ATTENZIONE! QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER SULLA PRIMA STAGIONE DI MONSTER: THE JEFFREY DAHMER STORY
Avete presente quelle serie tv true crime che non riuscite a togliervi dalla testa? Quelle che non ti fanno dormire perché la tua mente rimugina e ripensa a ciò che ha appena visto? Questa sensazione l’ho avuta proprio con la serie Netflix Monster: The Jeffrey Dahmer Story, la storia di un mostro chiamato anche il cannibale di Milwaukee, per aver ucciso, ricorrendo ad atti di cannibalismo, necrofilia, squartamento e violenza sessuale, 17 ragazzi innocenti tra il 1978 e il 1991. A causa della brutalità con cui vennero compiuti gli omicidi, la figura di Jeffrey Dahmer è stata più volte citata in film, serie tv e album musicali, tanto da divenire quasi un’icona per alcuni sadici che sognavano di essere come lui (cosa per altro non nuova agli amanti del true crime, poiché purtroppo in Italia avvenne con la vicenda di Pietro Maso).
D’altronde si sa, le storie true crime appassionano una buona fetta di pubblico ma a differenza di tante altre serie (per fare solo un esempio, Conversazione con un killer il CASO GACY) Jeffrey Dahmer Story è talmente reale, scandita appositamente in modo lento, tanto da aver avuto notevoli critiche dai parenti delle vittime (prima fra tutte Rita Isbell, sorella di Errol Linsday ucciso da Dahmer a soli 19 anni e rappresentata nella serie in maniera analoga al processo originale), accusando il buon Ryan Murphy di aver osato troppo rivangando l’immenso dolore subito dalle famiglie all’epoca degli omicidi.
Nonostante le lecite critiche, la serie di Murphy è uno dei migliori prodotti dell’ultimo periodo, tanto da aver scalato le classifiche di Netflix in men che non si dica e da essere considerata una delle serie più viste al mondo, superando perfino il gran successo del caso Squid Game (di cui abbiamo notizie della seconda stagione); dall’interpretazione di Evan Peters che potrebbe valergli un riconoscimento come miglior interpretazione per via della sua brillante capacità di trasformarsi in un serial killer: dalle movenze, al modo di parlare, persino la postura.
Andiamo quindi a scoprire quali sono le 5 scene più agghiaccianti di Monster: The Jeffrey Dahmer Story.
1 – Konerak Sinthasomphone
Non è stato semplice selezionare le 5 scene più terrificanti di Monster per via dell’opprimente ansia che ci accompagna dalla prima all’ultima puntata di questa amata quanto odiata e criticata serie tv, diventata in così poco tempo ormai un cult.
La prima scena particolarmente inquietante la troviamo nella seconda puntata, quando Dahmer convince il giovane Konerak Sinthasomphone, una delle sue ultime più giovani vittime, a svolgere un servizio fotografico a casa sua in cambio di soldi. A questo punto, nella serie c’è un salto temporale in cui il giovane accenna al fatto che lo stesso Dahmer ci avesse provato con il fratello, avvertendolo sui reali obiettivi del killer. Konerak accetta comunque l’invito perché la famiglia è a corto di denaro.
Dahmer era solito drogare le sue vittime prima di torturarle, e così avvenne anche con il giovane Konerak; il modo volutamente lento in cui la serie descrive i fatti, grazie anche alla regia di Jennifer Lynch (non a caso sorella del genio David Lynch), fa addentrare lo spettatore nella mente dell’assassino e, soprattutto, della vittima. Quando Konerak riesce a scappare per poi essere trovato in stato di incoscienza dalla figlia dei vicini e riportato in casa del suo aguzzino da due poliziotti creduloni, il ritmo della narrazione è serrato e la situazione agghiacciante, non tanto per la presenza di scabrosità o sangue zampillante ma per la terribile verità alla base dei fatti: vedere un ragazzino inerme davanti a due mostri. Il primo è ovviamente il suo aguzzino e il secondo è l’indifferenza dei poliziotti, incapaci di fare fede al loro primo compito, quello di proteggere e salvare delle vite.
2 – Jeffrey Dahmer Story e la scatola del bravo ragazzo
Siamo nel quarto episodio quando Dahmer torna apparentemente stabile dall’esercito e inizia a lavorare come infermiere, per via anche dei suoi trascorsi in ambito medico e per l’accurata conoscenza dell’anatomia. La scena che ho deciso di inserire è stata parecchio criticata. Sto parlando del punto in cui Dahmer, una volta a casa, beve il sangue in provetta di uno dei suoi pazienti. Seppur possa sembrare succo di mirtilli, l’idea è resa in maniera inequivocabile ed è parecchio scabrosa; analogamente avviene con il pezzo di carne che Dahmer cucina e mangia negli episodi successivi. Seppur non si faccia mai menzione alla parola cannibalismo, noi spettatori intuiamo che l’intento è proprio di evidenziare quello anche grazie alla canzone “Dark Horse” di Katy Parry e Juicy J, tornata alla ribalta in seguito all’inserimento del pezzo nel momento in cui Dahmer cucina la carne (umana). Il pezzo infatti recita “She’s a beast, i call her Karma, she eat your heart like Jeffrey Dahmer” (“Lei è una bestia, la chiama Karma, le divora il tuo cuore come Jeffrey Dahmer”).
