Lo abbiamo visto in uno dei ruoli di punta di Mindhunter: Ed Kemper non può fare a meno di stuzzicare la curiosità di chi lo incontra, come succede a Holden Ford.
Non tutti i serial killer sono pazzi psicopatici che agiscono d’istinto e lui rappresenta quello che non ci aspettiamo: un uomo intelligente, volitivo, acculturato, pienamente in possesso di una chiara percezione di sé stesso.
Nasce il 18 dicembre 1948 a Burbank, in California, da Clarnell Elizabeth Kemper, impiegata all’università ed Edmund Emil Kemper II, un veterano della seconda guerra mondiale che è rientrato per lavorare come elettricista. Alla nascita pesa già quasi sei chili, a quattro anni è molto più alto dei suoi coetanei. Intelligentissimo, arguto e affabile, manifesta fin da piccolo i segni di un carattere deviato: tortura e uccide gli animali. È violento, morboso, inquietante e dice cose che un bambino normale non solo non direbbe, ma non penserebbe mai.
Alla sorellina maggiore che gli chiede perché non abbia provato a baciare la sua insegnante, risponde:
“If I kiss her, I’d have to kill her first.”
Legatissimo al padre, soffre molto quando i genitori divorziano nel 1957 ed è costretto a vivere con la madre in Montana. Con la donna ha un rapporto che definire conflittuale è eufemistico: alcolizzata, frustrata e prevaricatrice, soffre di disturbo borderline della personalità e non esita a umiliarlo e tormentarlo. Lo costringe a dormire nello scantinato di casa, per paura che possa fare del male alle sorelle, lo prende in giro per essere smisuratamente alto a soli 15 anni. Rifiuta di coccolarlo per paura che diventi gay.
Uno dei protagonisti di Mindhunter cresce tra costanti umiliazioni, senza amore, senza affetto e il comportamento della madre ha aggravato la sua già disastrosa salute mentale.
A 15 anni scappa di casa per ricongiungersi al padre, che, nel frattempo, si è risposato e ha avuto un altro figlio. Resta con lui fino a quando non viene spedito dai nonni paterni e, anche in questo caso, la figura femminile, la nonna, ha un carattere dominante e opprimente.
Ed non trova mai pace, mai un porto sicuro, mai qualcuno che si prenda cura di lui. E, soprattutto, non ha riferimenti femminili affidabili o rassicuranti.
La donna, Maude Matilda Hughey Kemper, il 27 agosto 1964 ha un litigio con il nipote. Ed, infuriato, prende un fucile che il nonno gli ha regalato per cacciare e le spara una volta in testa e due alla schiena. Quando il nonno ritorna a casa, uccide anche lui per evitare di dovergli dare spiegazioni. È ancora lui che chiama la polizia e aspetta il loro arrivo.
Gli psichiatri del tribunale, chiamati ad analizzare il ragazzino, restano sbalorditi per i suoi crimini, gli diagnosticano la schizofrenia paranoide e decidono di ricoverarlo nell’unità di psichiatria dell’Atascadero State Hospital.
In ospedale lo studiano e gli riscontrano un QI altissimo e una personalità disturbata di tipo passivo-aggressivo. In ospedale si comporta come un prigioniero modello, attirando su di sé le simpatie del personale. Nel frattempo, impara anche i rudimenti della psicologia e inizia a usare i test sugli altri pazienti.
In un secondo momento, ammetterà che quei test gli sono serviti a manipolare gli psichiatri e di aver imparato molto dai prigionieri accusati di reati sessuali.
Il giorno del suo 21esimo compleanno ritorna in libertà e, contro le indicazioni degli psichiatri (e del buon senso), viene affidato alle cure della madre.
Frequenta il college e tenta di entrare in polizia, ma viene scartato per la sua stazza: è ormai alto più di due metri.
Tra il maggio 1972 e l’aprile 1973, Kemper si lascia prendere da una furia omicida incontrollabile che inizia con l’omicidio di due studentesse del college e termina con quello della madre e della sua migliore amica. Il suo target sono ignare autostoppiste a cui dà un passaggio. Le porta in un luogo isolato, le uccide, poi ne porta il cadavere a casa, dove le decapita, le violenta e infine le fa a pezzi. In un’intervista afferma che di solito si metteva in caccia di una vittima quando litigava con la madre che, tra l’altro, non gli presentava le studentesse dell’università dove lavorava, perché:
“You’re just like your father. You don’t deserve to get to know them.”
Non ci vuole molto per ipotizzare che le giovani donne che sceglieva come vittime erano solo un mero surrogato del suo reale obiettivo: la madre.
Le 18enni Mary Ann Pesce e Anita Luchessa scompaiono il 7 maggio 1972. Delle due, viene ritrovata solo la testa di Mary Ann. C’è quindi la 15enne Aiko Koo, studentessa di danza di origini lettoni, la cui madre tappezza le strade di volantini per ritrovarla, senza successo. La 18enne Cindy Schall gli chiede un passaggio e firma la propria condanna a morte.
Ormai è chiaro che c’è un serial killer a piede libero e alle studentesse viene ordinato di accettare passaggi solo da macchine che rechino l’adesivo dell’Università. La macchina di Ed Kemper ne ha uno, dato il lavoro di sua madre: agli occhi delle ragazze, l’uomo non costituisce nessun pericolo.
Tocca poi alla 23enne Rosalind Thorpe che sale sulla sua auto con l’adesivo rassicurante e, subito dopo, alla 20enne Allison Liu che si fida della presenza di un’altra ragazza.
Ciò che quest’uomo ha fatto a queste povere ragazze è osceno e terrificante: Ed Kemper è una persona che gode della sofferenza altrui.
Il 20 aprile 1973 segna il capitolo finale di questa storia terribile: Ed Kemper uccide la madre (che subisce il trattamento di tutte le sue precedenti vittime) e, subito dopo, la migliore amica della donna, Sally Hallett.
La sua missione è compiuta e, come se ormai avesse raggiunto il proprio obiettivo – e quindi una specie di pace dei sensi-, dopo una breve fuga in Colorado, chiama la polizia autodenunciandosi.
Arriva addirittura a chiedere per sé la pena di morte tramite tortura, ma dato che la pena capitale è sospesa, finisce nella stessa prigione dove è detenuto Charles Manson.
In carcere è un prigioniero modello, rilascia interviste, è un conversatore affabile: il profiler dell’FBI John Douglas (che ha ispirato Mindhunter) lo definisce una delle persone più intelligenti con le quali abbia mai parlato.
Nel corso degli anni chiede senza successo la libertà sulla parola ed è tuttora in prigione.