Siamo stati testimoni di un qualcosa di meraviglioso. Mindhunter ha dato nuova vita al genere thriller drammatico costruendo una serie tv all’altezza della materia che tratta e delle aspettative.
Uno degli elementi che sicuramente hanno aiutato il successo di questo prodotto Netflix è la scelta dei personaggi. Ogni episodio, ogni incontro con un nuovo volto della serie denota una volontà certosina di ricerca e scelta dei giusti lineamenti, del giusto carattere e della giusta potenzialità attoriale. Non deve essere semplice scegliere proprio colui che rappresenterà uno dei serial killer più conosciuti al mondo. Ma è anche per questo che il risultato è a dir poco straordinario.
Le interpretazioni di ognuno sono eccellenti, fedeli per quanto possibile ai personaggi reali che rappresentano e interpretano. Uno su tutti, Cameron Britton che interpreta Edmund Kemper. Abbiamo imparato a conoscerlo attraverso i suoi assurdi vizi, il suo modo colto e manipolatorio di entrare nella mente di Ford e soprattutto attraverso la sua costante presenza.
Cameron Britton con la sua performance sa rappresentare al meglio l’assassino degli anni settanta. La scelta degli autori di Mindhunter si rivela perfetta soprattutto per la somiglianza. Vederlo muoversi fa quasi paura, come se si fosse tornati indietro nel tempo e si fossero immortalati quei momenti dalla verità dei fatti. Rimane incisa nelle nostre menti la sua capacità di mettere a disagio con soli movimenti calmi e l’abbraccio finale nell’ultima puntata della prima stagione riesce a far venire i brividi anche solo a guardarlo.
Ma non c’è solo Cameron Britton a somigliare così clamorosamente al personaggio che interpreta. Possiamo fare lo stesso discorso per David Berkowitz, interpretato magistralmente da Oliver Cooper, o per il più citato di tutti in Mindhunter, Charles Manson.
Damon Herriman ha forse il compito più arduo, quello di apparire nella seconda stagione dopo essere stato chiamato in causa da Ford e Tench come forse il più cruento omicida di quegli anni. Vediamo nella serie come sia difficile riuscire ad avere un’intervista con lui. Questo rende il colloquio ancora più interessante e ancora più complesso da interpretare per l’attore.
L’intervista che ne risulta è però intensa e sembra possibile immaginarla come vera. L’incontro tra Manson, Tench e Ford non delude le grandi aspettative ma le appesantisce addirittura di più per gli episodi futuri.
L’aspetto che rimane inconfondibile e stupefacente, forse più di tutto ciò che si può dire del cast di Mindhunter, è che perfino i più corti colloqui e le più piccole comparse sono costruite ad hoc.
Impossibile dimenticare l’intervista con William Junior Pierce. Michael Filipowich mette in scena una rappresentazione a dir poco perfetta del serial killer. Si rivela essere uno dei killer meno adatti a sviluppare il profilo voluto da Ford e anche per questo rimane una delle interpretazioni più belle e memorabili della seconda stagione di Mindhunter.
Naturalmente queste sono solo alcune delle interpretazioni più belle e inquietanti delle due stagioni della serie.
Si potrebbero citare tutte e in tutte si potrebbero trovare tantissimi dettagli che confermano quanto sia eccezionale il lavoro per trovare e scegliere il cast perfetto.
Partendo dai protagonisti, Ford, Tench e Carr. Loro non cambiano mai e in queste due stagioni si sono costruiti una storia. La loro presenza accanto ai diversi serial killer permette una continuità progressiva e siamo sempre più vicini alle loro menti e ai loro cuori. Loro, come ogni personaggio che finora abbiamo conosciuto, sono scelti e poi costruiti tutti nella maniera migliore possibile.
Mindhunter merita una menzione, ma forse anche più di una per il lavoro svolto nello scegliere il cast. Finora non hanno sbagliato un colpo e per la terza stagione si prospettano personaggi di levatura altrettanto importante.