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MultiUniverso -Pilot: un’interessante coincidenza

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«Posso vedere? Ne ho uno uguale» chiede lui toccandosi i capelli mentre sventola un invito sgualcito color pesca.

«No!» risponde secca la ragazza, nascondendo il suo e girandosi di scatto.

«Ehi, rilassati, volevo solo capire con chi sono capitato. Sono Hank Moody, comunque».

«Beth Harmon» risponde infastidita lei. Sono le quattro del pomeriggio, fa un caldo atroce e appiccicoso e anche le tende della stanza svolazzano senza entusiasmo, lasciando intravedere distrattamente l’oceano.

Hank prende posto su una delle sedie del cerchio, ancora tutte libere, la gira velocemente e la inforca come fosse una moto. Beth non voleva essere sgarbata, ma l’idea di essere lì le dà la nausea. La vittoria sarebbe stata sua, ma quel moccioso di Karpov la punzecchiava dall’inizio della partita. È vero, non avrebbe dovuto bere così tanto prima di un torneo, pensò, ma tant’è.

Si avvicina a Hank con aria mortificata: «Ehi, mi dispiace, non volevo essere scortese. Mi hanno mandato qui perché ho picchiato un ragazzino russo molto seccante» si scusa Beth.

«Capita. Io invece ho trovato “l’invito” sul comodino con un messaggio che diceva: o ne esci oppure abbiamo chiuso» risponde sardonico Hank mimando con le dita il gesto delle virgolette.

«Chi ti ha lasciato il biglietto?» chiede incuriosita lei.

«È questo il punto, non me lo ricordo, ma credo sia importante» sorride Hank togliendosi gli occhiali.

Improvvisamente entra un uomo di altezza notevole, distinto, elegante e anche lui visibilmente scocciato:

«È questo il “Ritiro pacifico dei giorni più lieti che furono“?» domanda lapidario l’uomo.

Beth annuisce annoiata, Hank tenta di iniziare una conversazione, ma l’altro lo zittisce subito:

«Per piacere, stia zitto. In fondo le riesce meglio scrivere su quella sua macchina desueta che conversare, non è così?» risponde l’uomo con accento inglese, poi chiede a Beth:

«Costui la infastidisce, Signorina?».

Moody è confuso, la ragazza sta per rispondere quando un cavallo entra nella stanza. Hank balza in piedi scioccato, sputa una serie di parolacce indicibili, ma il cavallo ribatte:

«Che c’è, è la prima volta che vedi un cavallo? Vallo a dire a tua sorella. Hey, ma non c’è nemmeno un buffet, nemmeno uno stramaledetto cesto di frutta, ma che incontro per alcolisti anonimi è questo!? Io me ne vado» continua il cavallo.

«No, tu non ti muovi da qui» ribatte un uomo rossiccio entrando frenetico nella stanza, poi sbircia la sua lista e aggiunge: «Lei è il Signor B. Horseman, scommetto (e non lo dico perché lei è un cavallo, sia chiaro). Ma che razza di nome è BoJack? Comunque, io sono il vostro consulente. Ero uno psichiatra, ma la vita fa schifo e sono stato declassato a consulente/terapista per aiutarvi a tirare fuori quello che vi tormenta. Prendete posto: prima iniziamo, prima finiamo questa scemenza. Ma dove sono tutti?»

Alla spicciolata e con un’allegria – per fortuna – non contagiosa, entra il resto del gruppo. Le sedie si riempiono, c’è chi trascina la sua vicino alla finestra per accendersi una sigaretta, chi svogliato si dondola avanti e indietro e chi a braccia conserte fissa il vuoto dalle vetrate.

Il consulente indossa i suoi occhiali, assume una posizione semiseria, dita unite, poi, dopo aver strizzato ripetutamente gli occhi, inizia a parlare:

«Signore e Signori, sappiate che neanche io vorrei essere qui in questa banalissima isola del Pacifico rinchiuso in una stanza con voi, un cavallo e… ma cosa fa quello là?» s’interrompe indicando un individuo sulla sessantina che si è appena accasciato sul pavimento.

Nessuno pare preoccuparsi, ma l’uomo elegante rassicura comunque i presenti:

«Sta bene, nel taxi per venire qui non smetteva di parlare, l’ho dovuto sedare, mi pare ovvio. Si riprenderà tra qualche ora».

L’ex psichiatra passa oltre e gli domanda se è lui il noto investigatore di cui tutti i giornali londinesi parlano. L’uomo elegante risponde che in realtà è solo un consulente, ma che probabilmente si tratta proprio di lui. «Allora, spuntiamo qualche nome dalla lista: quindi lei è il Signor Holmes mentre il tipo svenuto a terra è il Signor Frank Gallagher, che sta bene…» cerca di fare il punto l’ex psichiatra.

«No, non sta bene, nessuno di noi sta bene, altrimenti perché ci avrebbero mandato qui. Inizio io, altrimenti non ne usciamo più: ciao, sono Annalise Keating, non è la prima volta che mi costringono a fare una pagliacciata del genere, mi piace bere perché la mia vita è un inferno e sono un avvocato» sentenzia alterata. Silenzio. «Beh, che avete? Dovete rispondere in coro: ciao, Annalise! Che branco di dilettanti».

Hank sogghigna e continua a giocherellare con la sedia.

«Ho già fatto una cosa simile in passato, ma almeno allora è servito a qualcosa: sono Dick Whitman, adesso» esclama con tono profondo quello che un tempo si faceva chiamare con un altro nome.

