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Senza infamia e senza lode: Marseille non è un capolavoro, ma neanche il disastro ricordato da tutti

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Marseille è una serie televisiva francese andata in onda tra il maggio del 2016 e il febbraio del 2018 per un totale di sedici episodi, ciascuno di cinquantadue minuti, distribuiti equamente in due stagioni. La serie è stata trasmessa su Netflix a esclusione delle prime due puntate, in onda gratuitamente su TF1, il più importante canale televisivo generalista francese in chiaro. La distribuzione, in Italia, è avvenuta nello stesso periodo di quella francese essendo Marseille il primo prodotto europeo del grande colosso americano dello streaming. In occasione della proiezione in anteprima delle due prime puntate Netflix e la città di Marsiglia hanno fatto un battage pubblicitario degno delle grandi occasioni tanto da far installare sulle colline della città di mare un’enorme scritta in stile Hollywood con il titolo della serie.
Nell’aprile del 2018 però, pochi mesi dopo il termine della seconda stagione, Netflix annuncia che non ci sarà una terza stagione decretando così la fine della serie.

Scritta da Dan Franck, scrittore e sceneggiatore francese autore tra le altre cose della meravigliosa miniserie Carlos, vincitrice di un Golden Globe come miglior serie straniera nel 2011, e diretta da Florent-Emilio Siri, regista tra le altre cose di Nido di vespe (2002) con Valerio Mastandrea e di Hostage (2005) con Bruce Willis, Marseille ha come protagonisti assoluti Gérard Depardieu e Benoît Magimel, vincitore a Cannes come miglior attore maschile ne La pianista (2001).
I due, che interpretano rispettivamente il sindaco di Marsiglia Robert Taro e il suo vice nonché delfino Lucas Barres, sono contornati da Géraldine Pailhas (affascinante donna Anna in Don Juan de Marco, con Johnny Depp), Nadia Farès (inquietante protagonista de I fiumi di porpora di Mathieu Kassovitz), Natacha Régnier (eterea Marie Thomas in La vita sognata degli angeli con il quale ha vinto a Cannes come miglior attrice femminile nel 1998) e Stéphane Caillard.

Le aspettative nei confronti di Marseille erano decisamente alte. Considerata come l’evento del 2016, dato l’argomento politico e viste le premesse di pre-produzione in molti hanno identificato la serie come la risposta francese a un altro grandissimo successo di Netflix: House of Cards. Gli autori, in diverse interviste, hanno voluto sottolineare, oltre all’importanza di lavorare per un colosso come Netflix che ha permesso loro di poter fare praticamente tutto quello che volevano senza mai mettere becco nella sceneggiatura, nella regia e nemmeno nella scelta degli attori, quanto l’accostamento con la serie interpretata da Kevin Spacey non fosse poi così azzardato.
Ma è davvero così? Marseille è la serie televisiva che può reggere il confronto con House of Cards? Sfortunatamente no. Al massimo Marseille può esser considerata come la serie che ha permesso a Netflix di entrare nel mercato europeo non solo come piattaforma di intrattenimento ma anche come solido e credibile partner per lo sviluppo di produzioni locali.

marseille gerard

Marseille, in realtà, è più simile a una Dinasty transalpina e il personaggio interpretato da Gérard Depardieu ricorda un po’ Bernard Tapie (1943-2021), politico socialista e patron dell’Olympique de Marseille tra il 1986 e il 1994.
La vicenda che innesca la storia è presto detta: a poche settimane dalle elezioni comunali Robert Taro, sindaco di Marsiglia da più di vent’anni e deciso a lasciare il suo posto al fido delfino, nonché vice-sindaco, Lucas Barres, vuole chiudere le pratiche per la costruzione di un casinò, considerato il suo ultimo regalo alla città prima della pensione. Il sindaco uscente è sicuro che non ci saranno intoppi per il suo lascito a Marsiglia ma durante il consiglio comunale nulla va come previsto: Barres vota contro la mozione innescando tutta una serie di conseguenze che accompagneranno lo spettatore per tutte le puntate. Sostanzialmente la faccenda politica è tutta qui. Il resto sono poi tutti drammi affettivi che coinvolgono principalmente la famiglia del sindaco: la moglie violoncellista (Geraldine Pailhas) affetta da una grave patologia e la figlia giornalista (Stéphane Caillard) che cerca di fare il suo lavoro scostandosi dall’ingombrante mole del padre mentre tutti non vedono l’ora che faccia il contrario azzerbinando la stampa ai piedi dell’uomo più potente della città.

