Delle tante Serie Tv che passavano in tarda serata su Italia 1 nella seconda metà degli anni 2000, ce n’è una che porto nel cuore più di tutte. Sto parlando di My Name Is Earl!
Per chi non l’avesse mai vista, My Name Is Earl è tutt’altro che una Serie Tv perfetta o imperdibile; è piena di difetti, di storyline assurde, di personaggi che cambiano personalità (il Randy dei primi episodi, ad esempio, non è come quello che poi impariamo ad amare successivamente) ma è anche una Serie piena di cuore, di sentimenti, di vita comune e di senso dell’umorismo. È una favola moderna, come vi abbiamo raccontato qui.
Quando dopo 4 stagioni la Serie fu cancellata, ci rimasi davvero male. Non tanto per il cliffhanger irrisolto (perché, parliamoci chiaro, probabilmente non avrebbe cambiato niente) ma perché mi ero genuinamente affezionato agli strambi personaggi mostratici da Greg Garcia. Per fortuna li avrei ritrovati di nuovo in Raising Hope.
Di tutti, Earl J. Hickey è il personaggio che mi ha sempre colpito di più. Sì perché la Serie ci mostra due distinte personalità di Earl: quella dopo la scoperta del karma da una parte, dall’altra – utilizzando i flashback – quella prima dell’incidente. E ad affascinarmi è sempre stato il fatto che non ho mai trovato il “cattivo Earl” così disprezzabile.
Insomma, di malefatte deprecabili ne ha commesse tante (e c’è un’intera lista di 259 punti a sottolinearlo), ma io credo che abbia sempre avuto un cuore buono, venuto a galla completamente dopo l’incidente scatenante (della trama come della sua nuova vita).
Questo perché già prima di convertirsi al suo personale karma (“fai una cosa buona e qualcosa di buono ti accadrà, fai una cosa cattiva e ti si ritorcerà contro“), Earl di buone azioni ne aveva fatte. Era rimasto sposato con una donna già incinta che l’aveva incastrato; aveva deciso di crescere – anche se non con grande impegno – due figli non suoi; e soprattutto si era sempre occupato di suo fratello Randy.
Per quanto la sua non fosse l’esempio di un’esistenza virtuosa, come poi lo diventerà durante gli eventi della Serie, Earl era una simpatica canaglia a cui volere bene già prima. Come non affezionarsi alla sua passione per le motociclette e al suo sogno di rubarne una? O al fatto che abbia gli occhi chiusi in tutte le foto, avendo ereditato questa caratteristica dai suoi antenati? O al suo inarcare il sopracciglio sinistro quando pensa?
I dettagli grotteschi, sapientemente utilizzati, rendono facile empatizzare con Earl. È un ragazzone di provincia che ha fatto tanti errori, ma che ha capito i suoi sbagli e cerca di rimediare in tutti i modi possibili, a costo di sacrificare la propria felicità per sopperire al dolore che ha causato agli altri.
Non è raro infatti che, nel corso della Serie, Earl manifesti atti di estrema generosità e di altruismo. Appartentemente intacca la sua stessa felicità, ma ci insegna che niente rende felice una persona di buon cuore come essere stata utile per gli altri, aver fatto felice qualcun altro senza aspettarsi niente in cambio. E il “karma” di Earl si occupa proprio di questo: ricompensare chi non ha preteso niente, ma ha semplicemente deciso di essere migliore.
Chiunque può infatti decidere di smettere di inseguire egoisticamente i proprio bisogni e, partendo da qui, essere semplicemente un po’ più utile, per gli altri e per la collettività. In My Name Is Earl non mancano infatti i temi sociali, le discriminazioni e i problemi della provincia americana. Problematiche a cui Earl, dall’atteggiamento di menefreghismo dei flashback, passa alla più completa empatia.
Perché questo è davvero Earl. È la redenzione dell’uomo comune, che ha toccato il fondo nei modi più disparati. Cambiare è possibile, in qualunque momento della vita, a prescindere da quanti errori si siano commessi. Earl è la metafora di quello a cui tutti dovremmo aspirare: diventare la migliore versione di noi stessi.
Grazie per tutto quello che ci hai insegnato! E, come sempre, bella Earl!