In una New York ancora ferita dal disastro delle Twin Towers, che andava incontro senza saperlo al tracollo finanziario del 2008, nasceva nel 2004 la rubrica Modern Love del New York Times, per scoprire se tutta la magia della Big Apple fosse davvero sparita o almeno nelle persone fosse rimasto qualcosa di speciale.
“Se capiti tra la luna e New York, la cosa migliore che puoi fare è innamorarti” cantava David Bowie.
Sarà retorica, ma i curatori di Modern Love – Daniel Jones e sua moglie Cathi Hanauer – capirono quanto fosse vero il detto: l’amore non muore mai. Tutti i racconti che arrivarono al giornale, infatti, erano storie personali che in qualche modo avevano a che fare con l’amore, nelle sue molteplici forme.
Il successo della rubrica l’ha fatta diventare prima un podcast, poi un libro e infine una serie tv disponibile su Amazon Prime Video. 8 episodi di circa 30 minuti ciascuno, autoconclusivi, con un cast stellare.
Anne Hathaway è la protagonista di “Prendimi come sono, chiunque io sia” un episodio che ricorda quasi La La Land, in cui l’attrice interpreta un brillante avvocato con la sindrome bipolare che non riesce a gestire i rapporti a lungo termine. Dave Patel in “Quando Cupido è un giornalista” è il creatore di una famosa app di incontri online che fa fare match a tutti tranne che a lui, ancora troppo legato a un vecchio amore. Andrew Scott è un giovane newyorkese gay in procinto di adottare il bambino da una ragazza homeless che non vuole tenerlo, nell’episodio “Il suo era mondo per una”. Infine, Jane Alexander colpisce in “La corsa diventa più dolce vicino all’ultimo giro” per la sua passione in età matura quando generalmente si ritiene che le storie non possano più essere troppo romantiche.
Amori perduti o in tarda età, desideri di paternità, affetto materno, tradimenti e ricongiungimenti, voglia di innamorarsi nonostante le proprie difficoltà emotive. Ogni episodio ci regala un fermo immagine su come inizia, finisce o evolve l’amore ai tempi di Instagram.
Il giornalista Daniel Jones, creatore della rubrica cartacea ma anche consulente di produzione della versione televisiva, ha scritto: «abbiamo convenuto su un’accezione ampia della parola amore perché non volevamo limitarci a parlare dell’amore romantico. Speravamo che i vari racconti potessero esplorare, insieme alla luce, l’oscurità; indagare sia le gioie che i dolori derivanti dai tentativi che ognuno fa, per tutta la vita, di entrare in intimità con altri esseri umani.»
In Modern Love non viene data importanza solo all’amore romantico. Anche la relazione affettiva tra amici, ad esempio nell’episodio “Quando il portiere è il tuo migliore amico”, viene raccontata con lo stesso coinvolgimento e la stessa importanza riservata alle altre storie.
In Modern Love non c’è neanche l’amore da favola di Insonnia d’amore o Pretty woman, ma piuttosto storie reali delle persone normali. É vero, nella versione televisiva sono state un po’ romanzate rispetto a quella cartacea, ma comunque si attengono ai racconti di vita vissuta pubblicati dalla rubrica del New York Times. Forse elemento più inverosimile è a volte l’ambientazione: fantastici appartamenti newyorkesi mai in disordine e sempre arredati da un architetto. Sul lato visivo lo scenografo ha deciso di farci sognare!
La narrazione è asciutta, a tratti quasi documentaristica, ciò avvicina la storia allo spettatore rendendo l’immedesimazione con il protagonista dell’episodio quasi automatica. In fondo anche se in modi diversi, tutti abbiamo sofferto o gioito per amore. Daniel Jones scrive: «L’amore è come un puzzle che non riusciamo a risolvere. Nessuno potrà mai dire: Ne so abbastanza. Ci sarà sempre un desiderio insoddisfatto, un dolore inevitabile».
Con un generale apprezzamento sia di critica che di pubblico, Modern Love ha raccolto qualche rimprovero: Vanity Fair America l’ha paragonata alla «pubblicità di una carta di credito» e il Guardian ci ha visto solo «caffè, sciarpe ed Ed Sheeran», ironizzando sulla sua musica melensa e il fatto che il cantante fa un piccolo cameo in un episodio.
Per noi Modern Love rappresenta con intelligenza il genere della commedia romantica: è ben costruita e in generale funziona. Coerente, ma anche varia nel trattare il tema centrale. Sia i personaggi, che la regia di John Carney (Once) sono importanti per la buona riuscita di tutto l’esperimento e per entrambi non si è badato a spese. Non va poi dimenticata la scrittura: tutto parte da un’ottima sceneggiatura, con espedienti narrativi creativi, a tratti insoliti e brillanti, e in alcuni casi scelte più furbe e dolciastre per catturare l’attenzione dello spettatore e spingerlo a proseguire nella visione dell’episodio successivo. Come ha scritto il Washington Post – sempre proprietà di Jeff Bezos come Amazon – dopo aver elogiato la serie ha anche ammesso che «è proprio come la rubrica: dolce, egocentrica e un po’ nauseante».