Il tempo non torna mai indietro, neanche quando vorremmo. Soprattutto quando vorremmo. Mr Robot ce lo insegna. Ce lo ha mostrato nel maestoso finale della scorsa stagione. È quello il momento che dobbiamo tenere a mente per comprendere questa 4×03. Perché in quelle sequenze c’è il senso di un “fuori tempo” che accomuna tutti i protagonisti.
Come atomi impazziti, i personaggi di Mr Robot vagano alla ricerca del loro posto nell’universo, tendono irrimediabilmente a una posizione di quiete che la vita impedisce loro di avere. In un vorticare impetuoso vorrebbero tornare indietro. Fermarsi e trovare posto là, in quel tempo in cui tutto era ancora possibile e in cui il dolore non si era ancora fatto largo.
Fare l’undone, l’annullamento, per Elliot significava cancellare la fase 2.
In questa stagione di Mr Robot fare l’undone ha un valore diverso eppure simile per ogni interprete. Vuol dire cancellare l’errore in un codice ormai danneggiato: quello della loro esistenza. Così è soprattutto per Whiterose che apre tragicamente questo episodio. Per lui ogni cosa è scandita dal tempo. Gli orologi costellano l’ambiente che lo circonda, eterno memento allo scorrere incessante dell’esistenza. Perdere tempo, per lui, significa far vincere il tempo.
Ricordate l’incontro con Elliot nella 1×08? La sua è una vita programmata, pianificata in istanti, secondi di minuti di ore disposti in un quadro perfetto. Perfetto, già, eppure opprimente. Perché è stato proprio quel tempo a condannarlo all’infelicità. Prima c’è stata la gioia di un rapporto sincero, l’amore reale. Ma questo amore il tempo l’ha schiacciato. Se n’è appropriato, rigurgitandolo in un suicidio inevitabile.
E allora Whiterose quel tempo vuole dominarlo. Piegarlo al suo volere nel folle e psicotico proposito di fare l'”undone“, annullare il dolore che ha patito. Quel dolore che è lui stesso ad aver causato. Quel trauma che ostinatamente vuole cancellare nasce da lui. La sua è la colpa dell’attesa. “Se ti chiedono di essere paziente, stanno chiedendo la tua resa“, professa tragicamente il suo amato.
In quel tempo Whiterose ha ceduto.
Ha accettato una posizione di potere (ministro della sicurezza) preferendola a quella di rappresentanza (ambasciatore). Preferendola all’amore e a una vita serena in un Paese più liberale. Ha rimandato. Ha perso tempo. E così il futuro si è tramutato di colpo, per lui, nel passato immodificabile.
Nel passato si annida lo stesso errore nel codice delle esistenze di Angela, Darlene ed Elliot. Per tutti loro la perdita degli affetti è l’insuperabile e irrimediabile dramma che non può essere annullato. Non c’è scappatoia. Angela, nella sua debolezza, aveva ceduto alla tentazione di Whiterose, alla speranza irreale che questo errore potesse essere rimosso. Che si potesse tornare indietro.
Nel finale della 3×10 di Mr Robot Superman compie un giro attorno alla terra superando la velocità della luce. In questo modo riavvolge il tempo impedendo la morte dell’amata. Ma questo, in Mr Robot -nella vita-, non è possibile. Quel che è fatto è fatto, Elliot lo sa. Lo sa paradossalmente meglio di chiunque altro. In quell’occasione aveva rinunciato a bruciare la giacca di suo padre, la memoria dolorosa, cedendo al ricordo affettuoso.
Aveva accettato quel passato.
Accettato quello che gli era successo, andando avanti: ecco allora la ricomposizione col suo Mr Robot, il compromesso col tempo. L’ammissione dell’ineluttabile, incessante procedere della vita secondo dopo secondo, momento dopo momento. E, soprattutto, errore dopo errore.
Anche Whiterose senza rendersene conto va avanti. Ha fatto la sua scelta molto tempo prima. Lo scorso episodio si è aperto significativamente con la sua scalata. Non è più l’amore, ma la sete di potere a guidarlo. Tornare indietro per lui significherebbe essere signore del tempo, imporsi sull’ultimo, ostinato, indistruttibile nemico della mortalità e della fallibilità umana. L’errore e il rimpianto non esisterebbero più, cancellati dal continuo annullamento.
Per lui, allora, il vestito della madre, diversamente dalla giacca per Elliot, non è accettazione del suo errore e ricordo dell’amore perso. No, quel vestito vorrebbe essere celebrazione della sua vittoria sul tempo, del suo nuovo regno eterno. Lo indosserebbe al compimento del suo progetto, come abito regale di trionfo.
Così, però, non potrà essere.
Non supererà la velocità della luce. Ce lo dice lo stesso profondissimo regista di Mr Robot, Sam Esmail. Lo urla, delicato, tra le pieghe di un racconto che non si fonda sulla possibilità di annullare i propri errori ma di accettarli.
La delusione e l’incomunicabilità si alternano alla speranza e al legame. In Elliot l’amarezza per la presa di distanza di Krista, della sua psicologa, si accompagna al nuovo scontro con la sorella. È tutta qui la difficoltà di rapportarsi all’altro. Il “fuori tempo” di un ragazzo che come un atomo impazzito cerca il suo posto nel mondo.
Eppure, c’è anche la speranza. Perché in Elliot, dietro la paura di essere ferito, dietro quel cappuccio che tira su come un muro contro il mondo, c’è e c’è sempre stata la speranza combattiva che “everything will be alright“. La speranza che un legame con l’altro, nonostante tutto, sia possibile. Così una parte di sé rinuncia al ricatto. Quella parte lo spinge a sedersi. Ad aprirsi all’altro.
Elliot torna “in time“, torna “a tempo” per un attimo appena.
Decide di non rimandare, di non compiere l’errore di Whiterose. Non attende. Insegue quella ragazza per strada. La bacia. Lentamente lo scopo strumentale di quell’approccio si tramuta in un’apertura reale, sincera. Non è nell'”undone” del dolore che si guarisce, ma è nella sofferenza condivisa e nell’accettazione che ci incontriamo l’un l’altro.
Se Elliot avesse ceduto alla soluzione facile, al ricatto, avrebbe fallito. Perché il flacone non conteneva droghe, ma un ricordo. Come per il vestito di Whiterose e la giacca di Elliot, quello è un “reminder“, come lo definisce la ragazza. Un promemoria. L’eterna riprova dei suoi sbagli e della sua determinazione a non compierli più. Come Elliot, Olivia non cancella l’errore ma lo tiene sempre vicino a sé.
È questa la strada, ci sussurra Sam Esmail.
Come atomi impazziti vaghiamo in questo universo. Tendiamo eternamente all’indietro, a un luogo che non possiamo raggiungere perché confinato nel passato. E non ci rendiamo conto che è dal dolore condiviso, non da quello rimosso, che possiamo trovare noi stessi e incontrare l’altro. In un esplosivo scontro tra protoni. Nella finale, combattiva consapevolezza del tempo. Perché quel tempo possiamo cavalcarlo solo guardando avanti. Pronti ad afferrare l’attimo fuggevole nella speranza di essere capiti. E amati.