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L’intensa e struggente interpretazione di Anne Hathaway in Modern Love

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Rappresentare l’amore in una serie tv è un rischio bello grosso. Sì, sembrerebbe la cosa più semplice del mondo e, invece, è una trappola in cui è facile rimanere impigliati, tra l’errore di una rappresentazione fastidiosamente macchiettistica e la paura di collezionare un infinito numero di cliché da fare invidia a un Bacio Perugina. Timori che Modern Love è riuscita ad arginare in maniera quasi perfetta.

Ispirata alla celebre rubrica del New York Times che, da più di 20 anni, raccoglie i cocci, gli incastri, i compromessi e il lieto fine delle storie d’amore dei lettori di tutto il mondo, la nuova serie tv targata Amazon Prime (già rinnovata per una seconda stagione) è riuscita a raccontare in maniera delicata e mai noiosa tutte le sfumature di un sentimento complesso, che riempie e svuota le vite di chi lo incontra, per caso o per volontà. E lo ha fatto senza censurarne alcun risvolto, anzi dando voce e forma anche al più difficile, quello per cui trovare parole, etichette o definizioni, talvolta, richiede un viaggio parecchio impegnativo con se stessi. Come nel caso della storia interpretata da Anne Hathaway, protagonista del terzo episodio di Modern Love: Take Me as I Am, Whoever I Am.

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Fulcro della puntata è Lexi, brillante e carismatica avvocatessa alle prese con la gestione del difficile equilibrio tra la carriera, l’amore e un disturbo bipolare della personalità che nasconde da anni ad amici e colleghi. Quella che la giovane legale mostra al mondo è una vita sbrilluccicosa ed ebbra di felicità, in cui abita spensierata e leggera come se fosse la protagonista di un musical, camminando a passo di danza e intonando la canzone giusta al momento giusto. Tra gli scaffali di un supermercato e un parcheggio che, da un momento all’altro, diventa lo scenario perfetto per un flashmob à la La la land. E invece, come ci insegnano i vecchi adagi, non è tutto oro quel che luccica. Quando a casa si ritrova a fare i conti coi contorti giochi della sua mente, con quegli ingranaggi che sembrano camminare sempre un passo indietro alla sua voglia di vivere appieno giorni, ore, momenti che pensa di essersi meritata, piomba in una spirale buia e quasi senza uscita, lasciandosi possedere da una solitudine che non la fa muovere, non la fa respirare, che la costringe a convivere con il fantasma di se stessa.

Un fardello che, per quanto creda di riuscire a gestire, non riuscirà mai a vedere davvero come un’abitudine con cui scendere a compromessi e a cui chiedere, a cuore aperto, un attimo di pace. 

Pace. Quella di cui sente di aver bisogno per conoscere meglio quello che potrebbe essere l’ennesimo colpo di fulmine o l’uomo della sua vita. Quella che desidera per vivere una storia diversa da quelle iniziate e finite per colpa di quella malattia che come il mostro dei vecchi film in bianco e nero ti insegue, e non importa quanto corri veloce, ti raggiunge sempre. Quella che non riesce ad avere, almeno fino a quando non trova il coraggio di affrontare le ombre e di accontentarsi, per quanto ancora piccoli, degli spiragli di luce di un capitolo che potrebbe diventare l’inizio di un nuovo, difficile ma entusiasmante percorso di accettazione.

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Anne Hathaway ci ha abituati a performance spettacolari. Sono poche le attrici che possono vantare il suo eclettismo, il suo essere camaleontica senza mai strafare e quella capacità di dare all’ironia la consistenza di una riflessione profonda. Tutte qualità che è riuscita a veicolare in maniera straordinaria nella sua Lexi, rompendo finalmente tutti i tabù (o quasi) su un disturbo apparentemente invisibile e, forse, fin troppo stereotipato dai media e dall’industria dell’entertainment. Negli occhi della Hathaway si legge tutto il dolore di Lexi, la fatica di convivere con un peso così grosso, il tentativo di continuare a correre anche quando la soluzione più comoda sarebbe lasciarsi andare, lo sforzo di aprirsi a una persona amica e la paura di non essere più guardata con gli stessi occhi.

È vero, la naturale verve dell’attore dovrebbe portarlo a indossare i panni del personaggio con poca difficoltà, puntando a non far sentire la differenza tra realtà e fiction, ma quello che Anne Hathaway è stata capace di fare in poco più di 30 minuti va ben oltre il compito a casa.

Si è spogliata della sua vita, dei suoi ricordi, dei suoi momenti più felici e di quelli più difficili, e ha abbracciato completamente la vita di un’altra donna, i suoi sbalzi d’umore, la sua vitalità, la sua sofferenza, l’indifferenza data dal malessere e quel guizzo che, dal buio di un letto sfatto, la spinge a indossare un top paillettato e ad affrontare New York come si fa con una passerella. Insomma, ha ammaccato il suo cuore per renderne uno altrettanto ammaccato, affidandosi a un’empatia che in pochi hanno il coraggio di sfoderare e, sopratutto, trasmettendo al pubblico di Modern Love una lezione preziosa: la bipolarità, come qualsiasi altra malattia, non definisce la vita di chi ne è affetto. Sì, la complica, la rallenta ma non è una condanna a morte. Anzi, spesso, può essere un punto di ripartenza, l’occasione per imparare a barcamenarsi tra le rapide di settimane meravigliose e giorni di cui non si vede altro che la fine ma che si imparano ad accettare come piccoli tasselli di un puzzle ben più grande di quei momenti bui

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Un messaggio che la scena finale, vero apice dell’episodio tre di Modern Love, racchiude in maniera commovente: chiunque, anche la persona più insospettabile, soffre la fatica di un peso sul petto che non fa altro che nascondere. E invece, per guardare a quel dolore con occhi diversi, basterebbe sfidare tutte le resistenze e scoprirsi, condividendolo quel fardello, parlandone con chi ci vuole bene, con chi è disposto a sopportare anche la nostra versione meno piacevole. Perché talvolta, l’inizio della cura non è altro che ascoltare e sentirsi ascoltati. Sembra poco e invece è tanto, se non tutto.

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