In un panorama variegato e ipersaturo come quello che caratterizza il mondo della serialità contemporanea è sempre più comune che vi siano produzioni che passano del tutto inosservate. È inevitabile, l’offerta è troppo vasta e la competizione serrata, eppure questa logica televisiva spietata alle volte lo è molto più per il pubblico che per le serie stesse, perché perso in una marea di produzioni (tra le quali molte mediocri) lo spettatore finisce per lasciarsi scappare qualcosa non soltanto di meraviglioso, ma persino di necessario. È per questo che abbiamo sentito l’urgenza di parlarvi di Mood, recentissima miniserie prodotta da BBC e resa da poco disponibile su Disney+, perché ci sono storie che non possono passare inosservate, anche se tutto sembra remare contro di loro. Creata, scritta e interpretata da Nicôle Lecky, questa piccola perla britannica nascosta nel catalogo di Disney+ è una delle produzioni più coinvolgenti e riuscite di questo 2022, eppure nonostante il plauso unanime della critica (può vantare un 100% di recensioni positive su Rotten Tomatoes e un punteggio medio di 78 su Metacritic) sembra essere rimasta circoscritta a un pubblico limitato e sofisticato. Qualcosa che, se lo chiedete a noi, è assolutamente inspiegabile: Mood è una serie cruda e psicologicamente devastante, ma è anche fresca, moderna, caratterizzata da un umorismo sottile e da una sincerità emotiva disarmante.
Mood è un ritratto crudo, personale e brillante del lato oscuro dell’ambizione della società delle apparenze. Ma di cosa parla esattamente questa miniserie prodotta da BBC?
La protagonista della serie è Sasha (Nicôle Lecky), aspirante cantante poco più che ventenne che si ritrova sbattuta fuori casa dalla madre dopo essere stata accusata di aver dato fuoco a casa del suo ex ragazzo Anton (Jordan Duvigneau). Rimasta senza punti di riferimento e travolta in pieno da un vortice auto-distruttivo, per sopravvivere Sasha si aggrappa alla nuova amica Carly (Lara Peake), un’influencer che la introdurrà a un mondo che mai l’aspirante cantante avrebbe pensato di frequentare: quello delle sex workers. Privata di ogni speranza di vedere realizzate le sue ambizioni lavorative, affascinata dal lusso sfrenato e dalle luccicanti apparenze del mondo di Carly, lentamente Sasha inizierà a oltrepassare confini dai quali tornare indietro è quasi impossibile, perdendo per strada tutto quanto di se stessa credeva di sapere.
Quella presentata in Mood è una storia tremendamente attuale, perché parla del lato oscuro dell’ossessione per il successo nel mondo dei social network. Sasha è brillante e splendida, ha la voce di un angelo e scrive alcune delle canzoni più interessanti mai sentite in televisione (tra cui spicca Don’t blame us, you’re a lazy c*nt, critica sociale orecchiabilissima cantata da Nicôle Lecky nel secondo episodio), eppure il terrore di fallire e la convinzione di non essere abbastanza la portano a intraprendere una strada pericolosa non appena il suo delicato castello di carte inizia a crollare. Per molti aspetti, il personaggio di Sasha ricorda un’altra protagonista difficile della serialità contemporanea: Rue Bennett di Euphoria, non a caso anche lei simbolo di una generazione che non riesci più a sconvolgersi e che è disposta a tutto per colmare il vuoto che la divora.
Infatti, nonostante la stampa britannica non abbia esitato ad accostare lo show di Nicôle Lecky a quello ormai cult di Phoebe Waller-Bridge, arrivando a definire Mood “la nuova Fleabag” o ancora “la Fleabag della generazione degli influencer“, la verità è che per toni e riferimenti generazionali la serie BBC è molto più simile proprio a Euphoria. Questo non vuol dire che l’accostamento con la dramedy vincitrice dell’Emmy per la miglior commedia nel 2019 sia forzato e anzi, vi sono diverse analogie tra Fleabag e Mood: entrambe sono create e interpretate da due donne britanniche millennial, sono basate su spettacoli teatrali e hanno per protagoniste due figure controverse e complicate, con le quali però immedesimarsi è più facile di quanto non vorremmo. Tuttavia, laddove la serie di Phoebe Waller-Bridge utilizza prevalentemente i toni della commedia per descrivere il senso di smarrimento di una generazione di terzine, Mood fa un uso molto più limitato dell’umorismo e regala invece una rappresentazione decisamente più drammatica di quello stesso disagio di fondo che è il cuore pulsante di Fleabag.
