Mindhunter 2×04 è fondamentale per mostrarci il sentiero che verrà intrapreso da questa attesissima seconda stagione. Avevamo lasciato Holden alle prese con il complicato caso dei bambini scomparsi di Atlanta, impegnato a gestire il delicato equilibrio di una città multirazziale. Bill Tench a fargli da spalla, diviso però tra lì e Quantico per il caso del bambino ritrovato morto in una casa amministrata dalla moglie.
Wendy e Gregg Smith vengono ulteriormente approfonditi, nel corso di Mindhunter 2×04. La riservata professoressa si ritroverà a scontrarsi con le conseguenze inattese del suo lavoro, su due piani: quello professionale e quello umano. Smith invece dimostrerà ancor più la sua incompetenza e la sua totale inettitudine al lavoro, lasciandosi prendere dal panico di fronte al suo primo criminale intervistato, ed essendo prontamente salvato da Wendy. Che però, per farlo parlare, dovrà confessare il suo segreto più inconfessabile.
Dovrà dire di essere attratta dalle donne, un vero tabù nell’America di fine anni Settanta, e sicuramente non un argomento facile da trattare con un serial killer probabilmente (e segretamente) omosessuale.
Ma facciamo un passo indietro. Wendy è protagonista della prima metà di Mindhunter 2×04, e la sua rivendicazione di libertà va di pari passo con i timori di una donna troppo ancorata all’apparenza e alla rispettabilità per lasciarsi andare. Il flirt con la barista mette in luce due aspetti della sua personalità. Un certo atteggiamento di superiorità e di attrazione verso le classi da lei considerate inferiori e una tendenza, sicuramente di derivazione professionale, a giudicare gli altri.
Questa attitudine viene subito notata dalla sua possibile nuova fiamma, che ha abbastanza fegato da tenerle testa. Wendy, a furia di avere a che fare con l’aristocrazia degli investigatori e con i criminali più efferati, ha perso il contatto con la realtà. Le personalità estreme la attraggono: ma così rischia di perdere la capacità di relazionarsi con le persone normali. La sua calma, sicurezza e impassibilità, a volte quasi gelide, le consentono però di tenere a freno una personalità criminale violenta e fuori controllo e di muovere l’intervista a suo vantaggio.
La sua confessione, scaturita forse da una sorta di necessità di baratto di informazioni, si rivela cruciale per far aprire il soggetto. Come Clarice Starling, lei baratta con il suo Hannibal Lecter l’informazione più preziosa che ha. Sicura che nessuno prenderà sul serio quel segreto. E lo fa proprio davanti al più inetto dei suoi colleghi, colui che poco prima, con aria sprezzante, aveva definito gli omosessuali dei disturbati. Ciò le dà in mano un’arma carica, ma anche una grande consapevolezza: essere ciò che siamo spesso richiede un compromesso che non siamo in grado di accettare. Ed è proprio questo che conduce i serial killer a uccidere.
Holden, d’altro canto, continua a mascherare dietro un’aria di innocente arroganza uno strato di ansia che prima o poi lo ridurrà di nuovo a terra. Il caso dei bambini scomparsi e uccisi di Atlanta, però, gli dà un motivo in più per sentirsi utile, anche se il caso stenta a decollare. Le sue ipotesi, giudicate compromettenti per il futuro della città dal sindaco, conducono l’indagine ad arenarsi. E nuovamente Holden si deve scontrare con il pregiudizio e l’ostilità delle autorità locali, che prima chiedono aiuto e poi lo negano quando le risposte non sono quelle che vogliono.
Ma sicuramente il personaggio più interessante di Mindhunter 2×04 e ci scommettiamo dell’intera stagione, è Bill Tench. Bill, dei tre componenti della squadra del seminterrato, è sicuramente quello più propenso all’empatia. Non agisce in maniera freddamente razionale e distaccata come Wendy (che però imparerà d’ora in avanti a sporcarsi le mani), non è mosso dalla curiosità quasi infantile di Holden. Lui ha famiglia, è coinvolto emotivamente dai casi, a maggior ragione da quello che gli è capitato fra capo e collo, praticamente in casa sua.
Bill verrà trascinato nell’abisso, in Mindhunter 2×04. La preoccupazione della moglie nella prima stagione, riguardo l’incolumità mentale del figlio problematico, diventa concreta nella maniera più atroce e inaspettata. Il caso del bambino orrendamente ucciso in maniera quasi rituale, da collaterale e quasi fastidioso per il coinvolgimento indiretto della moglie, irrompe nella vita della sua famiglia sconvolgendole. Niente sarà più come prima, non ora che Bill ha scoperto che il diavolo che tanto va cercando e ossessivamente studiando, è in casa con lui.
Un diavolo silenzioso, che ancora bagna il letto di pipì, che non ha la più pallida idea di ciò che ha fatto. Ma che l’ha inequivocabilmente fatto. Ha portato alla fine il suo obiettivo, e forse Bill qualche responsabilità ce l’ha.
Quelle fotografie delle scene del crimine che Brian, con destrezza a posteriori inquietante, gli ha sottratto e nascosto. Quella rabbia e quel senso di impotenza, di fronte all’impassibilità del bambino, alla sua incapacità di farsi amare da lui. Il silenzio ostinato, il rifiuto del contatto con il padre. Tutte battute di un copione già scritto, sotto gli occhi dell’agente Tench ormai da anni. Ma quando capita a te è diverso. Non può accadere a lui, non può essere Brian.
Questa è la croce che Bill Tench dovrà portare fino alla fine di questa stagione di Mindhunter. Aver guardato la luna e non il dito ha il suo prezzo. Queste cose succedono ovunque, come dice in tono quasi rassegnato alla moglie. Anche in casa loro. Ora a Bill toccherà il compito più difficile, ingrato e doloroso della sua vita: applicare le sue conoscenze da profiler al diavolo che c’è in casa sua. Dannandosi per sempre l’anima per non averlo saputo riconoscere ed essendo, forse, una delle cause del suo scatenarsi.