Attenzione, l’articolo contiene spoiler su Maid.
Sbarcata su Netflix il primo ottobre 2021, Maid è una miniserie tratta dal memoir di Stephanie Land Domestica: Lavoro duro, Paga Bassa, e la voglia di sopravvivere di una Madre. Una storia vera, dunque, che potrebbe purtroppo essere anche la storia di tante altre persone. Nel corso di dieci episodi, una talentuosa Margaret Qualley interpreta Alex, una donna vittima di violenza domestica che si vede costretta a fuggire di casa insieme alla figlia Maddy, di appena due anni. Il merito di questa miniserie è senz’altro quello di trattare una tematica così importante e complicata mostrandone sullo schermo tutti gli aspetti e le sfaccettature, evitando di semplificare o banalizzare. Tra i molti aspetti su cui Maid fa luce, ne emerge uno fondamentale: la difficoltà che può avere la vittima di abusi nel chiedere aiuto, per molteplici motivi. Quante volte le notizie di casi simili vengono commentate con frasi tipo: ma perché non ha denunciato subito? Perché non ha chiesto aiuto? Non poteva fuggire prima? Ecco, Maid riesce a raccontare in maniera molto limpida e onesta che la richiesta di aiuto non è sempre così scontata. Ci sono diverse ragioni per le quali può risultare complicato chiedere aiuto: analizziamole riflettendo su alcune scene di questa miniserie.
Innanzitutto, Maid ci racconta di come a volte la vittima faccia fatica a capire o accettare di essere tale.
Per Alex è subito chiara una cosa: è in pericolo. Dopo l’ennesimo atteggiamento violento del suo compagno Sean, decide di prendere la loro figlia Maddy e fuggire. Quando si rivolge agli assistenti sociali per trovare una soluzione alla sua disoccupazione e per cercare di avere un tetto sopra la testa, soprattutto per Maddy, qualcosa non le torna. Le viene proposto un rifugio per donne che hanno subito violenza domestica, ma Alex appare confusa. Risponde che Sean non ha mai alzato un dito contro di lei – e questo è vero – però ha preso a pugni il muro accanto a lei e ha più volte scagliato oggetti in direzioni molto vicine alla compagna, con una furia alimentata dall’alcolismo. Non essendo stata fisicamente maltrattata, Alex ritiene di non aver subito veri abusi. Non considera nemmeno la possibilità di essere stata abusata psicologicamente: è l’assistente sociale a dirle che esiste anche tale tipo di violenza, e nonostante questo Alex ancora sembra non volerlo accettare.
Alla luce di questo, è evidente che il primo ostacolo nella richiesta d’aiuto sia proprio la mancata consapevolezza della vittima di essere proprio una vittima. Alex, innanzitutto, è schiava della mentalità comune di chi la circonda: violenza è un danno fisico, questo è quello che pensano tutti. E invece no. L’abuso psicologico è altrettanto pericoloso, la protagonista di Maid se ne renderà pienamente conto col tempo.
Ciò che spinge Alex ad acconsentire al suo trasferimento nella struttura dedicata alle vittime di violenza domestica, in un primo momento, è trovare una sistemazione adeguata per la figlia. La sua missione principale è quella di ottenere l’affidamento esclusivo di Maddy, un obiettivo ostacolato dall’assenza di denunce sporte a Sean e di prove tangibili dell’abuso. Le battaglie burocratiche che ne scaturiscono, sottolineano quanto sia complicato difendersi da una violenza di questo tipo.
Anche il background familiare può costituire un ostacolo.
Per Alex sarebbe stato sicuramente meno complicato comprendere e accettare la propria situazione se accanto a lei avesse avuto persone consapevoli e attente. Invece, il suo albero genealogico rappresenta un intoppo. Da un lato, un padre assente, a sua volta con problemi di alcolismo e un passato violento: Alex ci metterà un po’ a capire perché lei e sua madre fossero scappate da lui. Un padre che, oltretutto, sembra essere in buoni rapporti con il compagno della figlia, senza nemmeno lontanamente immaginare degli abusi. Anzi, spesso prende le parti di lui.
