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Behind The Series – Mr. Robot: il principio di identità e non contraddizione

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Behind The Series è la rubrica di Hall of Series in cui vi raccontiamo tutto quel che c’è dietro le nostre serie tv preferite. Sul piano tecnico, registico, intimistico, talvolta filosofico.

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Il nostro secondo appuntamento con Behind the Series è con Mr. Robot, uno dei più alti esempi di come le serie tv abbiano perso il loro status di serie B per consacrarsi, come diceva lo storico del cinema Claude Beylie, nell’ottava arte. Quando nel XX secolo lo studioso francese ampliò la lista delle cosiddette arti continuò ad associare il piccolo schermo alla sola televisione, ma possiamo comunque vederlo come un enorme passo avanti nel riconoscimento qualitativo del prodotto seriale in generale.

Ma cos’è l’arte? Nel suo significato più ampio l’arte comprende qualsiasi attività umana che preveda la creazione di qualcosa. Da un altro punto di vista, però, l’arte è espressione delle interiorità umane e pertanto rispecchia sentimenti, emozioni, pensieri e volontà di chi la crea, in un determinato contesto storico, politico, sociale, esistenziale.

[…]Pertanto l’arte è un linguaggio, ossia la capacità di trasmettere emozioni e messaggi.

Wikipedia

E Mr. Robot non potrebbe far altro che classificarsi come arte, allora, dal momento che vive di un linguaggio tutto suo, difficile e a tratti quasi indecifrabile, in grado però di inoculare le emozioni più cristalline in un ossimoro quasi doloroso. Quest’articolo dedicato al “dietro le quinte” della serie ha come scopo quello di provare a decodificare la lingua di cui si compone Mr. Robot, per cercare quantomeno di afferrarne qualche significato e, se siamo fortunati, di impararne i segreti.

Il mondo di riferimento: davanti allo schermo

Mr Robot

Quello che sto per dirti è top secret. Si tratta di una cospirazione gigantesca. C’è un gruppo di persone potenti che governa il mondo in segreto: parlo di gente che nessuno conosce, di persone invisibili. L’1% più ricco dell’1% più ricco del mondo che gioca a fare Dio senza permesso… e ora credo che mi stiano seguendo

Tuttavia, prima di capire che lingua si parla in questo mondo, bisogna dapprima definire il mondo stesso, perché in Mr. Robot non è solo mero luogo fisico in cui fare accadere avvenimenti, ma cornice semiotica all’interno e dietro la quale si muovono i personaggi. Quello che noi vediamo in superficie è una New York sui generis, sede di un non meglio specificato conglomerato economico ribattezzato Evil Corporation, per la quale lavorava il padre del protagonista. Elliot Alderson è una personalità antisociale e suo malgrado hacker eccezionale, che utilizza le sue capacità per rendere il mondo un posto migliore. Durante uno dei suoi alienanti viaggi in metropolitana viene avvicinato da Mr. Robot, il capo di un gruppo anarchico chiamato FSociety. Elliot decide di mettere le sue capacità a servizio del gruppo per vendicare suo padre (morto di leucemia durante un misterioso progetto della E-Corp) e cambiare il mondo.

I luoghi in cui si muove Mr. Robot sanno di già visto: il filone narrativo che prevede società in cui la ricchezza è iniquamente distribuita e nella quale è il più povero e comune a farne le spese affonda a piene mani nella produzione cinematografica degli anni ’90 e ancora prima nello spirito anarchico degli anni ’80, fino alle idee del primo che si autodefinì anarchico, quel Pierre-Joseph Proudhon che teorizzò l’antitetico “Anarchia è Ordine” all’interno di una A cerchiata.

Il mondo di riferimento: dietro lo schermo

Eppure è chiaro che il mondo di Mr. Robot non sia tutto qui e, anzi, esso non sia che il cartonato immediatamente visibile di qualcos’altro. Ogni elemento che lo compone, infatti, non è che un simbolo rinviante a un insieme di significati ben precisi. Non è un caso che tutti i nomi degli elementi che ci vengono presentati siano artefatti, identificativi, didascalici: in un intento quasi parodistico, Esmail sceglie di chiamare la corporazione malvagia “Evil Corporation”, il gruppo insurrezionalista “F(uck)Society” e la società che trama nell’ombra “Dark Army”. Il padre della linguistica De Saussure affermava che il linguaggio è l’atto di comunicare associando alle parole e ai segni grafici dei significati determinati da convenzioni implicite: così in Mr. Robot le identità di questi elementi non sono definite dal loro nome né dalla loro fisicità ma dal significato che sottintendono e che, nel nostro caso, viene deciso da Elliot stesso.

