ATTENZIONE SPOILER: NON LEGGERE L’ARTICOLO SE NON AVETE FINITO MR ROBOT E NON AVETE VISTO SHUTTER ISLAND
Mr Robot è una delle serie tv più belle che siano mai state prodotte. Per lei possiamo pure scomodare quella parola che viene troppe volte abusata: capolavoro. Le tematiche affrontate sono tante, di cui la maggior parte sono complesse e delicate – come la malattia mentale, il disordine socio-economico globale, l’alienazione, la dipendenza, l’hackeraggio– e si intrecciano con la quotidianità delle persone comuni. Forti dosi di realtà si uniscono a scenari distopici e plot twist da cui, ancora, non ci siamo ripresi. A tutto questo dobbiamo aggiungere una sublime perfezione stilistica, episodi straordinari e una naturale chiusura.
È un peccato che Mr Robot sia considerata una serie tv di nicchia e non abbia avuto i riconoscimenti che merita perché chi l’ha vista si è trovato di fronte a qualcosa di speciale.
Se ci pensiamo bene, è successo in parte lo stesso per Shutter Island. Pur essendo un film famosissimo, è l’unico del due Scorsese-DiCaprio a non aver ricevuto nemmeno una candidatura all’Oscar, eppure quasi tutti coloro che l’hanno visto ne sono rimasti affascinati ed entusiasti. Magari non è il primo lungometraggio che salta nella nostra mente quando pensiamo a Mr Robot, ma questi due thriller psicologici hanno davvero tanto in comune. Più di quanto non si pensi.
Partiamo dalle due rivelazioni shock di Mr Robot e Shutter Island.
Nella serie tv avviene nel meraviglioso settimo episodio della quarta stagione, mentre nel film alla fine. Lì scopriamo che il difficile passato dei due protagonisti, Elliot e Andrew, è stato colpito da un trauma che ha condizionato tutta la loro esistenza futura: il primo è stato abusato dal padre, il secondo ha ucciso la moglie (che a sua volta aveva tolto la vita ai figli). Per loro è così terribile da sopportare che, per poterlo superare, non solo lo hanno completamente rimosso, ma hanno creato due identità – che per Elliot sono anche di più – migliori, eroiche. Andrew Laeddis, per la regola del quattro, diviene Teddy Daniels, un rinomato agente dell’FBI in cerca dell’omicida della moglie, l’unico che ha capito il complotto ordito all’interno del manicomio. Elliot invece si trasforma in un hacker vigilante a caccia di farabutti, così bravo da far cadere l’economia mondiale. Se ritorniamo al pilot, non è casuale che il primo criminale di cui si occupi sia proprio un pedofilo.
Il loro meccanismo di difesa è così forte che trasformano la realtà, piegandola ai loro bisogni e circondandosi di persone immaginarie.
Prendiamo in considerazione l’episodio della finestra in Mr Robot: a otto anni Elliot venne spinto da suo padre e cadde dalla finestra della sua camera perché aveva detto alla madre che Edward era malato di leucemia. In realtà, Elliot si è inventato quella situazione, cambiando il passato e la verità sul suo vecchio. Il risultato è Mr Robot: il padre che avrebbe sempre voluto avere, che lo ama come un genitore dovrebbe e lo protegge in ogni circostanza. Allo stesso modo, il dolore per le azioni della moglie – e le conseguenze – è troppo grande per Andrew. Nei suoi ricordi inventati lei non ha mai ucciso i loro figli perché non ne avevano e a toglierle la vita è stato Andrew Laeddis che, a questo punto, lui considera come un’altra persona da sé: un mostro con il volto sfigurato.
In entrambi i casi si può notare come il trauma sia legato principalmente a un oggetto. Come già menzionato, per Elliot è la finestra. Per Andrew, invece, è l’acqua perché sua moglie ammazzò i loro figli annegandogli in un lago.
