Con Monsters, Ryan Murphy pare aver trovato l’ennesimo pezzo da novanta della sua carriera, e con lui anche Netflix. Ma cosa ci lascia davvero una storia come quella raccontata nella seconda stagione (che trovate qui) di Monsters? Non ci sono vincitori, solo vinti. Quello dei fratelli Menéndez è uno dei casi di cronaca nera più assurdi della storia degli Stati Uniti. Passato forse in sordina, a suo tempo, per via del più altisonante O.J. Simpson, autocitazione dovuta, in questo caso, per Ryan Murphy. La trama si sviluppa su un piano temporale che mette tutti i personaggi coinvolti sotto le luci dei riflettori. Da una parte i genitori, coinvolti anche singolarmente nel proprio dramma, dall’altra i fratelli inseparabili. È il pubblico, come spettò alla giuria, a dover trarre le proprie conclusioni sull’esito di un parricidio e della tragica fine di una famiglia decisamente disfunzionale.
Monsters racconta il ritratto di una famiglia disfunzionale più estremo possibile
Fin dalle prime battute della serie, è evidente che la famiglia Menéndez fosse tutt’altro che perfetta. Nonostante l’apparenza data dal successo, dall’agiatezza e dallo sfarzo, il patriarca José Menéndez viene descritto come un uomo spietato e manipolatore, che governava la famiglia con il pugno di ferro. Monsters ci svela subito entrambe le facce della medaglia.
Vediamo come José si aspettasse che i suoi figli seguissero le sue orme. Imponeva loro pressioni insopportabili, fino a trasformare la loro esistenza in un continuo tentativo di soddisfare aspettative irraggiungibili. Parallelamente, la madre Kitty, appare come una figura fragile e disturbata, totalmente incapace di proteggere i suoi figli dalle tensioni e dagli abusi domestici. La serie di Netflix non edulcora la rappresentazione della sua depressione e della sua incapacità di prendere il controllo sulla propria vita. Tutto ciò viene messo di fronte agli occhi della giuria e dello spettatore, che diviene a sua volta giurato.
La verità sul caso resta ancora un mistero, o perlomeno, la giustizia pare aver fatto il proprio corso. Ma ciò che sconvolge di più non è tanto ciò che potrebbe davvero essere successo tra le mura di casa Menéndez, quanto la trasformazione viscerale di tutti i protagonisti. La narrazione si sviluppa attraverso un sapiente e articolato uso di flashback, interviste e ricostruzioni drammatiche che dipingono un quadro complesso e inquietante della famiglia Menéndez. Ciò che emerge, è una storia di abusi emotivi e fisici che sembra aver segnato profondamente i due fratelli, spingendoli verso un tragico epilogo. La ricostruzione delle vicende trascina chi guarda in una spirale di follia psicologica che parte con Lyle e le sue confessioni al dottor Oziel. Pian piano, tutti i pezzi dell’apparentemente solido mosaico della famiglia Menéndez, si sgretolano sotto i piedi dei protagonisti.
Il modo in cui queste storie ci tengono attaccati allo schermo è unico
Che il dramma sia fonte di interesse e che certi racconti siano funzionali a un pubblico mainstream lo sappiamo bene, ovvio motivo dell’enorme successo del primo capitolo di Monsters. Ma la storia di Jeffrey Dahmer è ben diversa da quella dei fratelli Menéndez. Da una parte c’è un killer seriale, un diavolo travestito da essere umano, capace di compiere azioni riprovevoli senza percepire senso di colpa alcuno. Ecco, ciò che attira di una storia come quella è proprio l’assurdità, la follia.
Mentre nel caso dei fratelli Menéndez è esattamente il contrario. Non c’è nessun mostro specifico, non c’è un protagonista da horror. È la storia di due fratelli e di una famiglia come tante altre, apparentemente. È il quotidiano, la normalità. Normalità che viene totalmente capovolta, smembrata, smontata pezzo dopo pezzo. Uno struggente psicodramma familiare è quanto di più attraente per l’indignazione del pubblico. E Monsters gioca su questo fin dai primi istanti.
Il primo episodio, in particolare, è una lezione di narrativa. Monsters mette il pubblico immediatamente di fronte alla realtà dei fatti, senza costruzioni o artefici. Due ragazzi giovanissimi, come se niente fosse, entrano nel salotto di casa e uccidono i propri genitori a fucilate. Dopodiché, come due “assassini professionisti”, escono e si creano un alibi, tornano a casa e chiamano la polizia, per poi dare la colpa alla mafia. La freddezza dell’esecuzione e della gestione iniziale fa pensare a una unidirezionalità che poi, puntata dopo puntata, va a farsi benedire. È la stessa narrazione a suggerirci la via per la comprensione del testo.
Monsters non intende dividere la folla o riaprire questioni su un caso del genere. Il processo racconta piuttosto la devianza dei due fratelli, ma ciò che emerge con più vigore è la sofferenza. C’è un episodio, quello in cui Lyle si apre con il proprio avvocato, la dottoressa Leslie Abramson, che si regge totalmente sulla sua confessione.
Camera fissa, per trenta minuti, sulla pesante e raccapricciante confessione di Lyle. Un episodio che racchiude tutto il senso di Monsters
Il focus si sposta poi sulle figure di José e Kitty. Il patriarca dei Menéndez è sicuramente il personaggi centrale della narrazione, la causa del dramma, a prescindere dalla realtà dei fatti. I suoi modi violenti, soprattutto psicologicamente, tuttavia, hanno a loro volta una genesi. O meglio, Monsters cerca di suggerirci questo. Non abbiamo la certezza di ciò che successe a José durante la sua infanzia, ma la telefonata con sua madre è uno dei momenti più strazianti della serie. Odio genera odio e male genera male. Questo sembra essere il messaggio di fondo di Monsters, che non prende una posizione e che mette tutti d’accordo semplicemente mostrando i fatti nella loro totalità. Monsters è il dramma corale di una famiglia disfunzionale, ma è anche un’aspra critica al sistema giudiziario statunitense, in quegli anni totalmente in balìa dei media.
Sì, perché nonostante il caso O.J. Simspon mise in secondo piano la vicenda dei Menéndez, fu proprio l’opinione pubblica ad accompagnare il processo verso la propria conclusione. Un odio che dal più ristretto nucleo familiare si innalza a un’intera nazione. Monsters, prima ancora di essere uno psicodramma familiare, è un’esposizione brutale di ciò che l’odio può causare. Partendo dal basso, dalle mura di una casa qualsiasi, permeando il clima di una apparentemente tranquilla famiglia, fino a contagiare tutto il resto.
Come un virus che non lascia scampo e che non guarda in faccia a nessuno. La storia di Lyle e Erik Menéndez non ha vincitori, ha soltanto voti e vittime, e l’obiettivo principale di Monsters era proprio quello di sottolineare la drammaticità di questo aspetto. In relazione a un caso così efferato e brutale che, tuttavia, potrebbe nascondersi nelle mura di una casa qualsiasi, tra gli attriti di una famiglia qualunque.