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La regia di Mr. Robot

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Chi poria mai pur con parole sciolte
dicer del sangue e delle piaghe a pieno
ch’i’ ora vidi, per narrar più volte?

Chi sarebbe stato in grado di raccontare la condizione dei dannati?

In un Inferno inesistente, che prende vita solo grazie a parole rapide e eteree, chi avrebbe potuto dilatare il tempo narrativo fino a dargli senso? Ovviamente nessuno, eccetto chi, quell’Inferno l’aveva inventato. Eppure neanche Dante riuscì a essere pienamente soddisfatto delle sue parole. Si trova davanti a un’insolita impossibilità di descrivere la vera dannazione, il distacco dalla realtà che si conclude nella sofferenza della rassegnazione.
Ma l’Inferno è cambiato, adesso è altrove e sono cambiati anche i poeti che vogliono raccontarlo. Le scene che Dante sapeva rendere immobili e incise grazie alla concretezza delle parole, ora cominciano a muoversi, a diventare un vero e proprio manifesto della mente umana. La dannazione viene realizzata, da poeti che alle parole aggiungono immagini e suoni. Come Sam Esmail che trasforma la realtà, scena dopo scena, nel suo Inferno personale. Mr. Robot è però anche il suo Paradiso e il suo Purgatorio.

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È tutto ciò che un’emozione può essere, è la suggestione di un Inferno contemporaneo, ormai condiviso da chiunque abbia visto almeno una puntata di questa Serie Tv. Sam Esmail ha saputo rendere il tempo narrativo ritardante, ciclico e reale. Sfocando al punto giusto i personaggi, vittime della loro stessa perdizione a favore di un contesto fin troppo statico. Sfrutta totalmente tutti i sensi tirandoli ogni volta fino all’estremo, come se ci trovassimo tutti contemporaneamente, nella stessa patologia.

Non solo le immagini, ma anche la voce fuori campo è il pensiero che rimane interiore e che per pochi istanti appare in superficie. Racconta una dimensione astratta, condivisa solo da chi riesce a sentirla. Elliot parla con se stesso, con noi e con il suo mondo. Sembra poter dirigere lo stesso Sam Esmail nella costruzione dello scenario. È lui a guidare la realtà ed è lui ad esserne vittima.

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Si fa fatica a mettere a fuoco l’immagine, come se durante la scena si stessero facendo una serie di prove, a ogni prova il dettaglio a fuoco è sempre diverso. Questa è la regia di Mr. Robot. È l’espressione delle fratture che diventano punti di svolta, che creano anni zero da cui ricominciare, senza però dimenticare il passato.

La fine di questi frammenti coincide molte volte con la fine netta di un brano. È lo spazio che si dilata e si contrae, smette immediatamente di esistere e lascia spazio a un’altra scena. Funziona da allarme per lo spettatore che non ha tempo di riflessione nello spazio tra le scene e riesce a ricordare di più e meglio il dettaglio di transizione. L’elemento che non ha nessun tipo di importanza apparente ma che collega la dimensione passata e quella futura. Un dettaglio di ordine e risparmio di energie mentali che nel mondo caotico di Sam Esmail è fondamentale. Altra, meravigliosa conferma dell’attenzione al particolare che caratterizza Mr. Robot.

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Non è solo l’immaginazione dello spettatore ad entrare in contatto con i temi della serie, molto lavoro in questo senso è svolto dall’aspetto tecnico. Ogni inquadratura è evidentemente studiata nei dettagli, anche i più piccoli. Un esempio ci è dato dall’episodio 3×04 che mostra l’utilizzo quasi ossessivo ma sempre sinergico dell’espediente del long take. Alcune scene vengono girate servendosi di inquadrature di lunga durata.
Ma Sam Esmail non si ferma qui, sperimenta tutto ciò che deriva dalla sua cultura cinematografica. Prende in prestito per esempio lo split screen, lo schermo è fisicamente diviso a rappresentare contemporaneamente momenti di personaggi diversi.

Molto spesso il dinamismo delle scene è dato non solo dalla loro presentazione coreografica, ma anche dalla scelta di brani capaci di strappare letteralmente il mondo concreto di Mr. Robot. Lacerazione sintomatica e possibile grazie ai molti, moltissimi piani sequenza che Sam Esmail sfrutta fino all’esasperazione.

I campi lunghissimi di inquadratura permettono uno sguardo generale sul luogo fisico preponderante rispetto ai personaggi che lo vivono. Molto spesso assistiamo ad un cambio repentino da questa tecnica all’utilizzo della prospettiva, sempre originale, che amplifica l’effetto di alienazione dei protagonisti. Si dà così molta importanza ai dettagli che costruiscono e guidano la scena.

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L’Inferno che Dante ha cercato di descrivere in versi, è stato reso vivo e reale da Sam Esmail. Non sarà lo stesso, ma forse la concezione di Inferno è solo una semplice combinazione delle loro opere.

La ragione per cui penso che questa composizione dell’immagine funzioni è puramente istintiva. Film o Serie che adottano questa composizione mi comunicano un senso di inquietudine, come se le persone inquadrate fossero sconnesse. Ed è questo che voglio mostrare nella mia Serie: il dilagante distacco tra le persone è uno dei nostri temi principali.”

Sam Esmail

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