Netflix ha scelto un attore italiano, Lorenzo Richelmy per fedeltà al personaggio e anche per la corretta pronuncia della lingua (e del dialetto veneziano). Peccato che Lorenzo non sapeva nemmeno l’inglese, che a detta sua è stata la cosa più difficile da imparare: ancora più ardua che imparare a combattere con la spada, con l’arco, andare a cavallo e destreggiare le arti marziali… Nella serie di questo addestramento si occupa Bayan Hundred Eyes (Cento Occhi nella versione italiana), un altro prigioniero – e ospite onorevole – del Khan.
Questo personaggio ha conquistato il mio cuore sin dal primo momento: è un monaco taoista e un combattente cieco ma ciò, alla Daredevil, non gli impedisce di essere estremamente forte e agile. Questo maestro è tanto abile con la spada quanto con le parole, e non nasconde la sua saggezza con una certa puntigliosità! Se anche voi scoprirete di adorarlo, vi consiglio di vedere lo spin-off “Marco Polo: Hundred Eyes” che tratta le vicende del maestro prima della serie principale, in particolare come è diventato cieco e come è finito al servizio del Khan.
Ma tornando a Marco Polo, la serie ci guida attraverso l’Oriente della seconda metà del XI secolo, un luogo di fascino e mistero dove la cura dei dettagli è fondamentale! Questo è vero sia per la produzione degli episodi sia per la trama e la cultura degli abitanti. I paesaggi sono straordinari, hanno girato in Italia, Kazakistan e Malesia e questi detagli, insieme ai costumi, alle curatissime scene d’interno ed al fatto che è girata in 4K (3840×2160) rendono Marco Polo una serie visivamente eccellente. Come Richelmy, gli attori sono spesso scelti delle stesse nazionalità o discendenze dei personaggi che rappresentano, il che rende ancora meglio l’idea di un incontro di culture e tradizioni diverse. Ciò è evidente in tutta la stagione ma assume un rinforzo ulteriore alla corte di Kublai Khan, bis-nipote di Gengis Khan, poiché questo ama attorniarsi di consiglieri provenienti da tutto il mondo.