E’ difficile descrivere il nostro paese al meglio nel panorama televisivo e cinematografico: come in una bizzarra recita, sembra che sia più facile travestirlo con un costume che gli sta addosso fino a un certo punto e lasciarlo esibirsi sul palco. Quante sfaccettature diverse si possono vedere in televisione: abbiamo l’Italia spietata di Suburra, quella edulcorata e fiabesca di Call Me by Your Name, l’Italia innovativa ma comunque familiare di Skam, quella conica di Vacanze Romane, la più recente di Prisma. Mille paesi diversi che provano a raccontarne uno, e non uno qualsiasi: uno che di sfaccettature ne ha milioni, pieno di controversie e difficile da inquadrare dall’esterno. E se è vero che gli italiani raccontano meglio l’Italia di chiunque altro, Mare Fuori ne è la dimostrazione più calzante. Una serie che di italiano ha tutto, non lo nasconde e che questa appartenenza la sottolinea dall’inizio alla fine con un orgoglio che serve al giorno d’oggi: il grandissimo successo di Mare Fuori arriva dal basso, che più in basso di così si muore. Ed è proprio così che è arrivata in cima.
Mare Fuori è una di quelle serie tv che non acquistano successo fino a quando non vengono messe sotto gli occhi di tutti, forse perché maggiormente di nicchia o perché nate in silenzio. Fatto sta che dopo la pubblicazione della serie su Netflix sono iniziate ad emergere le prime voci e un’attenzione sempre maggiore nei confronti di un prodotto che potrebbe sembrare uguale a mille altri, e che invece di unico ha davvero tanto. Ideata da Cristiana Farina e diretta da Carmine Elia, Mare Fuori è andata in onda per la prima volta nel 2020 su RaiPlay ed è passata quasi in sordina. Non è difficile capire il perché: con il paese piegato sotto il peso della pandemia, chiunque tra di noi aveva voglia di distrazioni. Una pausa, un sorriso, la speranza di un futuro migliore. Mare Fuori, che di speranza ne ha poca e di critica ne fa fin troppa, non faceva al caso nostro.
Adesso invece è tempo, adesso si tratta di un dovere. Perché siamo più svegli, più maturi e sicuramente più consapevoli. Dice bene che la terza stagione di Mare Fuori sia il contenuto più visto su RaiPlay: ne abbiamo bisogno, ora più che mai.
Ambientata in un’ipotetico carcere minorile di Napoli (ispirato a quello di Nisida), la serie segue le vicende dei detenuti che si intrecciano a quelle del personale penitenziario. E no, non è un caso che i protagonisti di Mare Fuori siano gli ultimi, i reietti; quelli che non ce l’hanno fatta, quelli che in un’ipotetica scala sociale si trovano ai piedi. Perchè la serie sa che bisogna partire da qui, per raccontare una narrazione quanto più vera possibile; sa che in alto c’è troppo fumo, e che basta scendere un po’ per riuscire a vedere le cose più chiaramente.
Prima di tutto è interessante vedere come lo sguardo di Mare Fuori sia più al femminile di quanto si noti a primo impatto. Non solo parliamo di una serie che ha alle spalle un’ideatrice donna (la cui attenzione ai dettagli e all’introspezione dei personaggi si vede fin dalla prima puntata): bisogna sottolineare come in Mare Fuori le grandi protagoniste a spiccare siano tutte di genere femminile. Un ossimoro quasi divertente considerando che l’Italia non è un paese per donne, per quanto cerchiamo di raccontarcela diversamente: ladre, volgari, spontanee, rumorose, fallaci, le ragazze di Mare Fuori non gridano per farsi sentire. Naditza, Rosa, Viola e tutte le altre Inchiodano con uno sguardo o una parola e ricordano a tutti quanto, in qualsiasi vicolo di qualunque anonima città italiana, sia diverso nascere uomini. Di quanto le donne debbano fare fatica per riuscire a rimanere dritte in un mondo che ancora le vuole piegate.
Alle grandi figure femminili si accompagnano le due presenze maschili cardini della serie, Filippo e Carmine (interpretati rispettivamente da Nicolas Maupas e Massimiliano Caiazzo): il primo è un milanese privilegiato, uno che a Napoli vorrebbe passarci solo per festeggiare con gli amici, ma che invece finisce intrappolato in una realtà molto diversa da quella che conosce. Per un fatidico errore che lo segnerà per sempre Filippo si ritrova bloccato in un luogo dove le regole sono invertite e paradossalmente più semplici: i soldi, e la fortuna, non servono a nulla. La cattiveria, la spietatezza, la manipolazione salvano. Da principe del suo mondo Filippo si trasforma in un reietto, con tutte le conseguenze del caso. Dall’altra parte abbiamo invece Carmine, uno che il mondo lo conosce fin troppo bene e proprio per questo non vuole averci nulla a che fare. Appartenente ad una nota famiglia camorrista, Carmine sogna al contrario un riscatto personale, un futuro diverso con la fidanzata Nina che rincorre disperatamente contro ogni pregiudizio.
Mondi diversi che collimano e che si scoprono più simili di quanto vorrebbero, questo è Mare Fuori. La serie infatti gioca continuamente sulla doppia faccia che caratterizza perfettamente il nostro paese: da una parte luogo di perdizione e corruzione, dall’altra possibilità di ricominciare e di migliorarsi. Entrambe vere, entrambe difficili.
Mare Fuori parla di un’Italia dura, stufa di essere dipinta attraverso belle tinte pastello; un’Italia spossata, piena di crepe e nonostante questo con ancora la voglia di rialzarsi.
La serie non è solo l’ambientazione delle organizzazioni criminali, di amori impossibili e comunque indissolubili, di un popolo ai margini. Mare Fuori è soprattutto la serie che meglio di tutte riesce a raccontare l’enorme problema attorno alle carceri italiane: luoghi che dovrebbero essere rieducativi e che al contrario spesso e volentieri sguazzano nel fango.
Mare Fuori parte dal basso e a terra rimane: non chiama al cervello ma al cuore, alla pancia, a quel sentimento primordiale e animale che risiede in ciascuno di noi. Mai troppo intellettuale, riesce dove tante altre serie più patinate falliscono: ci entra dentro. E ci scuote nel profondo.