Il concetto di hybris avvolge entrambe le stagioni di Mindhunter, ma è in Mindhunter 2×09 che il protagonista Holden ne fa esplicita menzione, in riferimento a quello che lui e il suo collega Bill ritengono essere il primo vero sospettato per gli omicidi di Atlanta. Il finale di questa seconda stagione trascina lo spettatore in una baraonda di eventi, è difficile tenere il passo perchè il ritmo è estremamente più alto degli episodi precedenti: la necessità di avere una conclusione rispecchia la tragica realtà raccontata. La vittoria dell’FBI, infatti, ha un forte sapore di sconfitta.
In greco antico, l’area semantica della parola hybris è spesso ricondotta all’etica. Nello specifico, il linguaggio giuridico si serve di questa espressione per indicare un’azione delittuosa oppure un’offesa personale compiuta allo scopo di umiliare, il cui movente è dato non da un utile ma dal piacere, dall’orgoglio di sé che l’autore dell’atto traeva dalla malvagità dell’atto stesso, mostrando la sua superiore forza sulla vittima. L’azione dello stupro era per esempio resa col verbo: hybrizein.
Questa accezione del termine, dunque, calza a pennello per ogni criminale seriale mostrato in Mindhunter. Ma se volessimo rifarci alla accezione mitologica, invece, troveremmo una paradossale vicinanza alla persona che ha pronunciato questa parola: Holden. Infatti, hybris significa anche tracotanza, arroganza, superbia e orgoglio: elementi che, oggettivamente, sono facilmente ritrovabili nell’agente speciale.
Holden accusa il sospettato Wayne Williams di hybris, e non ha tutti i torti. Il presunto serial killer di bambini, infatti, oltre a dichiarare fermamente la sua innocenza, dimostra picchi di arroganza nel modo in cui tratta, ad esempio, l’FBI nel momento in cui scopre che lo stavano pedinando. La situazione è poco chiara, e questo è principalmente colpa di come il caso è stato gestito fin dal principio dalla polizia locale. Come nella realtà, infatti, Williams verrà accusato e ritenuto colpevole solo di due omicidi, mentre tutti gli altri rimarranno, e rimangono ancora oggi, senza un colpevole certo. Wayne, tuttavia, rimane per essi l’unico sospettato.
Questa necessità di dare una conclusione alla storia dei crimini principale, unita all’esigenza di rispettare fedelmente la conclusione delle indagini nella vera Atlanta del 1981, crea un finale caotico e, purtroppo, non all’altezza del resto della stagione. Alcune storie, come quella d’amore tra Wendy e Kay, sono di fatto lasciate senza una vera e propria conclusione o una funzionalità nella trama. È comprensibile, tuttavia, da un punto di vista narrativo, concentrare il tutto sull’indagine. Ma non è poco efficace, al tempo stesso, la scena del finale per Bill: come avevamo anticipato nella recensione dell’episodio precedente, l’unico esito plausibile è l’essere lasciato dalla moglie. Così avviene.
“Atlanta ha cambiato tutto”
Le parole di Ted Gunn, che preludono al cambiamento definitivo e storico nel modo di fare le indagini (con tutti i suoi limiti, il criminal profiling ha nel caso di Atlanta il primo vero successo applicativo), sono frutto di un successo che Holden non riesce a ritenere completo, totale. In sottofondo, infatti, le parole della canzone che accompagna la dichiarazione del sindaco in merito alla chiusura delle indagini sono eloquenti: “Mi sento in colpa anche se non ho fatto niente di male”. Facile attribuire allo stesso Holden questa condizione, che sa che su 28 omicidi solo due sono stati attribuiti a Williams. Ma l’agente avrebbe effettivamente potuto fare di più?
La chiusura circolare di questa stagione non può che riportarci ai primi cinque minuti del primo episodio. Il BTK killer apre e chiude la stagione (a sottolinearne, in ogni caso, la sfuggevole ma comunque presente importanza) con la sua perversione: la masturbazione accompagnata dall’asfissia, il tutto travestito da donna. Il suo percorso è una totale marcia indietro, considerando che lo avevamo visto seppellire tutto il suo kit, dopo che aveva spaventato la moglie. Sicuramente il killer sarà il protagonista della prossima (o, considerando la caccia decennale, delle prossime) stagione della serie.
Mindhunter ci lascia quindi con l’amaro in bocca, e questo è dovuto principalmente alla conclusione del caso di Atlanta, che cambia radicalmente la modalità narrativa rispetto alla prima stagione, visto che le interviste ai killer diminuiscono man mano che si procede con gli episodi. Un thriller non thriller: quando infatti si conoscono gli eventi reali, il concetto stesso di thriller perde forza. Nonostante tutto, l’attesa per la prossima stagione si fa già sentire.