Correva l’anno 2004 quando Malcolm in the Middle andò in onda, per la prima volta in Italia, su Italia 1. Creata da Linwood Boomer, la serie tv segue le surreali e divertenti (dis)avventure di Malcolm (Frankie Muniz), un ragazzino prodigio con un QI superiore alla media, e della sua disfunzionale famiglia.
Formata da sette stagioni e ben 151 episodi e trasmessa negli Stati Uniti dal canale Fox dal 2000 al 2006, si è affermata tra delle comedy più apprezzate di quel periodo. A confermarlo sono i premi e le numerose candidature ricevute nel corso degli anni: Malcolm in the Middle ha infatti vinto oltre sette Emmy Awards, un Grammy Award, un Peabody Award e tanti altri premi.
Malgrado abbia raggiunto un notevole successo durante la messa in onda, una volta giunta alla sua fine questa serie tv sembra essere caduta nel dimenticatoio. Con il suo brillante umorismo e la sua sceneggiatura intrigante e mai scontata, Malcolm in the Middle ha raccontato le vicende di una famiglia comune, evidenziandone gli aspetti negativi e (i pochi) positivi con ironia e leggerezza. Ma non solo: sfruttando una comicità goliardica e coraggiosa, ha mosso una velata critica alla società americana e ai suoi – spesso discutibili – “valori”.
Lo show non ha solo il merito di aver trattato con ingegno e delicatezza tematiche che, nei primi anni del 2000, erano ancora tabù nel mondo delle sitcom (come l’omogenitorialità e le disabilità). Ha anche offerto ai suoi spettatori un ritratto fedele e realistico della classica famiglia borghese americana, mantenendo sempre dei toni leggeri e ironici.
Questo tangente realismo è evidente sin dalla regia. Malcolm in the Middle non è una comedy registrata dinanzi un pubblico, né presenta le classiche risate di sottofondo. Girata attraverso l’uso di una telecamera per scena, proprio come un film, essa coinvolge lo spettatore che – regolarmente – è partecipe dei monologhi del protagonista.
La rottura della quarta parete di Malcolm diviene un dettaglio ricorrente nello show, nonché uno dei suoi punti di forza.
Il pubblico non guarda passivamente lo show ma ha l’opportunità di entrare in sintonia con il protagonista, gustando l’alternarsi di gag divertenti, incentrate sui disastri combinati dai ragazzini, a situazioni vere e ispirate alla quotidianità. Così la serie riesce a inserirsi in quel limbo che divide il mondo seriale dalla vita comune, avvicinando lo spettatore a uno show in cui si può riconoscere.
Perché uno degli aspetti che rende Malcolm in the Middle così ammaliante e interessante ai nostri occhi è proprio quello di rivolgersi alle persone comuni. La famiglia di Malcolm non è ricca, non è agiata, non è esageratamente istruita. Si tratta di un nucleo familiare numeroso, che fatica ad arrivare a fine mese, i cui problemi economici spesso li costringono a compiere scelte drastiche ma necessarie (come scegliere quale bolletta pagare ogni mese e quale saltare).
La precaria situazione finanziaria spinge spesso i personaggi a compiere decisioni importanti e ad arrangiarsi con quel che hanno, privandosi del lusso – spesso ridicolizzato – di poter fare capricci. Lo show non spettacolarizza la povertà ma sottolinea le difficoltà affrontate dalla classe media americana: pensiamo infatti all’episodio Water Park, in cui Lois cerca di far capire ai figli che non potranno probabilmente mai permettersi delle vacanze e di accontentarsi della giornata di svago che gli era stata concessa.
Malcolm in the Middle cattura con ironia e realismo la vita di una una famiglia comune che, nonostante i continui ostacoli, rimane sempre unita.
Perché sebbene i sacrifici fatti dai personaggi della serie – stagione dopo stagione – siano innumerevoli, alla fine capiamo che tutta quella sofferenza e quelle difficoltà sono state loro utili. La crescita che affronta il protagonista insieme alla sua famiglia non induce un drastico cambiamento del loro stile di vita. Non diventano ricchi, né hanno un successo immediato, ma scoprono con fatica il significato delle parole umiltà e correttezza, diventando così delle persone migliori.
Sin dalla sigla è possibile individuare quale sia il motto dello show. Nelle parole della canzone “Boss of Me” dei They Might Be Giants, inno della ribellione dei giovani protagonisti, si distingue infatti la frase “Life is unfair” spesso ripetuta da Malcolm nel corso dello show. Per quanto assurde possano essere le disavventure della sua famiglia o le situazioni a cui va in contro, il protagonista si fa portavoce di un concetto tristemente vero: la vita spesso non è giusta.
L’unico obiettivo che Hal (Bryan Cranston) e Lois (Jane Kaczmarek) si pongono è quello di crescere i propri figli nel miglior modo possibile, e prepararli ad accettare le ingiustizie e gli ostacoli della vita. Perché ci saranno, ne sono consapevoli, ed è indispensabile che essi sappiano affrontarle. Malcolm in the Middle non parla della classica “famiglia del Mulino Bianco”, ma di una famiglia unita nonostante gli attriti in cui chiunque può riconoscersi e – tra una risata e l’altra – imparare qualcosa.
Malcom in the Middle ha urlato che la vita è ingiusta, che la meritocrazia è spesso un’utopia e che non sempre si ottiene ciò che si vuole. Ma ci ha anche insegnato che coltivare la propria umanità e la propria dignità è spesso più rilevante dell’avere successo a qualsiasi costo, dell’essere geniali ma aridi nel proprio animo. Una lezione preziosa, che soltanto una comedy realistica e brillante ci poteva donare.