Ancora una volta siamo di fronte a un incipit che riguarda BTK. Ormai è diventata abitudine per quasi ogni episodio, anche in Mindhunter 2×03, guardarlo svilupparsi, essere parte della sua storia e delle sua crescita. È forse, anzi sicuramente, il serial killer che abbiamo visto maggiormente e che probabilmente continueremo a conoscere e incontrare parecchie altre volte.
Stavolta lo vediamo prendersi qualche rischio in più. Disegnare un’azione drammatica e farlo in un luogo pubblico. Sarà interessante cercare di capire cosa innescherà le sue azioni in futuro.
Mindhunter 2×03 è una puntata di passaggio, necessaria a dare calma prima di una tempesta.
Intanto Bill cerca di mantenere stabile il contatto con la sua famiglia, cercando di non lasciare sola la moglie Nancy e facendo da padre full time a Bryan. Non è semplice per lui e si nota, ma ora come ora, lasciare Ford da solo è più una prova, un semplice momento di maturazione che deve affrontare in un tempo preciso. La coincidenza del cadavere nella casa in vendita accade nel momento più equilibrato di Holden (che, in passato, era stato risucchiato dal suo abisso interiore).
Bill vede l’effetto dell’efferato omicidio del piccolo di 22 mesi nella casa in vendita, guarda con attenzione le foto e ipotizza, ma le ipotesi che si possono fare a questo punto sono ancora molto lontane dalla verità.
Ad Atlanta incontra Jim, un personaggio che sarebbe potuto diventare uno del team e riscontriamo la sua bravura dal primissimo istante. Insieme incontrano Pierce, un serial killer che rimane impresso per il suo linguaggio, per la sua irriverenza nel mostrare un talento nelle lingue quasi inesistente. In questo colloquio vediamo come la tecnica del dipartimento di scienze comportamentali è stata guardata anche altrove, in questo caso dallo stesso Jim che imita Holden e che porta a Pierce delle caramelle per farlo parlare.
Vediamo anche un’altra cosa particolare. Un cambiamento di Holden nei confronti dei serial killer che intervista. Si rivolge a loro con distacco e neutralità, è in un certo senso più altezzoso.
Allo stesso tempo Holden viene avvertito dell’esistenza di un altro caso particolare: alcuni ragazzini scomparsi di cui non si occupa nessuno. Anche in questo caso, si nota un cambiamento nel carattere di Holden Ford, ha sempre la stessa creativa impulsività, ma non sfocia in comportamenti distruttivi. Promette di indagare e questo influenzerà non solo la gestione degli altri casi, ma anche il suo rapporto con l’FBI stessa.
Il colloquio con Hance si svolge invece su una linea diversa. Il serial killer, conosciuto come The Stocking Strangler, sembra non dare peso a nulla. Non agli omicidi, non alle vittime. Ma l’intervista con Hance è solo un passaggio, il caso importante da risolvere ora diventa la scomparsa dei ragazzini e i conseguenti omicidi. Si pensa siano casi diversi, omicidi perpetrati da menti differenti. Questo è il caso che, come nella prima stagione, accompagnerà la trama fino all’ultimo episodio.
Qui riusciamo a intravedere Holden che alza sempre di più l’asticella. Con le interviste e con i casi. Ora è interessato al caso dei ragazzini morti e le interviste con Pierce e Hance non gli hanno dato assolutamente nulla, emotivamente parlando.
Si scopre però comunque qualcosa che potrebbe portare a evidenziare un pattern comune per gli omicidi dei due serial killer: sono entrambi soldati.
Gregg comincia a essere vicino alla squadra, cerca di entrarci dentro e di avere la loro approvazione. Ha alle spalle un tradimento e questa è la prima volta che riesce a emergere con forza e intensità.
Dall’altra parte Wendy fa il passo decisivo con Kay. Si mette in gioco e si scopre dimostrando un’audacia sentimentale che non abbiamo visto spesso da parte sua.
Questa è una puntata di passaggio, è servita a guardare, studiare e approfondire il legame tra i personaggi. Non ha dato colpi di scena, ma era necessaria per stabilire una sorta di equilibrio. Una base che probabilmente servirà da punto di partenza per le successive svolte di trama e colpi di scena.