«Non si direbbe che è servito se sei finito di nuovo qui, amico» risponde cinico l’uomo con il bastone.

«Sei sempre il solito s****o, House» biascica ruotando le pupille degli occhi un tipo burbero seduto sul davanzale.

«Disse colui che ha tentato di farmi arrestare, Percival Ulysses» ribatte sarcastico House.

«Quindi voi due vi conoscete?» gli chiedono gli altri.

«Un’altra strana coincidenza, interessante» annuisce Sherlock.

House gli fa notare che non è né una coincidenza, perché queste non esistono, né la cosa è interessante. E poi se c’è qualcuno che può dire “interessante” usando quel tono, quello di certo è lui.

«Per caso Signor House, lei detiene i diritti d’autore della parola “interessante”?» ribatte serio Holmes.

«Dottor House, prego» dice Greg enfatizzando sul titolo.

Dal fondo della sala si sente la voce infastidita di una ragazza vestita di scuro che con fare deciso raggiunge il resto del gruppo: «Ok, mentre voi maschietti continuate a spalarvi addosso chili di testosterone, vorrei cercare di capire cosa sta succedendo. Probabilmente tutti voi avete fatto qualcosa di stupido, avete problemi di dipendenza e avete ricevuto l’ordine di venire in questa maledetta isola per fare questa inutilissima terapia con un ex psichiatra incompetente. Non vi sembra sospetto? C’è un pubblicitario, categoria nota per aver venduto l’anima al diavolo, un uomo logorroico svenuto, un avvocato, due investigatori, uno scrittore, una giocatrice di scacchi e due medici. Insomma tutte, o quasi, persone brillanti.»

«e una Star!?» aggiunge offeso BoJack.

«Chi sarebbe l’altro investigatore, di grazia?» chiede Sherlock.

«Mi sorprende che lei non abbia ancora capito, eppure la sua fama la precede» risponde ironica la ragazza dal forte accento newyorkese. Holmes incede con la sua tipica analisi deduttiva su di lei, ma non ne azzecca nemmeno una. Visibilmente alterato, sta per perdere il suo aplomb quando l’investigatrice si presenta:

«Sono Jones. Jessica Jones, e credo che lei sappia benissimo perché siamo qui».

Sherlock ora è incuriosito da questa tipetta accigliata e fastidiosamente sveglia, ma Beth irrompe perché proprio non riesce a trattenere la rabbia e confida che è lì per aver spaccato una scacchiera sulla testa di un ragazzino che giocava sporco.

«Mente!»

Borbotta House «il ragazzino russo non stava giocando sporco: tu eri distratta, assente, lenta e non sei riuscita a prevedere neanche la mossa più stupida», già House è un suo accanito ammiratore. Qualche gioco di sguardi, lei arrossisce, tutti gli altri li guardano piacevolmente confusi.

«Quiete, calma, tranquillità… Non è snervante?» sbuffa Sherlock.

L’ex psichiatra gli dà ragione e, spazientito, richiama tutti all’ordine, poi farfuglia qualcosa:

«Ci aspettano venti ore di terapia, io direi di darci un taglio. Non ho mai visto un gruppo più maleducato di questo, anzi non ho proprio mai visto un gruppo di sostegno in vita mia. Iniziamo da voi due: raccontateci come vi conoscete e perché siete entrambi qui» rivolgendosi al Dottor House e al Dottor Cox. Ma Greg continua a fissare BoJack con la curiosità di un bambino di dodici anni:

«Allora, è vero quello che dicono sui cavalli?» chiede ammiccando.

Perry balza giù dal davanzale e come un caccia torpediniere infuriato, lancia la bomba: «Va bene, d’accordo, inizio io tanto lui non lo ammetterà mai: io e il genio qui presente abbiamo ucciso un paziente e ne abbiamo quasi uccisa un’altra».

«C***o» esplode Hank simulando una vocina stridula.

Sherlock commenta che se lo aspettava, in fondo i medici sbagliano perché non posseggono la conoscenza necessaria per comprendere a pieno il funzionamento del corpo umano.

«Ascolta, spilungone» dice House a Holmes «nessuno ha commesso errori».

Beth ride complimentandosi per la sua supponenza. Annalise, che nel frattempo si era chiusa a riccio, adesso pare incuriosita, vuole sapere di più e chiede se la donna stia bene.

«Se la caverà. Ha problemi più gravi a cui pensare» sorride House.

Beth chiede se questa donna abbia un nome, lui risponde: «ha forse importanza ai fini diagnostici? Ti facevo più intelligente, sai» commenta House mentre Holmes lo guarda sempre più affascinato.

«Allora è vero che sei uno s****o. Non avrà importanza per te, ma per noi ce l’ha» dice Draper/Whitman rivelando una sensibilità sorprendente.

«Il suo nome è Skyler White» risponde amareggiato Cox «e le abbiamo ucciso un figlio».

Nella stanza cala il silenzio, un’aria tesa ma carica di curiosità: finalmente qualcuno era riuscito a scacciare quel fastidioso torpore. Perfino Sherlock avverte quell’irrefrenabile voglia di conoscere ogni dettaglio, anche il più insignificante; forse ha sottovalutato quel medico zoppo e scontroso che in fondo è più simile a lui di quanto sembra. Greg si guarda intorno, Cox alza le spalle annuendo, mostrando una sospetta complicità, poi il Dr. House inizia a raccontare.

Sono le tre del pomeriggio quando al Princeton Plainsboro arriva una donna in condizioni estremamente critiche.

Continua…