Noi spettatori vediamo ogni cosa attraverso i loro occhi: è lo sguardo distorto di due persone affette da malattie mentali, chiuse in una prigione fisica (Elliot per poco) e psicologica. Elliot soffre di depressione, disturbo dissociativo dell’identità – così come Andrew – e ansia sociale. Nella quattro stagioni di Mr Robot il protagonista ci trascina nel suo mondo e nelle sue paranoie, cancellando parti della sua vita come Darlene, facendoci provare le sue stesse sensazioni, e tutto ciò che per lui è reale lo diventa pure per noi. La stessa cosa succede con Andrew: veniamo coinvolti all’interno delle sue indagini, finendo per credere alle sue parole e al suo modo di vedere gli eventi. Siamo davvero convinti che lui sia un’agente dell’FBI venuto lì per indagare sulla scomparsa di una paziente e, poi, sulle attività illecite del manicomio.
Eppure c’è quella sensazione che ci sia qualcosa che non quadri, a partire dalla “vera” Rachel Solando, psichiatra del manicomio che avvalora tutte le tesi complottistiche di Teddy. Non lo capiamo subito però, dato che Shutter Island (qui 5 serie da vedere se lo hai amato) è disseminato di indizi che trovano senso solo nel finale.
Prendiamo l’interrogatorio che Teddy fa ai pazienti: dov’è sparito il bicchiere d’acqua? Perché il detective sa che sfregare la matita su un foglio infastidisce un paziente? O ancora, perché, quando gli chiede com’è questo psichiatra introvabile, la donna si volta proprio verso Chuck? Per non parlare del fatto che ai pazienti non è consentito avere un accendino e Teddy si fa accendere sempre le sigarette dal suo partner. Ancora, proprio all’inizio, stranamente Teddy ha il mal di mare ma l’acqua è calma: questo si spiega con il suo trauma legato a quell’elemento.
Anche Mr Robot è pieno di indizi. L’idea dell’abuso è sempre stata sotto i nostri occhi: “Non mi toccare” dice Elliot al ragazzo di Angela. I travestimenti di Darlene, soprattutto gli occhiali alla Lolita, rimandano a quella verità dimenticata e taciuta, così come il flashback di Elliot e suo padre al cinema. “Sei malato e non vuoi ammetterlo”, afferma il protagonista, e quella malattia non è la leucemia, ma qualcosa di molto peggio. L’identità del Mastermind poi ci era già stata svelata. Se torniamo alla prima stagione, c’è quel momento in cui Angela è in abito da sposa e sfida Elliot, dicendogli che non riuscirà a salvare il mondo perché è nato solo un mese fa. “Non è ovvio? Non sei Elliot. Sei il…” ma la frase viene tagliata e solo il finale ci consente di vedere la scena completa. Un Mastermind che, nella seconda stagione, soccombe al vero Elliot che riemerge per pochi minuti, prima di riprendere il controllo definitivamente: ciò si intuisce dal fatto che Elliot non si ricordi il piano di Tyrell.
Seppur per scopi diversi, ci sono delle persone che conoscono la vera identità dei protagonisti ma decidono di stare al loro gioco e restare in silenzio per il loro bene. Gli psicologi di Andrew cercano di testare sull’uomo una terapia che potrebbe farlo guarire mentre Krista sa di Elliot, ma svela il suo segreto solo sotto costrizione, tentando di proteggerlo finché può. Per Darlene, invece, è il tentativo di tenersi accanto suo fratello per più tempo possibile e in ogni modo possibile, anche se consapevole che non è veramente lui.
La rivelazione sulle loro identità, avvenuta per entrambi in uno spazio chiuso dal quale non si può scappare come il Faro e il salotto, conduce noi e i protagonisti verso un finale aperto e scioccante. Là dove il Mastermind sceglie di fare un passo indietro e lasciare il posto al vero Elliot e dove Andrew decide che è meglio “morire da persona perbene piuttosto che vivere da mostro”. E ancora, di quel finale, non c’è data spiegazione.