Questo diventa particolarmente importante perché Elliot, nostro privilegiato e poi scopriremo unico filtro per percepire la realtà, non è un comunicatore attendibile.

Quest’aspetto è esemplificabile nel titolo stesso della serie: Mr. Robot non è solo il personaggio che viene presentato da Elliot come tale, ma è anche il nome del negozio che il padre stesso possedeva. Eppure, esso si riferisce anche a due sottoinsiemi di significati molto precisi: quello dell’infanzia, sublimata e miticizzata da Elliot assieme alla figura del padre, e quello della tecnologia alienante, che agisce come un velo di Maya su un mondo non più affidabile.

Il mondo è così pesantemente influenzato dalla tecnologia che ha iniziato a sembrare qualcosa di non tangibile. Il mondo è diventato inaffidabile, inconoscibile. I fatti sono fragili e le cose su cui facevamo affidamento non esistono più. È una sovrapposizione che non sarò così audace nel dire di aver predetto, ma stavo pensando proprio a questo quando ho costruito il personaggio di Elliot.

Sam Esmail – Regista e sceneggiatore di Mr. Robot

Tutto quello che vediamo, viviamo e sentiamo, quindi, è tutto frutto del filtro del protagonista, che in una sorta di moderno relativismo sofistico ci presenta la realtà solo nel modo in cui lui riesce a percepirla, per forza di cosa limitata e inaffidabile. Così come il titolo stesso della serie, ogni cosa è sempre un’altra, in un continuo rimando tra significanti e significati, segni e concetti, simboli e idee sottostanti.

Il linguaggio di Mr. Robot: l’anarco-insurrezionalismo

mr robot vs fight club hos

Vedo tutto questo potenziale e lo vedo sprecato. Porca puttana, un’intera generazione che pompa benzina, serve ai tavoli, o schiavi coi colletti bianchi. La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono […] Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock star. Ma non è così.

Fight Club

Se il simbolico e a tratti inconoscibile mondo di Mr. Robot ci filtra attraverso la mente del suo protagonista, esiste un linguaggio che Elliot usa per comunicare con esso. Un linguaggio che, ormai lo sappiamo, deve inferire a una serie di concetti e pensieri che gli diano senso. Quello più immediato e diretto è sicuramente quello dell’anarco-inserruzionalismo, rappresentato in prima battuta da Mr. Robot e la sua FSociety.

Movimento nato nella seconda metà del XIX secolo, l’anarchismo teorizzava la possibilità di una società senza gerarchizzazioni, ma organizzata sull’autonomia dell’individuo. Proclamava quindi la mancanza di un qualsiasi potere (come lo Stato) a definire i ruoli sociali. Il primo passo per raggiungere questa forma organizzativa è quello di azzerare le differenze socio-economiche della popolazione, cosa che auspicano sia la FSociety di Mr. Robot sia la non meglio identificata organizzazione di Fight Club. L’insurrezionalismo come conflitto armato è solo una delle forme più radicali di anarchismo e si configura come la parte culminante del processo rivoluzionario che dovrebbe portare, quindi, a una nuova forma di “ordine mondiale”.

Entrambi strettamente connessi all’anti-capitalismo, che si oppone per principio a un sistema gerarchico, sia Mr. Robot che Fight Club vedono nella rivoluzione l’unico mezzo per creare un mondo migliore. Mentre Fight Club, però, si ferma all’atto insurrezionale senza mai mostrarci il mondo all’indomani di esso, Mr. Robot ne analizza le conseguenze e, soprattutto, le negatività. In questo senso potremmo dire che Mr. Robot fa un passo avanti rispetto all’opera di Chuck Palahniuk.

