna dell’epoca essere come Marilyn o come Jackie? Aspirare alla perfezione brillando di luce propria in un caso e riflessa nell’altro. Frizzante sensualità a fronte di elegante compostezza. In ognuno dei due casi, la possibilità di essere notate, di avere un peso che andasse oltre il focolare domestico. In ufficio, sinuosa tra le scrivanie o per strada passeggiando con alterigia. In un’epoca in cui gli streotipi di genere erano ancora dominanti. In cui una donna non poteva aspirare a molto altro che a passare per la Marilyn o la Jackie del quartiere. E gli uomini attendevano il match del ‘64 tra Muhammed Alì e Sonny Liston come noi attendiamo l’ottava stagione di Game of Thrones.
Erano gli anni dei modelli ingessati. In cui si inseguiva un’immagine che, per quanto irreale fosse, dava alla società un senso d’appartenenza a qualcosa di più grande e di nuovo in quegli anni di ripresa.
Perchè una donna come Joan piange la morte di Marilyn Monroe? Perchè quando muore il modello muore con esso la speranza, seppur illusoria, della perfezione. Mad Men ripercorre quel decennio di prime moderne illusioni raccontando anche le lotte che portarono la società a spezzare i primi incantesimi. Le prime donne della seconda ondata di femminismo del secolo che, come Peggy Olson, rifiutarono di relegarsi a un destino di moglie e madre che all’epoca sembrava l’unico possibile. Le prime lotte per i diritti civili e il superamento (parziale) del razzismo estremo ancora diffuso. Mad Men incornicia abilmente la sua storia con un’epoca che è anche figlia del rifiuto di Rosa Parks di cedere il suo posto in autobus a un bianco nel 1955. Ci porta tra le manifestazioni di New York e ai comizi di Martin Luther King, mostrandoci anche la sua tragica fine.
Ma Mad Men è un viaggio trasversale attraverso la storia che ama mostrarci un’evoluzione sociale a 360 gradi.
Assistiamo così alla rivoluzione culturale di quegli anni fatta, non solo di manifestazioni e nuovo femminismo, ma di molto altro ancora. Di ragazzine urlanti come Sally Draper ai concerti dei Beatles, dell’arte controversa e avanguardista di Andy Warhol. Di feste hard rock nei club di New York e di droghe psichedeliche che “curavano” il nuovo moderno male di vivere. Chiedetelo a Roger Sterling se poi funzionassero davvero. È un viaggio, quello di Mad Men, che non ci ha disdegnato di rivivere attraverso lo schermo televisivo momenti bui e fasi di splendore di un’epoca affascinante. Ma soprattutto non ci ha risparmiato una visione oculata sulla caratteristica forse più rilevante di quel decennio: il cambiamento.
La storia di Mad Men abbraccia un arco temporale che va dal 1960 al 1970. Ci racconta gli eventi critici della storia e del costume dell’epoca per enfatizzare l’impatto che questi hanno avuto sulla società.
Assistiamo a trasformazioni che vanno dalla politica americana agli equilibri internazionali. Ai cambiamenti nella moda che vedono Don Draper aprire Mad Men vestito di tutto punto e concluderla in camicia di lino, con le gambe incrociate. Gli anni ’60 segnarono il boom economico del dopoguerra in tutto il mondo occidentale, e altresì diedero vita a movimenti che si ribellavano alle implicazioni di questo nuovo “sistema”. La fine di quel decennio pose le basi della cultura New Age arrivata successivamente. I Figli dei Fiori si opponevano pacificamente a un sistema passato dalle cicatrici ancora ruvide della Guerra di Korea alle nuove ferite dell Guerra in Vietnam. Addio anni ’60, addio alla gelatina, allo smocking e all’Old Fashion.
Il finale di Mad Men dà il benvenuto agli anni che svecchiarono definitivamente il dopoguerra.
Si conclude il viaggio respirando, a ridosso dell’Oceano, il vento tiepido del cambiamento. La meditazione, la connessione con la natura, le cose semplici. Mad Men conclude la sua storia con un nuovo inizio, quello di un glorioso decennio e di un rinnovato Don Draper, simbolo perfetto di quegli anni. La sua è una presa di coscienza che giunge finalmente dopo una vita di tormenti, ed è quella che fa delle cose semplici, delle immediate seppur piccole connessioni, il segreto della felicità. Mad Men ci lascia all’inizio degli anni ’70 con una pubblicità che ha fatto storia e un movimento di idee che diede vita a nuove speranze.
“The new day brings new hope. […] New day. New ideas. And new You.”
“I’d like to buy the world a home
And furnish it with love
Grow apple trees and honey bees
And snow white turtle dovesI’d like to teach the world to sing
In perfect harmony
I’d like to buy the world a Coke
And keep it company
That’s the real thing.”