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L’ottimismo rivoluzionario di Mr. Robot

Mr. Robot
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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 3×10 di Mr. Robot 

In un mondo nel quale lo status quo dei più forti vince su tutto, ognuno di noi si ritrova alla deriva. Cerchiamo perennemente una nuova identità, modellata a immagine e somiglianza di una società artefatta, fino a dimenticare chi siamo. Rinunciamo spesso alla nostra stessa esistenza, in nome di una stabilità illusoria. Ci chiudiamo nel loop della routine, abbiamo paura di star da soli anche solo per un secondo. Ci siamo, senza esserci. Ma ognuno di noi, che lo voglia o meno, è anche altro. Un altro. Perché una voce silenziosa alberga dentro di noi, sopita nell’apatia. A differenza nostra, non si accontenta di sopravvivere. Vuole vivere davvero, fuori dagli schemi della Storia che immaginiamo essere inscalfibili. Urla, all’improvviso, nelle nostre orecchie, risvegliandoci. Come fa Mr. Robot con Elliot Alderson. E come fa Mr. Robot, una serie tv che, a prescindere dalle apparenze, è piena d’ottimismo, con noi.

Mr. Robot

Se non riuscite ad associare una qualsivoglia idea di felicità ad un capolavoro che ha costruito un’intera stagione sul fallimento di una rivoluzione e un arco narrativo triennale sulla deriva esistenziale del suo protagonista, non avete visto gli ultimi tre episodi con gli occhi giusti. Come ha evidenziato meravigliosamente Emanuele D’Eugenio nella recensione della 3×10 (se volete darle un’occhiata, la trovate qui), la rivoluzione, quella vera, parte da noi stessi nel confronto con quel che siamo realmente. E in questo caso, se lo vogliamo, non esistono distorsioni possibili. Non ci sono filtri, non ci sono maschere. Ci siamo solo noi di fronte alla nostra anima, dissolta in un’infinita di atomi. Perché è vero, ognuno di noi è se stesso e chi si riduce in catene, ma Mr. Robot è un’unita che racchiude un milione di volti, a loro modo sorridenti.

Viviamo in un mondo che ci chiede ogni giorno di rinunciare alla nostra identità in nome di un equilibrio che non rappresenta altro che una fuga. Ma ci si può fermare. Perché si può volgere lo sguardo alle nostre spalle e vedere una cattedrale nel deserto ridotta in macerie, manco fosse plastica che brucia. Pensare, ripensare continuamente agli errori. Sognare un ideale “Canc” che possa azzerare tutto, rimettere in piedi un grattacielo e restituirci chiunque abbiamo perso per strada. Tornare al passato, e fuggire ancora dalla verità. Oppure tornare al futuro e capire che, se ci crediamo, a tutto può esserci rimedio. Dare l’“Invio” e renderci conto che la Storia, personale e di interi popoli, non è altro che un corso e un ricorso di risposte diverse alle stesse domande. E che niente è per sempre, se non il senso unico di ogni singolo individuo.

Mr. Robot

Mr. Robot lo ribadisce continuamente. Lo urla con rabbia mista a dolcezza. Spoglia ogni personaggio delle sue maschere, restituendoci degli esseri umani nella sua essenzialità, soli di fronte ad una fuga (in)arrestabile. Un coro globale, sublimato nell’espressione ritratta nel volto di Price nel momento in cui ha rivelato ad Angela di essere suo padre. Lui, come tutti gli altri (ad eccezione di Whiterose, ancora accecato da un misterioso passato), ha finalmente capito di doversi fermare e costruire una nuova cattedrale in una nuova città. Perché ogni baccanale che celebra la vittoria di una piccola minoranza è solo l’ennesimo rito funebre di un’umanità allo sbando, e una rivoluzione, a prescindere dai privilegi, è necessaria.

Perché la chiave della felicità è l’individuazione di un senso che riscatta noi stessi e non è solo carne da macello per il mostro invisibile della Storia, bisognosa di fagocitare anche chi la fa. Perché ognuno di noi, in fondo, ha in sé la malinconia di Elliot e le lacrime disilluse di Angela. I sogni (impauriti) di gloria di Whiterose e la rabbia del rivoluzionario. Il dramma di Superman e la speranza di Ritorno al Futuro. Perché questa non è fantascienza e dilata le forme per parlare della nostra straordinaria ordinarietà. Perché possiamo ribellarci alla condanna e non essere più signori robotici. Noi, soli e insieme, possiamo liberare davvero Mr. Robot. Che la terza fase abbia inizio.

Antonio Casu 

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