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Perché dovreste iniziare Mayor of Kingstown, con uno straordinario Jeremy Renner

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Perché sì. Risposta scontata, considerato il titolo del pezzo. Sfrontata, considerato che i gusti sono gusti. Forse, persino un po’ maleducata, perché impone un’opinione. Ma sincera. Davvero: Mayor of Kingstown è uno di quegli show televisivi che non possono mancare nel vostro curriculum di televisivi seriali.
Potremmo terminare qui la faccenda ma dobbiamo avvalorare la nostra affermazione, e perciò proseguiamo.

Cominciamo col dire che Mayor of Kingstown nasce da un’idea di Hugh Dillon, sviluppata insieme a Taylor Sheridan. In realtà, più che un’idea, quella di Dillon è un’esperienza di vita. L’attore canadese infatti, celebre per aver interpretato Ed Lane in Flashpoint e, più recentemente, Donnie Haskell in Yellowstone, è nato e cresciuto a Kingston, cittadina del Canada con la più alta concentrazione di istituti penitenziari dello stato: ben sei, tutti situati nell’aria metropolitana cittadina.
Hugh Dillon, che qui interpreta un tenente di polizia da leccarsi i baffi, ha iniziato a lavorare alla serie circa una decina di anni fa, quando studiava recitazione insieme a Taylor Sheridan. I due hanno cominciato a scambiarsi idee, soprattutto basate sulla vita, scombussolata, dell’attore canadese: “ero finito in un brutto, bruttissimo giro. Ed ero candidato a entrare in uno dei penitenziari della mia città. Droga, armi: ero un vero delinquente anche se, onestamente, non ero tagliato per farlo. I miei genitori erano preoccupati e mi hanno mandato via. Per diversi hanno ho avuto il divieto di mettere piede a Kingston. Ma il mio sogno è sempre stato quello di omaggiare la mia città natale perché in qualche modo è speciale“.
I racconti di Hugh erano inquietanti e affascinanti al tempo stesso. Le idee su questa serie prendevano forma senza nemmeno troppi sforzi. La vita ci ha separati per un certo periodo ma quando ci siamo ritrovati erano ancora lì e col tempo, avevano dato i loro frutti” spiega Taylor Sheridan, candidato all’Oscar per la sceneggiatura originale di Hell or High Water, e creatore di Yellowstone, delle sue iconiche citazione e i suoi prequel, di Tulsa King con Sylvester Stallone, e sceneggiatore, tra le altre cose, di Sicario e Soldado, con Benicio Del Toro.

Hugh Dillon 640×360

Dalle due menti è nata una serie che non farà la storia della televisione, sicuramente. Ma che è capace di lasciare un segno, bello profondo, nell’animo spettatore. Una serie che, al di là delle apparenze, racconta ben altro, scavando in profondità e mettendo in luce l’umana disperazione. Del resto è lo stesso interprete di David Hale di Sons of Anarchy a dirlo: “preferisco le trame semplici perché così mi posso concentrare sui personaggi, creare il loro mondo, la loro anima, e, soprattutto, i loro tormenti“.
Mayor of Kingstown, infatti, non è un semplice crime thriller. E nemmeno un family drama anche se di entrambi ha molto. Mayor of Kingstown è un grosso affresco di un’America cupa e degradata, priva morale e di qualsivoglia possibilità di riscatto, dentro il quale i personaggi raccontano con toni tragici e rassegnati una grande epopea.
La famiglia di origini irlandese McLusky ci viene presentata come già avviata a un qualcosa del quale non abbiamo piena comprensione per tutta la prima stagione. I McLusky, infatti, sembrerebbero legati alla città, Kingstown praticamente da sempre quando in realtà capiamo che le cose sono iniziate con il padre, morto in circostanze misteriose.
Restano una madre, interpretata da Dianne Wiest; tre figli, interpretati da Jeremy Renner, Taylor Handley e Kyle Chandler; una moglie, in dolce attesa, Nishi Munshi; una segretaria fedele, Nichole Galicia; e una prostituta ancora troppo giovane per conoscere il mondo, Emma Laird. Attorno a loro ruotano gangster violenti e impietosi con i membri delle rispettive gang; carcerati sia maschili che femminili in lotta contro loro stessi e un sistema carcerario che non li rispetta; un dipartimento di polizia corrotto e fedele; agenti dell’FBI senza speranza; e un orso bruno, o forse un grizzly, nella foresta dei paraggi di Kingstown.

Ci sono tanti meravigliosi elementi all”interno di questa serie. Ci sono persino due simpatiche citazioni all’universo Marvel del quale Jeremy Renner fa parte. Ci sono anche tanti pasticci, a dirla tutto. Certi buchi di trama grossi così, talmente palesi da far sorridere e scuotere il capo. Certe scene che alla fine lo spettatore ha dipinto sul volto un grande, inequivocabile WTF?. Eppure, nonostante tutto, si resta incollati allo schermo e si guardano le puntate, una dietro l’altra, desiderosi di scoprire fino a che punto, l’essere umano, sia in grado di spingersi verso il basso. Per poi scavare.

Perché, in sostanza, di questo parla Mayor of Kingstown: dell’essere umano.

