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Lettera di Merlino ad Artù

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Ho attraversato tutte le epoche umane osservandole dalle nebbie di Avalon; ho sentito la magia crescere in me, laddove le altre creature la dimenticavano e la sotterravano nelle viscere della vostra terra, Artù.

Mentre gli anni senza di voi passavano nella solitudine mi sono visto invecchiare e nello stesso tempo diventare sempre più potente, sempre più forte, proprio come le profezie su Emrys avevano annunciato: dalla sofferenza che circondava la vostra morte, mio signore, è nata la saggezza di cui io più di chiunque avevo bisogno.

Eravate l’anima del nostro mondo, Artù, e il vuoto che avete lasciato ci ha gettati nel buio per secoli: ignari secoli di lotte senza quartiere in onore di false divinità; secoli nei quali ho dormito un sonno agitato, come un insetto chiuso nel suo bozzolo in attesa di un raggio di luce. Siete morto quando eravamo ancora ragazzi. Non importa cosa ne pensassimo, cosa dicessero di noi le persone che ci circondavano o quanto le avventure della vita ci avessero già segnati: eravamo ragazzi che esistevano soltanto per scoprire e amare: scoprire chi eravamo, e amare lo strano legame che ci univa. Un legame indissolubile.

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Il bambino Merlino ebbe fine quel giorno, insieme a voi: le lacrime mi scoppiarono dentro, esaurendo la fiamma che ci aveva resi giovani e ingenui insieme. Perché, lo seppi allora, le risorse di noi esseri dotati di mente e cuore avevano un limite che si chiamava morte, e né la vostra spada né la mia magia potevano oltrepassarlo.

Quando si è un principe biondo come voi o uno stregone dal destino immenso come me si crede di non subire i colpi del dolore, anzi si è convinti di diventare più resistenti a ogni assalto: ma quel giorno lontano l’incapacità di obbligare il vostro cuore a ricominciare a battere mi fece capire l’unica verità che avrei dovuto portare sempre con me, la verità beffarda che mi avrebbe distrutto prima e reso grande poi.

I sentimenti umani sono preziosi, eppure non possono salvare il mondo.

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No, l’amore non è servito a sanare le vostre ferite, mio signore Artù. Vi ero stato accanto così a lungo e avevo concentrato su di voi così tanta energia benefica da illudermi che la forza nascesse da ciò che provavo per voi, da voi stesso: invece allora mi fu chiaro che le meraviglie degli incantesimi scaturivano da una parte di me che non era umana, mentre l’affetto verso di voi era la cosa più mortale, e fragile, che possedessi.

Compresi che avrei dovuto consegnarvi al vostro riposo e riprendere il cammino, gettarmi alle spalle i ricordi per dedicare il resto della vita alla causa, all’ideale, allo scopo in vista del quale mi era stato assegnato un posto vicino a voi: portare sulla Terra il luminoso regno di Albione.

All’improvviso realizzai che solo il potere e la saggezza mi avrebbero permesso di cambiare il futuro, di manipolare lo spirito della natura e forse di riuscire prima o poi nell’impresa che non ero stato in grado di compiere mentre vi guardavo perdere i sensi… Combattere la morte.

Osservare gli eventi con gli occhi lungimiranti e sereni di un dio è l’unica vera via per esercitare la libera volontà. Altrimenti si rischia di essere delle semplici creature in balia del destino.

Nell’istante della vostra morte capii tutto ciò, però ero ancora troppo legato a voi, e la vostra presenza era ancora troppo palpabile attorno a me: non accettai di avervi perso, anzi mi abbandonai al dolore più sordo; fu come esistere in un costante dormiveglia, girovagare per giorni interi in sogni sfocati che a volte mi mostravano sagome prive di volto. Sagome di amici, persone che un tempo avevo amato ma che in quel momento non significavano niente.

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Fu una notte senza stelle né fuochi a guidare i miei passi; il silenzio sembrava abitato dagli spettri che avevo affrontato con voi tanto tempo addietro: mi passavano accanto frusciando, sibilando come vento tagliente, prendendosi gioco del mago cieco che arrancava a fatica. Non vi fu pietà da parte di nessun dio, nessuna forza onnipotente; restava solo il vuoto che credevo assoluto.

Però non lo era: respirai di nuovo in una serata d’estate abbastanza chiara, quando tutto riprendeva fiato dopo il calore del giorno; la magia formicolava nelle mie vene, l’anima segreta della natura mi sussurrava ancora la sua canzone senza fine. E le nuvole erano nere ma volavano draghi lassù, mostri dalle grandi ali attraversavano l’orizzonte consapevoli di me, del mio esserci sulla terra e sotto al cielo.

La fiamma si era riaccesa… Tardi, eppure non troppo tardi, per fortuna.

Rimasi a osservare mentre il potere in me cresceva come non aveva mai fatto, sorrisi tristemente ai miracoli che le mie mani ora salvifiche compivano su qualunque oggetto toccassero, e udii questa voce che conoscevate bene pronunciare parole rubate chissà come da un angolo della mente che non sapevo di avere.

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Sareste stato orgoglioso di me, Artù: ho sfiorato vette che nessuna creatura ha mai osato immaginare, ho sollevato il velo dei misteri più nascosti del mondo. E tutto con la beatitudine del dio, e la sofferenza dell’uomo con il cuore spezzato.

E dato che le profezie parlavano anche del ritorno del re eterno, mio signore, ora vi prego di non farmi più aspettare; adesso che i secoli portano miseria e freddo sui vostri campi, vi chiamo con il sospiro in grado di attraversare le nebbie dell’Isola dei Morti

Ascoltatemi, Artù. È ormai tempo di tornare.

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