3 – Tony Hughes e Jeffrey Dahmer
Sul finire del quinto episodio, Netflix e Ryan Murphy ci fanno conoscere la vera natura di Dahmer: sadico, psicopatico, non curante dei sentimenti altrui, altamente borderline e freddo come il ghiaccio, nonostante il suo modo di fare riuscisse inspiegabilmente a piacere alla gente. In particolare a Tony Hughes. Il dolce ragazzo sordo muto che incontriamo nella serie è stato forse l’unica preda con cui Dahmer, solo per un momento, si è mostrato sentimentalmente preso.
Le scene in cui ci viene presentato il rapporto tra i due giovani mi ha portata a pensare che forse si sarebbe fermato e che avrebbe per lo meno risparmiato il giovane, anche per via della sua disabilità che lo porta agli occhi di tutti ancora più fragile e indifeso. Il giovane Tony si è fidato di una persona che in apparenza non guardava all’aspetto esteriore ma a quello interiore, che non guardava alla sua disabilità come un ostacolo, semmai come una risorsa. Peccato che la sua fine sia stata esattamente la medesima delle altre.
Tutte le scene che vedono Tony come protagonista contribuiscono ad aumentare il senso di angoscia che, ahimè, sappiamo che culminerà con la sua morte: dalla bellissima famiglia di lui, al rapporto che ha con la madre, per finire con le ricerche delle sorelle di Tony subito dopo la sua scomparsa non fanno che aumentare quel senso di inquietudine che ci accompagnerà lungo tutta la durata dell’episodio.
4 – Rita Isbell e Errol Lindsey
“Dovete smetterla di cercarlo, ormai è andato, nel vortice”. Agghiaccianti le parole che Dahmer pronuncia a Rita Isbell, sorella del giovane Errol Lindsey, morto a soli 19 anni e prima vittima certificata di Jeffrey Dahmer. La sequenza finale, negli ultimi episodi della serie e che ritrae Isbell in tribunale attaccare ferocemente il mostro che ha ucciso suo fratello, è stata forse una delle più discusse di Netflix.
Il frammento delle registrazioni del processo originale è stato preso come modello e copia per l’interpretazione dell’attrice che, nella serie, rappresenta Rita Isbell; le critiche e il web si sono letteralmente schierati tra chi difende il dolore delle famiglie nel ritornare a contatto con gli eventi del passato e chi sostiene Murphy per averci rivelato uno dei volti più crudeli della storia americana.
Tralasciando le critiche e i commenti al frame di cui sopra, credo sia una delle scene da inserire a pien diritto nelle 5 scene più agghiaccianti, per via del suo forte senso di drammaticità, che crea nello spettatore anche solidarietà nei confronti di chi, come la famiglia Lindsey, ha dovuto combattere per anni un mostro invisibile senza sapere cosa fosse davvero successo al famigliare, per poi scoprire solo alla fine la tragica verità dietro la sua scomparsa.
5 – Sangue nelle loro mani
C’è una scena su cui non mi sono soffermata molto inizialmente, perchè posta all’inizio del capitolo 5 e che porta gli strascichi delle affermazioni lungo tutta la durata dell’episodio e di quelli successivi. Sto parlando del momento in cui Jeffrey spiega, una volta in arresto, il modo in cui bolliva i corpi e in cui li conservava, spiegando anche alcuni degli esperimenti che faceva. Nonostante non sia una scena vera e propria, quello che ritengo agghiacciante è la freddezza e la meticolosità in cui vengono spiegati i fatti. Dahmer spiega come bolliva i corpi, reduce anche degli esperimenti di tassidermia che faceva da piccolo. Lo fa come se stesse facendo la lista della spesa, con una calma piatta che si addice solo ad uno psicopatico, o semplicemente ad un uomo malvagio.
Quello che mi sono chiesta a più riprese guardando la serie è la vera natura degli omicidi che compiva. Dahmer è nato malvagio? Oppure è la società che lo ha fatto divenire tale? Tutto ha concorso per farlo diventare il mostro che è diventato: dall’abbandono della madre da piccolo a quello di un padre inesistente per finire alla sua totale incapacità di stringere rapporti umani; il profilo di Dahmer è di gran lunga quello di un sociopatico.
Dahmer è quindi una serie che vale la pena vedere? Per me assolutamente sì, non solo è adatta agli amanti del true crime, ma è aperta a tutti quelli che vogliono addentrarsi nella mente criminale e che vogliono documentarsi su quanto accaduto. É una serie meticolosa, a tratti dal ritmo lento e non serrato, che riporta alla ribalta le straordinarie capacità di Evan Peters (già visto in un classico della serialità televisiva con American Horror Story, aka, AHS), e che riesce a incontrare i gusti del grande pubblico, giocando (forse) sulla sensibilità del pubblico davanti ad eventi scabrosi come quelli di Monster: The Jeffrey Dahmer Story.