marseille benoit

Truffe, omicidi, tradimenti, Marseille tratta di queste cose. Apparentemente potrebbe sembrare di leggere la cronaca reale di un quotidiano del luogo ma in realtà è tutto molto edulcorato, quasi che la serie fosse stata scritta come manifesto pubblicitario dell’ufficio del turismo della città. In nessun momento infatti le premesse precipitano nella violenza feroce e nell’intrigo subdolo che alberga troppo tragicamente nella realtà cittadina. Del resto di Marsiglia, nelle magnifiche riprese aeree in Marseille, si vedono praticamente solo le cose belle mentre le cité vengono quasi magicamente dimenticate.

Marseille viaggia sempre, costantemente, alla stessa moderata velocità. I colpi di scena ci sono anche e ben costruiti ma non danno mai l’impressione di ingranare quella marcia in più che potrebbe cambiare le cose. Si ha l’impressione che Marseille avrebbe potuto, ma forse sarebbe più giusto dire dovuto, osare maggiormente, soprattutto per la parte legata al potere. La storia, sostanzialmente, non si sofferma mai a lungo sui dettagli della politica, né sul suo funzionamento. Anche la campagna elettorale per la poltrona di sindaco manca di coraggio così come i due candidati, Taro e Barres, anziché sfidarsi a colpi di cannone preferisco il fioretto e senza troppa convinzione.
L’unico momento che risveglia un certo interesse è legato al partito del sindaco, l’UMP (partito nato nel 2002 che appoggiò Chirac e poi Sarkozy alle presidenziali), i cui conti sono stati falsificati tramite una società esterna. Ovviamente la situazione televisiva non è casuale e probabilmente c’era da parte degli autori il desiderio di ancorarsi all’attualità. In realtà questo sorta di specchio deformato che viene esibito forse con eccessivo orgoglio ma non approfondito né tanto meno elaborato, non offre niente di più alla trama.

marseille deparmagin

Gli attori protagonisti maschili appaiono a loro agio nei panni dei due politici. Depardieu giganteggia nel ruolo di un uomo tradito e traditore. La sua mole gli dona la giusta goffaggine sia fisica che mentale obbligandolo spesso a ritagliarsi momenti solitari e silenziosi per cercare di trovare la giusta strategia per tenere a galla l’impero che ha creato.
Magimel, con quel ciuffo biondo, è magistrale nel interpretare quello che per tutta la vita è rimasto nell’ombra e che è disposto a pugnalare il padre putativo alle spalle, come Bruto con Cesare, pur di riuscire a vedere il sole e mettersi in mostra.
Meno interessanti sono, invece, i personaggi femminili che forse avrebbero dovuto avere, più che maggior spazio, una migliore finezza nella costruzione.

Criticatissima in Francia, molto dalla stampa meno dal pubblico, Marseille è un prodotto che si lascia guardare, senza infamia e senza lode . Nel panorama delle serie tv c’è ben di peggio ma, ahilei, c’è anche di meglio. Il problema di Marseille è aver avuto l’audacia di volersi paragonare ad House of Cards quando dello show americano ha poco e niente. Se all’ufficio marketing di Netflix si fossero limitati a presentarla come una serie francese drammatica nessuno avrebbe avuto da ridire. Del resto ha tutto per essere un buon prodotto: grandi attori, ottimo regista, eccellente sceneggiatore.

Il problema di Marseille è che la televisione in Europa all’epoca non era ancora sufficientemente audace né abbastanza matura. Si potrebbe dire che Netflix abbia voluto fare, con la serie francese, una sorta di prova generale (e i prodotti successivi – The Crown e Suburra per dirne due – mostrano un aggiustamento di rotta necessario e molto ben riuscito). D’altro canto Depardieu non è Kevin Spacey e Marsiglia non può essere paragonata a Washington DC. Marseille è qualcosa di più locale, di più ancorato al territorio seppure con qualche madornale omissione. La realtà europea non dovrebbe copiare quella americana perché non è in grado di reggere il confronto. A ciascuno il suo, come dimostrano le serie poliziesche nordiche, per esempio, che nulla hanno da invidiare a quelle americane. Sono prodotti diversi e la diversità, in mondo che vira sempre di più al globalismo, è la carta vincente da giocare per il piacere di tutti.

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