Mr. Robot è una realtà sconosciuta, magnifica, sorprendente e scioccante. Ma è difficile stabilire anche solo se sia una realtà. Perché?
É come entrare in una stanza illuminata, accecati da luci di indubbia provenienza, con un’origine probabilmente interiore, c’è così tanta luce perché siamo noi e la nostra anima a crearla.
Non c’è nulla di veramente concreto, se non questi specchi, belli, bellissimi, che attraggono con intrigante passione; è come avvicinarsi a se stessi, alla propria immagine riflessa, è come entrare nella propria mente attraverso la propria anima, così pura ed immensa.
Avvicinarsi ad uno di quegli specchi ed osservare noi stessi da prospettive differenti e strane, ossessionati e circondati da una figura, dalla nostra magnifica ed orribile fisicità astratta.
È un gioco di specchi concavi, convessi, orizzontali, di quei tipi che riescono a farti sembrare più grasso o più magro, sembriamo opere malate di un autore cubista.
A contatto con tutte queste dimensioni di noi stessi cominciamo a chiederci quale sia quella che più ci rispecchia. Ma siamo tutte quelle distorsioni che vediamo, noi siamo tutti quei frammenti spezzati di personalità che vengono rappresentati nella stanza.
Tutto è lì per far capire che niente è reale, neanche la tua stessa immagine, neanche tu. Gli specchi sono lì per distrarti, per deformarti, per renderti irriconoscibile ai tuoi occhi, e la tua mente asseconda queste distorsioni rendendoti inutilmente reale. Perché reale non sei. Non c’è un solo specchio che riesca a riflettere la tua immagine reale, oppure c’è ma non riesci a capire qual è. Sono tutti uguali… sono tutti lì per distrarti.
Mr. Robot,
è lì per distrarti.
Per accompagnarti mano nella mano, mente nella mente, nella stanza degli specchi, dei tuoi personali specchi deformanti.
Ti lascia lì, con la sola presenza di te stesso e con le tue infinite domande senza risposta. È difficile non pensare ed è quasi impossibile riuscire a trovare la porta d’uscita. E quando credi di averla trovata, è facile scoprire che si tratta solo di un’altra entrata per un’altra stanza piena di altri specchi. Sempre diversi, sempre uguali.
Perché è Mr. Robot a comandare, ma chi è Mr. Robot… chi sei tu?!
Ed è a questo punto che la disperazione diventa una via di fuga, un orribile espediente per una cauta rassegnazione.
E così siamo diventati complici di questo infinito oblio che è la nostra stessa pazzia.
Ma se non fosse pazzia? Se fosse questa la vera realtà? E se riuscissimo a vederla ma non riuscissimo a comprenderla? E se quello che vediamo sia soltanto un ennesimo errore, un promemoria della precarietà della stanza di specchi che è attorno a noi?
Per cinquanta minuti alla settimana siamo diventati altro, un’altra persona, in un altro luogo. Siamo riusciti ad uscire dalle nostre realtà per entrare in una parte della mente di Elliot e non riuscire ad uscirne se non a fine puntata, ma probabilmente siamo ancora lì, chi può saperlo.
Sam Esmail è riuscito a farmi convivere con l’insanità di un uomo per due stagioni. Non avrei mai pensato di poter vivere a contatto così ravvicinato con la mente di un altro pazzo che non fossi io. Non avrei mai pensato di potermi perdere nella testa di qualcun altro, di uno sconosciuto, per poi scoprire che non siamo poi così diversi.
Perché in realtà, chi può affermare con certezza la propria sanità?
Chi può dire di non essere pazzo?
E chi può negare di aver visto Mr. Robot?
Ma chi è Mr. Robot… chi sei tu?!
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