Forse per i toni più spiccatamente drammatici, forse per la generazione a cui appartiene Sasha e per la sua identità di donna bi-razziale, che più volte riemerge come elemento fondamentale durante la serie, durante la visione di Mood non è la dramedy di Phoebe Waller-Bridge (anch’essa co-prodotta da BBC) a venire in mente, ma il dramma creato da Sam Levinson per HBO. Le somiglianze tra Euphoria e Mood, che sono comunque due prodotti che mantengono ognuno un’identità propria e ben definita, riguardano non soltanto le due protagoniste, entrambe personaggi che si detestano e che pensano di essere ormai perdute, ma anche la scelta di raccontare gli eccessi e le difficoltà di una generazione rimasta senza punti di riferimento e lasciata sola a inseguire il fantasma effimero delle apparenze.
Tuttavia, nonostante alcune tematiche ricorrano e l’estetica di Mood non sia poi così dissimile da quella di Euphoria, le due serie scelgono di parlare dello stesso disagio da due punti di vista diversi, entrambi ugualmente efficaci. Rispetto al dramma HBO, la serie creata da Nicôle Lecky sceglie di raccontare senza alcun filtro il lato oscuro del vano inseguimento dell’apparenza nel mondo dei social network, sospendendo ogni giudizio morale e concentrandosi piuttosto sull’esplorazione delle motivazioni dietro ad alcune scelte e a come queste portino spesso a conseguenze inattese.
Il percorso intrapreso da Sasha sotto la guida di Carly, che qui non vi anticiperemo perché non vogliamo fare alcuno spoiler, la porterà a compiere scelte che all’inizio le sarebbero parse impensabili, eppure diventano con il trascorrere degli episodi quasi naturali, inevitabili. La ricerca di un contatto umano genuino, il dolore della perdita, la solitudine e la mancanza di punti di riferimento, la consapevolezza che per quanto duro si lavori e per quanto talento si abbia comunque i propri sogni potrebbero non realizzarsi mai sono solo alcuni dei temi che Mood porta in scena con una sensibilità e una modernità che raramente si sono viste in televisione, alleggerite dalla presenza di un umorismo sottile che spesso compare proprio quando non ce lo si aspetta.
E così, nonostante i rimandi a Fleabag ed Euphoria costellino l’intera visione della serie BBC disponibile su Disney+, Mood si afferma presto come una serie con un’identità propria e ben definita, che ha qualcosa di urgente da raccontare e sa come farlo. Il primo episodio, che ci presenta una protagonista inizialmente così difficile da amare come Sasha, è un piccolo scoglio che si supera facilmente e che lascia poi spazio a una caduta sempre più rapida verso il fondo, una corsa all’apparenza senza meta che tuttavia porterà a un finale perfetto, del quale non vi anticipiamo nulla se non che è coerente con il racconto e la voce così unica di Nicôle Lecky.
In soli sei episodi di 45 minuti Mood è in grado di trasportare lo spettatore in un viaggio meraviglioso e impegnativo, portando sullo schermo tematiche che poche serie hanno avuto il coraggio di esplorare e facendolo con naturalezza, senza cadere vittima di eccessivi moralismi o volere impartire alcuna lezione di vita. Il canto di Sasha, così straziante eppure velato di speranza, è qualcosa che non vi pentirete di ascoltare, perché ci sono storie che semplicemente vanno raccontate e Mood, senza ombra di dubbio, è una di queste.