La tensione cresce, finalmente, avvicinandoci a ciò che ci si aspetta da Mayor of Kingstown. Puntata che soddisfa sia gli amanti dell’action che dell’introspezione. Il passato di Mike si ripresenta infatti, ancora una volta, come focus centrale, e alcuni nodi vengono al pettine. Le alleanze più inaspettate si esplicitano, in un rapporto che ha radici antichissime e che non vede il protagonista come un ex detenuto qualunque. Se era chiaro che lo scontro avrebbe interessato Crips e Ariani, ora è ancora più certo che Mike si troverà tra 2 fuochi.
Entrambi agitati da un odio socio-culturale e da una lealtà che non fa trapelare nulla. Nessuno tradirebbe Bunny né nessuno tradirebbe Merle. Più ambiguo, ma anche quello in via di sviluppo, il ruolo di Konstantin, cosa sia realmente venuto a tenere sotto controllo, e cosa spera di ottenere con i contatti, inaspettati, che inizia a prendere. Taylor Sheridan, che mai delude, torna così a farci appassionare per l’intera durata dell’episodio, con un finale senza esplosioni, ma con importanti scoperte.
La risposta a un finale incandescente che cerca colpevoli, ma in realtà vuole vendetta
Cupa come sempre, le prime inquadrature della puntata trasmettono tutta la rabbia a seguito di quell’attentato che aveva costituito il cliffhanger del terzo episodio. Uno shock che si traduce in una caccia ai colpevoli, e una risposta su chi sia il mandante. Ma tutto passa in secondo piano quando assistiamo a una scena, anzi a più scene, che si sono fatte attendere. Quando la macchina da presa inquadra Richard Brake la sua interpretazione impeccabile oscura chiunque. Persino lo straordinario Jeremy Renner nei panni di un Mike che vediamo esagerare, perdere le staffe. Sopratutto quando si toccano dei nervi scoperti. Ma una domanda rimane aperta: a trafiggerlo sono i riferimenti a chi non c’è più o quelli al proprio passato? Merle conosceva Mitch, conosceva Miriam, quindi sorge spontanea un’altra domanda: quanto realmente Merle conosce Mike?
La moralità di Mike che sembra non convincere più realmente nessuno
Questo quarto episodio delle serie tv di Paramount+ si svolge maggiormente a Kingstown e Anchor Bay si vede solo da lontano, salvo qualche momento e l’incontro che si aspettava tra Mike e Merle. Prima nel cortile e poi separati dal vetro comunicando attraverso la cornetta. Altro tema la violenza. Un qualcosa che fa parte di tutti, tra cui proprio Mike, ma c’è forse qualche personaggio che tenta di diventare simbolo ed emblema di una crescita morale ed affettiva, a dimostrare che i valori familiari e l’amore sono sì estranei a Kingstown, ma salvifici e necessari a chiunque. Lo stesso istinto di protezione di Mike si colora di ragioni, motivazioni e regole: qualsiasi reato commesso e nato da un dolore, com’è il caso di Anna che ha ucciso per vendicare l’assassinio del figlio, dovrebbe essere prima compreso e poi punito.
Anzi, dal punto di vista di Mike, non ha senso chiudere dietro le sbarre chi ha agito mosso da una sofferenza inimmaginabile, come chiunque altro avrebbe fatto, o voluto fare, nella stessa situazione. Ma anche questa è la logica di Kingstown. Un crimine commesso per il piacere di farlo, per mettere a tacere qualcuno, per controllare il territorio o per chiarire come esistano persone alle quali obbedire sempre, sono tutti reati che meritano di essere condannati. Ma nel caso di Anna è diverso e, per Mike, lo sarà sempre. Per lui, nelle fiamme dell’inferno che avvolgono e inceneriscono Kingstown, si tratta solo del tentativo di sopportare un’assenza e un vuoto incolmabile. Dove la vendetta è un briciolo di quel senso di giustizia che fin troppo spesso non fa il proprio corso.