I simboli del linguaggio anarco-insurrezionale

Mr Robot

La FSociety sceglie di mostrarsi al mondo attraverso due simboli che sono ancora una volta referenti di altrettanti immaginari. La maschera utilizzata rappresenta allo stesso tempo l’uomo del Monopoly e Guy Fawkes, due immagini antitetiche e per questo particolarmente forti. L’uomo del Monopoly nasce per rappresentare i proprietari terrieri ultra-ricchi degli anni ’20 e il gioco non è altro che una rappresentazione in scala del capitalismo. La maschera di Guy Fawkes appare per la prima volta nel 1800, ma rappresenta il cospiratore inglese che cercò di far esplodere il parlamento inglese nella famosa Congiura delle Polveri del 5/11/1605. La figura di Guy Fawkes viene ripresa dall’opera distopica-insurrezionalista di Alan Moore “V per Vendetta”, che è quindi un altro riferimento letterario di Mr. Robot, ma anche e soprattutto di Anonymous.

Il linguaggio di Mr. Robot: Anonymous e l’informazione

We are Anonymous. We are legion. We do not forgive. We do not forget. Expect us.

Non c’è alcun dubbio che Anonymous sia uno dei riferimenti più importanti di Mr. Robot e ne rappresenta il linguaggio principale nonché estetica distintiva. Nato come fenomeno di internet, il gruppo Anonymous è un gruppo hacktivista (attivisti hacker) che professa la difesa della libertà di pensiero e di espressione, in contrasto con la censura dei poteri forti. Anonymous reclama il diritto all’informazione ed è per questo che la maggior parte dei loro attacchi si concentra sulla pubblicazione di informazioni riservate. Caratterizzato da cellule che lavorano in forma autonoma, si circoscrive come gruppo per via dello scopo comune e per l’estetica, la stessa che definisce Mr. Robot come prodotto immediatamente riconoscibile.

Gli Hacker hanno queste idee e opinioni estreme sul capitalismo e la corruzione da capitalismo… questa specie di spavalderia che hanno è come medaglia al valore. Vogliono essere riconosciuti pubblicamente per le cose illegali che fanno, noi volevamo catturare questa energia e questo spirito

Sam Esmail

Anonymous e Mr. Robot non condividono solo un certo gusto estetico e l’appartenenza a una subcultura ben definita, quella di internet, ma un vero e proprio linguaggio che ha fatto di Mr. Robot un prodotto unico. L’insurrezionalismo di Fight Club si sposta sul web ed agisce attraverso il linguaggio informatico degli Anonymous e del suo corrispettivo seriale, la FSociety di Mr. Robot prima, ma soprattutto il Dark Army di Whiterose dopo. Questo è lo spirito più puro, il cuore pulsante della serie.

Ancora una volta, però, possiamo rintracciare un sottotesto più profondo e, se vogliamo, più intimo di questo spirito. Se è vero che questo linguaggio anarchico, insurrezionale, anti-capitalista, hacktivista è difficile da decifrare, le emozioni che lo producono sono più riconoscibili di quel che potrebbe sembrare.

Dietro il linguaggio: la disgregazione dell’Io

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Elliot è sicuramente più estremo di me, ma abbiamo alcuni elementi in comune. Sono stato paranoico, ho temuto che le persone mi stessero seguendo. Tutti questi piccoli dettagli si riferiscono e parlano alla era tecnologica. Vedo molte persone mettere lo scotch sulle videocamere dei computer e c’è una specie di strano narcisismo in questo: perché pensi che le persone dovrebbero spiarti? Ci sono sette miliardi di persone al mondo. Perché dovrebbero scegliere te? O, nel mio caso, perché dovrebbero inviare qualcuno a seguirmi?

La paranoia tipica degli hacktivisti fa parte dell’allure, anzi costituisce il substrato principale del loro spirito e in buona parte viene condiviso anche da Elliot in Mr. Robot. Come lo stesso Esmail ha affermato, la paranoia è una costante del personaggio e diventa un nostro modo di percepire la realtà all’interno della serie, un altro mattoncino di quell’inaffidabilità di cui parlavamo poc’anzi. Spogliato di tutto il suo linguaggio, Elliot è una persona che soffre molto, intrappolato dalla sua stessa mente, che cerca scampo e lo fa attraverso la droga.

Elliot crea questo narratore assolutamente inaffidabile, ha allucinazioni, ha delle visioni… è un prodotto della sua malattia mentale? O delle droghe che prende? O è una combinazione di entrambi?