Dall’altro lato, Paula, la stravagante ed eccentrica madre, egocentrica e affetta da un disturbo mentale non diagnosticato che complicherà ulteriormente la situazione. Paula non vede nulla di dannoso o negativo in Sean e tende a giustificare ogni suo atteggiamento. Inoltre, quando la figlia cerca di comunicare con lei, lei le parla sopra e alza la voce, rendendo impossibile il dialogo.
Circondata di persone che ritengono Sean un brav’uomo che sta semplicemente attraversando un periodo difficile, Alex si ritrova senza alleati e non è difficile immaginare i dubbi che le possono affollare la mente: e se avessero ragione gli altri e non lei?
L’indipendenza e l’orgoglio propri del carattere di una persona possono costituire un altro deterrente per la richiesta di aiuto.
Per chi è abituato a lottare con le proprie forze e arrangiarsi in completa indipendenza, non è così scontato riuscire a chiedere – o accettare – aiuto. Un esempio è dato dalla scena in cui Alex si è sistemata sul pavimento dell’aeroporto per passare la notte insieme a Maddy. Le due vengono viste da Nate, un conoscente di Alex, che cerca più volte di offrire il proprio aiuto ad Alex. Ci vorranno diversi episodi prima che la ragazza accetti una mano da lui e non per semplice testardaggine. Alex è così, dà tutto per Maddy, ma non vuole che nessuno dia qualcosa a lei. Fa parte del suo modo di fare.
Oltre a questo, è anche vero che accettare aiuto significa dover ammettere agli altri – ma soprattutto a se stessi – di non potersela più cavare da soli, un’ammissione che può costare molto. In ogni caso, nel corso degli episodi Alex riesce ad aprirsi di più all’aiuto esterno, senza però rinunciare alla grande tenacia che la contraddistingue: si rimboccherà le maniche per tutto il tempo.
Quando finalmente si chiede aiuto, però, resta poi il rischio di tornare sui propri passi.
Non solo è complicato chiedere aiuto, per tutti i fattori che abbiamo già elencato, ma lo è anche mantenerlo. In Maid troviamo un paio di esempi a riguardo, Il primo è relativo a una donna che Alex conosce al rifugio: Danielle. La donna è stata vittima di violenza fisica, ne porta ancora i segni sul collo e li ha mostrati alla protagonista. All’inizio, è lei ad aiutare Alex ad alzarsi da terra – letteralmente – e darle lo slancio per rimettersi in gioco e lottare per Maddy. Ma un giorno Danielle sparisce: è tornata dall’uomo violento che ha cercato di strangolarla.
Denise, la donna che gestisce il centro anti violenze, dice ad Alex che è una cosa piuttosto comune. La protagonista resta esterrefatta, così come lo spettatore. Negli episodi successivi, però, diventa chiaro che si tratta di una questione da non sottovalutare e viene messo in evidenza come sia complicato sottrarsi dalla violenza: sarà Alex stessa a tornare da Sean. Accade per un breve periodo, ma comunque accade. Questo dà la misura di quanto il viaggio verso la salvezza dopo un abuso domestico sia laborioso e per nulla scontato. Allo stesso modo, ci fa capire come non si debba giudicare nessuno, perché si potrebbe fare la stessa scelta qualche tempo dopo.
Il merito di Maid è quello di dare una luce di speranza senza omettere la tortuosità del percorso per arrivare a essa.
Nel finale della miniserie, Alex comincia una nuova vita senza le ombre di Sean. Eppure, nel vedere la donna finalmente sorridere stringendo tra le braccia la piccola Maddy, lo spettatore non dimentica tutto il viaggio per arrivare fin lì. Ed è proprio questo il punto di forza di Maid: il racconto è schietto e onesto, riesce a dare conforto e a raccontare che alla fine tutto si può risolvere, c’è spazio per ricominciare. Allo stesso tempo, però, dà una visione esaustiva e non edulcorata di tutto ciò che riguarda l’abuso domestico e della lunga strada che può attendere la vittima prima di raggiungere il proprio vero rifugio.