Dicono che alcune prime volte non si scordano mai. Ecco, non penso di esagerare quando dico che nella mia adolescenza esiste un prima e un dopo Malcolm. È vero, stiamo pur sempre parlando di una sitcom, di certo non ha segnato un passo importante nella mia vita come non lo avrà segnato nella vita di molti e molte come me, ma vuoi per la sigla (They might be Giants – Boss of me) che ancora adesso mi ritrovo a canticchiare per strada, vuoi perché il fatto che Malcolm si lasciasse andare in monologhi prolissi e lamentosi rivolgendosi direttamente alla telecamera facendomi sentire parte integrante dello show, vuoi per le lacrime versate a guardare quegli esilaranti scherzi da teppisti; ai miei occhi Malcolm in the Middle (in Italia noto semplicemente come Malcolm) è sempre stata una sitcom sopra le righe, a cui ancora adesso associo cari ricordi della mia prima adolescenza.
E così, ricordo che di ritorno da scuola l’attesa per il pranzo era accompagnata dalle news di studio sport, di cui non mi è mai interessato moltissimo – ai miei occhi aveva un solo, duplice scopo: concentrare la mia attenzione sull’odore proveniente dai fornelli e aumentare l’attesa per le trasmissioni che sarebbero venute subito dopo -. Il pranzo, quelle volte in cui riuscivo a impadronirmi del telecomando e cambiare canale su Italia 1, era tipicamente accompagnato da Lupin, Dragon Ball e, ovviamente, I Simpson. Ma a Malcolm era riservato un posto speciale, che in qualche misura mi faceva sentire parte di quella famiglia atipica, caotica ed estremamente disfunzionale.
Malcolm è andato in onda su Italia 1 dal 2004 al 2008. Veniva trasmesso poco prima delle quattro, quando i piatti erano già stati riposti in lavastoviglie e l’odore del caffè dopo pranzo iniziava a disperdersi nell’aria. Per essere più precisi, iniziava alle 15:55, ed è un dettaglio importante. “Ancora cinque minuti” è sempre stato il motto mio e di intere generazioni venute prima e dopo di me. “Ancora cinque minuti” era la richiesta sommessamente posta a tua madre che ti svegliava la mattina per andare a scuola, ma era anche la reiterata procrastinazione che mi separava dai miei doveri di studente.
Guardavo Malcolm con i quaderni sul tavolo della cucina e la penna a sfera in mano, completamente stregato dall’anarchia di quello show. Cose che ancora ero troppo piccolo per capire mi attiravano per il loro essere grottesche – il modo in cui, nonostante avessero più di un problema economico, riuscivano sempre a trasmettere una certa serenità d’animo; i cereali sottomarca; il cibo scaduto che non veniva buttato per nessuna ragione al mondo, solo per citarne alcune -, distogliendo la mia attenzione dagli esercizi di matematica e prolungando per altri venti minuti quella sensazione di libertà e spensieratezza tipica di quando si ignorano i propri doveri.
Di anni ne sono passati tanti, e a quasi trent’anni sarei quantomeno da biasimare se continuassi imperturbabile nella procrastinazione dei miei doveri di uomo adulto. Insomma, la spensieratezza l’ho lasciata sul tavolo di quella cucina, ma rivedere Malcolm mi ha aiutato a ricordarla.
La mia generazione ha aspettato anni in attesa che Malcolm tornasse, complice anche l’esplosione dei servizi streaming.
Quanto a me, se Italia 1 aveva fatto in modo che io associassi Malcolm alla spensieratezza della mia adolescenza (nonché all’inconfondibile odore dell’inchiostro delle penne a sfera che mi rigiravo tra le dita), Disney Plus ha il grande merito di avermi riportato con nostalgia a quella sensazione di leggerezza e serenità.
Certo, rivedere Malcolm a distanza di quindici anni significa, di fatto, vedere una serie completamente diversa. Si notano particolari prima passati inosservati, ci si sofferma su elementi a cui un adolescente non avrebbe mai dato rilievo.
Prendiamo il rapporto tra Malcolm (Frankie Muniz) e Stevie (Craig Lamar Taylor), solo per fare un esempio: il me adolescente che guardava la sitcom su Italia 1 non si sarebbe mai fermato a riflettere sui messaggi e i significati che una simile amicizia voleva veicolare. Ma adesso, a distanza di quindici anni e forte di un bagaglio esperienziale, culturale ed emotivo ben più grande, non posso fare altro che soffermarmi sulla leggerezza e genialità con cui Linwood Boomer – il creatore della sitcom – ha deciso di comunicare, attraverso il rapporto tra i due, messaggi di uguaglianza, rispetto reciproco e cooperazione nel superamento degli ostacoli che la vita ti pone davanti. Mentre guardo con voracità un episodio dietro l’altro su Disney Plus, mi accorgo che all’interno della sitcom la disabilità di Stevie è trattata con grande intelligenza, il tatto necessario e l’indispensabile senso della misura.
Di episodio in episodio e di stagione in stagione siamo cresciuti con Malcolm, Reese (Justin Berfield) e Dewey (Erik Per Sullivan). Abbiamo interiorizzato gli insegnamenti della rigida Lois (Jane Kaczmarek) – severa per necessità, ma anche porto sicuro per tutta la famiglia – e compreso l’importanza del vivere la vita con gioia, leggerezza e indomabile energia attraverso Hal (Bryan Cranston). Abbiamo camminato fianco a fianco fino a quell’ultima puntata della settima stagione, che ha decretato la separazione delle nostre strade. Non un addio, ma un arrivederci.
È questa la ragione per cui ritrovare Malcolm su Disney Plus e ricominciarne la visione ha per me un significato particolare: equivale a ritrovare un caro amico che non si vede da tempo, un amico di infanzia con cui si è cresciuti e con cui sono stati costruiti ricordi.
Malcolm è e resterà sempre uguale a sé stesso, in fin dei conti è solamente un prodotto televisivo. Ma i tempi in cui procastinavo lo studio in attesa che Italia 1 mi raccontasse le vicissitudini di quella folle famiglia sono passati, lasciando spazio a pensieri meno frivoli e spensierati. E così sono cambiato anche io, e insieme a me è cambiato il punto di vista da cui guardo il mondo. Aggiungendo Malcolm al suo catalogo, Disney plus ha fatto rivivere in me quei momenti di leggerezza, forti però di una aggiunta consapevolezza.
Ecco forse il segreto del successo di Malcolm, ecco come è riuscito a guadagnarsi un posto speciale nel cuore di molti di noi: ad ogni visione riusciamo a cogliere qualcosa di più, perché cambiando ci rendiamo conto di quanto profondo sia in realtà il suo messaggio. Che non importa quanto la tua famiglia possa essere caotica e disastrata:
Le nostre famiglie vengono con noi. Resteranno con noi per sempre nelle nostre abitudini, nei nostri gesti, e nelle scelte che facciamo. Quindi non saremo mai liberi, non saremo mai soli. Come ha detto una volta Paul McCartney.
E, lasciatemelo dire, dopo tutti questi anni io la famiglia di Malcolm la sento anche un po’ mia.