Sam Esmail

Mr. Robot è alla fine e sotto tutto questo linguaggio meta-testuale e simbolico la storia della disgregazione dell’io e il percorso della sua riunificazione. Come un personaggio pirandelliano, infatti, Elliot è allo stesso tempo se stesso e nessuno, unità singola e centomila agli occhi di se stesso e degli altri.

Il dualismo linguistico si riconferma qui come dualismo dell’identità, tra vita e forma, ossia tra la vita che scorre in quanto tale e l’insieme di norme sociali e formali che la società impone. Come Il Fu Mattia Pascal prima di lui, Elliot è disgregato tra diversi “Io” che non coincidono né per obiettivi né per approcci alla realtà e si ritrova intrappolato all’interno della sua stessa mente. Il suo percorso va in parallelo con gli altri personaggi della serie. Non è un caso, infatti, che nessun altro abbia una coincidenza perfetta tra identità ed esteriorità, tra forma e vita, tra volontà e rappresentazione. A partire dalla fluidità di Whiterose a quella inquieta di Darlene, da quella spiccatamente repressa di Tyrell a quella fragile di Angela, nessuno riesce a far convergere il mondo dell’interno con quello, inconoscibile ma desiderabile, dell’esterno.

Mr. Robot esplora la solitudine sia come forma di incomunicabilità, ma anche e soprattutto come lotta solitaria contro se stesso, nel tentativo di far vivere l’Io in pace con se stesso e la realtà che lo circonda. Qui ritorniamo a Fight Club e alla lotta come sprigionamento delle pulsioni interiori, come risveglio della coscienza. Tyler Durden è in qualche modo anche Mr. Robot.

L’uomo non è in verità unico, ma duplice. Dico duplice perché lo stato della mia conoscenza non va oltre questo punto[…] io posso osare prevedere che infine l’uomo verrà riconosciuto come un risultato di molteplici, incongrui ed indipendenti entità

Come ne Lo Strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Elliot riversa tutti gli aspetti più negativi della sua mente in un alter ego che rappresenta la figura freudiana del padre. In Freud il padre è un’entità ambivalente: un modello da imitare, qualcuno da cui farsi proteggere e da cui attingere risorse e, contemporaneamente, qualcuno da superare e sconfiggere per affermare la propria indipendenza. Mr. Robot è sia una figura positiva e protettrice sia una figura distruttrice e manipolatoria per Elliot. Ma quello che differenzia Mr. Robot dagli altri è la risoluzione di questa disgregazione: in Fight Club il protagonista, una volta scoperta la verità del suo disturbo, uccide metaforicamente la sua parte malvagia. Sul versante opposto, ne Lo Strano caso, il Dr. Jekyll compie metaforicamente il suo suicidio, lasciando il destino di Hyde in mano alla giustizia morale.

Morirà sul patibolo, Hyde? o troverà il coraggio di liberarsi all’ultimo attimo? Lo sa Dio: io non me ne curo più; questa è l’ora della mia vera morte, quanto accadrà dopo concerne un altro individuo. A questo punto, mentre depongo la penna e suggello la mia confessione, pongo fine alla vita dell’infelice Henry Jekyll.

Lo Strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde
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Elliot invece compirà un percorso di svelamento di se stesso e delle sue identità allo scopo, inconscio ma presente, di unificare il proprio Io. Ogni identità, per quanto distruttiva, è nata allo scopo di proteggere quell’Io originario e tutte si ritirano nel momento in cui quest’Io è a un passo dalla disgregazione totale. Nessuna di loro, neanche il rabbioso Mr. Robot né il razionale Mastermind, ha come scopo quello di cannibalizzare la propria fonte. In questo senso, il passaggio da un finale suicida come quello di Fight Club a quello comunitario nel cinema mentale di Mr. Robot è emblematico. Il percorso di Elliot è tutto qui: dall’anonimo “Ciao, amico” del primo episodio al nominale “Ciao, Elliot” dell’ultimo.

Il principio di non contraddizione afferma che non si può “essere” e “non essere” nello stesso momento e allora Elliot è Mr. Robot, la Madre, il Bambino e il Mastermind. Il centomila che ridiventa uno, l’uno che si scopre centomila, ma sempre qualcuno e mai nessuno. La solitudine paradossale nelle molteplici identità che diventa pienezza nel singolo completo. Finalmente solo e soltanto Elliot.

Ed è nella riaffermazione del principio della propria identità che passa l’annientamento della solitudine.

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