Se alla legge si può sfuggire, bisogna però sottostare a quella di Kingstown
Nella città che controlla Mike la vendetta di Anna è il male minore, lei non deve essere incriminata e imprigionata come tutti coloro che dietro le sbarre di Anchor Bay e altri carceri di massima sicurezza, dovrebbero passare il resto della vita. Anche questo elemento, che in parte era stato rappresentato da Iris nelle stagioni precedenti o da quei ragazzi che la madre di Mike e Kyle prendeva a cuore, mostrava come il sistema di Kingstown fosse distorto e come lo stesso spettatore dovesse abituarsi a un nuovo modo di vedere le cose. Modificando l’idea stessa di criminalità. E tra costruzione dei personaggi, del mondo, scelta delle location, scenografia e fotografia, si può che dire che Mayor of Kingstown sia riuscita nel proprio intento.
Gli antagonisti di Mayor of Kingstown 3 ribaltano il concetto stesso di villain e crudeltà
La quarta puntata dello show di Paramount+ (qui le 10 migliori serie tv della piattaforma secondo Hall of Series) conferma l’ottima caratterizzazione di Merle che appare provocatorio, sagace, astuto e a suo modo brillante, tra allusioni e monologhi. Legati al carcere, alla sua banda e specificatamente al direttore di Anchor Bay, Kareem, e a Mike. Momenti di dialogo che valgono un’intera puntata. Scambi di battute che in questo caso palesano fattori che approfondiscono la figura di Mike. Ed era proprio ora. Per il resto non è chiara la figura dell’infiltrato all’interno di Anchor Bay, uomo di Bunny e che, insieme al passato di Mike, era una delle scelte più interessanti, che appassionavano nel doppio gioco che coinvolge tutti a Kingstown. Senza nessuna reale sicurezza alla quale potersi aggrappare.
Se la città che è sfondo e protagonista principale dello show che porta il suo nome, Mayor of Kingstown non gioca mai facile. Perché nel suo terzo capitolo accresce quel clima che si respirava già dalla seconda stagione (qui la recensione della seconda stagione). E cioè il bisogno che l’onesta e l’integrità morale dimenticata possano fare ritorno. Almeno in chi indossa un’uniforme più che una divisa. È così che il personaggio di Evelyn non mostra alcuna pietà né una reale paura negli avvertimenti da parte di Mike. Un Mike con gli occhi pieni di sconforto e che sperano di non dover arrivare a proteggere anche lei, come ha fatto con Iris. Premendo il grilletto con troppa facilità verso chi affermava forza, potenza e dominio solo su chi poteva realmente assoggettare.
Agli albori della mid-season qualcosa sta cambiando
Dal promo del quinto episodio sembra però che Iris possa avere un ruolo fondamentale per quanto riguarda Konstantin, definito intoccabile, ma che forse è l’unico personaggio con cui Mike non riuscirà a fare reali accordi. La complicità, tra paura e affari che evitano massacri, attacchi e altre morti, che hanno creato nel tempo Mike e Bunny e che, si è instaurata, prima ancora che si incontrassero, tra Merle e Mike, è comunque impareggiabile. Non è un caso che Konstantin appaia, almeno per adesso, ancora a margine. Come era Milo. Merle oltretutto sembra superarlo in quanto villain, rivelandosi una delle figure meglio costruite.
Dalla scelta dell’attore, alla sua voce, profonda e rauca, al suo sorriso, sempre simile a un ghigno. Fino a quei denti consumati che non sembrano neanche umani. Merle è una figura spaventosa da ogni punto di vista. Visivamente, per quello che dice, per come lo dice e per come è chiaro che sia un uomo pronto a tutto. La sua mossa si attende sempre con trepidazione e ansia, con la sua supremazia chiarita più volte. Temuto e rispettato ovunque, entrando ad Anchor Bay era sicuro che anche lì avrebbe avuto i suoi pronti a eseguire i propri ordini.
Lo sguardo di Mike, quando lo incontrano e il loro parlare “della memoria dei vecchi tempi” è un’ovvia, ottima e sorprendente prima esplorazione di un relazione interpersonale che in Kingstown non ha eguali. C’è un trascorso, c’è qualcosa che nascondono. C’è un desiderio che alcuni aspetti rimangano nell’ombra. Un tormento angosciante, che da sempre, pervade l’animo di Mike e di tutti gli altri personaggi. Ma tra i due c’è anche sintonia, condivisione di ricordi, consapevolezza dell’uno nei confronti dell’altro. Un’alchimia malsana che mai supera la volontà di distruggersi a vicenda.