Lo fa senza retorica, senza falsi moralismi. Mettendolo sotto una potente lente d’ingrandimento per riuscire a visualizzarne ogni singolo pensiero. Tutti focalizzati sulla continua ricerca di un modo per poter fuggire. Con una rassegnazione umida e appiccicosa che si è incollata addosso ai personaggi e non se ne va più via, nemmeno con la più rigida delle spazzole.
Le inquadrature che descrivono la città mettono in mostra un mondo dal quale non si può disertare. I fumi delle ciminiere ingrigiscono tutto il resto e che tu sia dentro o fuori le mura della prigione non hai scampo. Sono gli stessi personaggi a dirlo, a gridarlo, a sussurrarlo, in preda a una cupa disperazione che non si cancella nemmeno nelle giornate di sole, nemmeno nella foresta più selvaggia. Non c’è speranza a Kingstown e dunque, si può solo fare il male minore in attesa di morire, unica soluzione per poter partire verso lidi migliori.

Mayor of Kingstown
I fratelli McLusky 640×360

In Mayor of Kingstown non ci sono valori cui aggrapparsi. Nemmeno l’imminente nascita di un figlio. Le cose sono sempre andate male e continueranno a farlo seppure si menta cercando di spacciare un equilibrio che non esiste. E in questo è grandioso il lavoro di Taylor Sheridan che ogni volta alza di una tacca l’asticella dell’umana sopportazione fino a rasentare, con questa serie, l’insostenibilità. Perché a un certo punto, allo spettatore, manca proprio la forza di sottrarsi al destino e diventa complice dei protagonisti sopportandone il peso della vita quasi con altrettanta con fatica. Siamo in mezzo ai gangster, non esistono più i buoni. La violenza e la morte sono le uniche leggi che identificano l’individuo come tale.
I dialoghi tra i protagonisti sono grandiosi anche se di più lo sono i silenzi pregni di significato e di creatività. Perché dai silenzi nasce sempre qualcosa.

Se vi piacciono le serie dove i protagonisti non hanno nessuna speranza, dove il grigiore la fa da padrone, dove ogni singolo morto è funzionale alla storia, dove la tensione si taglia con un grissino allora guardate questa serie. L’interpretazione di Jeremy Renner nei panni del Sindaco è straordinaria. Il suo, quello di Sindaco, è un ruolo che non ha voluto perché non ne ha le capacità ma che porta avanti con testardaggine e la convinzione di poter mettere le cose a posto.
Il personaggio di Jeremy Renner è perennemente punzecchiato da quello della madre, una meravigliosa Dianne Wiest. L’interpretazione dell’attrice vincitrice di due Oscar è fuori dal comune. Tra tutti lei e la nuora sono forse le uniche persone che cercano di remare contro la deriva che sembra aver preso il mondo. Senza successo, ovviamente. Le lezione che la donna tiene nel carcere femminile, sulla storia americana, sono piene di significato. Ogni sua parola sembra dare una spiegazione alla narrazione, come a dire che le cose vanno così perché questa è la nostra storia.
La sua ambivalenza è degna di un grande personaggio. Sa dei loschi affari dei figli e nutre verso il personaggio di Jeremy Renner una battagliera animosità che le permette di potersi guardare allo specchio, ogni mattina. Uno specchio, però, che le restituisce un’immagine distorta nella quale non si riconosce più.
Accanto a lei, rassegnata e disillusa, c’è la nuora, interpretata da Nishi Munshi, altro bellissimo personaggio che speriamo venga sfrutta di più nella seconda stagione. La donna è in dolce attesa ed è silente accanto al marito, interpretato da Taylor Handley, il più giovane dei tre fratelli. Non dice. Non agisce. Subisce in silenzio delegando alla suocera la gestione del suo matrimonio.

Mayor of Kingstown
Dianne Wiest 640×360

Questa serie, che ricorda i grandi romanzi di James Ellroy, quei romanzi dove la china pende verso l’inferno, è ricchissima di personaggi femminili meravigliosi. Lo è infatti la segretaria di Jeremy Renner, che si occupa di lui. Sa cosa gli occorre ancora prima di lui. Si prende le giuste confidenze senza mai esagera e la rende indispensabile a mantenere in rotazione il mondo del suo principale.
Altrettanto lo è il personaggio interpretato da Emma Laird, qui al suo primo ruolo degno di una certa importanza. La sua capacità di sopportare le angherie che l’universo sembra rivoltarle addosso per metterla alla prova è allucinante. In uno scambio di battute Jeremy Renner le dice che le dà un anno prima di capitolare. Ma dal loro primo incontro questo anno sembra ridursi ogni giorno più in fretta.

Ecco: cosa faranno questi personaggi? Cosa riserverà loro il destino? Cosa succederà loro? Quanto male finirà questa storia? Sono queste le domande che lasciano questa serie alla fine della prima stagione. E poco importa che la rivolta carceraria sia perché i prigionieri esigono un trattamento migliore, una spiegazione che risulta un po’ debole, nel complesso dell’opera, ma perfettamente credibile e reale. Perché di contro vediamo la morte per iniezione di un condannato per omicidio ed è una delle scene più forti ed emozionanti degli ultimi anni viste in televisione.
Se una serie lascia degli interrogativi del genere allora vuol dire che è fatta bene. E se è fatta bene, come in questo caso, allora dovreste iniziare, e finire, Mayor of Kingstown. Lasciatevi sommergere da questa visione opprimente dell’umanità. Non ve ne pentirete!