Da quando è entrato nel mercato dello streaming, Apple TV+ si sta impegnando in una rigogliosa e coraggiosa scalata al successo. Nonostante non abbia una frequenza di rilascio titoli quantitativamente equiparabile a quella dei grandi leader come Netflix e Amazon Prime Video, la piattaforma si dedica a un lavoro tecnico degno di attenzione. The Morning Show, Ted Lasso e Defending Jacob sono solo alcuni tra i tanti prodotti inediti del portale: i contenuti originali del catalogo Apple TV+ sono determinanti nel definirne la linea editoriale e decretare le eventuali sorti della piattaforma. Il servizio si sta efficacemente dotando di contenuti che possano incrementarne la competitività nello spietato mercato dell’intrattenimento audiovisivo online. Inoltre, negli ultimi anni si può parlare seriamente di una vera e propria crisi degli show di genere comedy.
A seguito dello sviluppo e della conclusione di sitcom e commedie che hanno mutato per sempre il panorama narrativo di tale genere, realizzare prodotti che intraprendano un nuovo e libero percorso creativo è complesso. Dopo la messa in onda di titoli iconici come The Office, Community, Modern Family, Big Bang Theory e molto altro, trovare una direzione concreta e aderente al nuovo panorama fruitivo e creativo sembra complesso. In particolare, in tale genere c’è anche da fare i conti con il network madre della comicità seriale americana: i servizi streaming devono misurarsi con broadcaster come NBC che hanno dettato le regole del gioco delle comedy. Nonostante l’importante passato che il genere ha alle spalle e il competitivo scenario dettato dai leader dello streaming e dalle emittenti positivamente note nel settore, Apple TV+ non si tira indietro e col coraggio di chi non ha nulla da perdere ci propone una delle commedie più interessanti degli ultimi anni.
Attualmente composta da due stagioni, Mythic Quest: Raven’s Banquet è una serie tv di Apple TV+ che si sviluppa sulla base del già noto formato della workplace comedy. Il genere è costellato da titoli che ne hanno dettato peculiarità e tendenze, si pensi The Office, Brooklyn Nine-Nine, Superstore, Parks and Recreation, Scrubs tutte opera del broadcaster nordamericano NBC. Con tempi diversi, soprattutto recentemente, buona parte delle comedy più amate ha ormai trovato un proprio epilogo. E’ ora di passare il testimone: è tempo che il settore creativo ritrovi sé stesso e sia capace di proporre racconti originali che traggano spunto proprio dalla semplicità, come nel caso del quotidiano impiego. In un contesto in cui le commedie ambientate sul posto di lavoro sembrano aver già trattato tutto il trattabile e rappresentato tutte le dinamiche capaci di coprire in modo completo e generale i contesti professionali, Mythic Quest riapre la partita.
In un 2020 estremamente digitalizzato, in cui i videogiochi continuano a svettare nel mercato dell’intrattenimento e Twitch è tra i servizi streaming più popolari, non poteva mancare un titolo che riportasse le vicende degli impiegati dietro uno dei più grandi videogame fittizi di tutti i tempi. Nella realtà odierna, chiunque abbia accesso alla rete internet è ben consapevole delle potenzialità e della potenza del mondo dei videogiochi. Questo dà avvio a molteplici diramazioni e possibilità creative e narrative. Oggi l’immaginario comune è segnato dalla presenza di codici di programmazione, interfacce grafiche, gerghi derivanti dalla cultura del gaming e dello streaming, a tal proposito, lo show trova il proprio spazio e il giusto linguaggio per comunicare in modo delineato e attuale questi nuovi riflessi. Raven’s Banquet è la nuova immaginaria espansione del videogioco multiplayer di ruolo Mythic Quest, il lancio del nuovo capitolo del prodotto è il punto di partenza per la serie tv.
Se per gli utenti le battaglie online sono interessanti, il più grande videogame multiplayer del momento cela degli scontri ancora più intriganti: quelli che avvengono nello studio in cui il prodotto è sviluppato.
Come nelle workplace comedy che l’hanno preceduto, Mythic Quest presenta un gruppo di personaggi dai tratti estremizzati e calcati in particolare su determinati aspetti. Il principale duo attorno alla quale tutto verte è composto da Ian (Rob McElhenney), il direttore creativo e ideatore del gioco, e Poppy (Charlotte Nicdao), la capo-programmatrice grazie alla quale il game esiste e funziona. Tra i due sussiste il tipico rapporto di amore-odio a cui molte sitcom ci hanno già abituati: i colleghi sono in costante competizione e discussione, lo scontro senza fine è da stimolo per entrambi e funge da collante per il rapporto che li unisce. Un po’ come direbbe Ian, i due sono pennello e pittore, chi sia chi è ancora da capire. Le diatribe tra Poppy e Ian sono il filo conduttore degli episodi attorno ai quali intervengono altri grotteschi personaggi che ricoprono ruoli comuni degli ambienti di lavoro, degli studi videoludici e del relativo business. La continua disputa, seppur estenuante, non fa altro che rafforzare l’amicizia tra i personaggi che si distinguono per una chimica genuina non sempre scontata nelle situation comedy.
Lo show si distingue per un umorismo tagliente e ricco di riferimenti concreti all’attuale cultura pop e contesto politico-sociale. Al di là delle consuete battute basate sulla caratterizzazione al limite di determinati personaggi (come è la figura dello sceneggiatore C.W. Longbottom, prevalentemente entrante in scena con osservazioni fuori luogo), Mythic Quest propone riflessioni più profonde, avanzando critiche non troppo velate all’ambiente del gaming e al relativo business e contesto di lavoro. Ad esempio, il mondo dell’informatica e, nello specifico, dei videogiochi si pone generalmente come un ambiente maschile e chiuso. Poppy è una delle poche figure femminili impiegate nello studio e l’unica a ricoprire un ruolo al vertice: questa condizione e il duro lavoro che le è stato richiesto per giungere all’ambita posizione l’hanno resa un personaggio non propriamente amabile. Il tentativo di farsi spazio in un contesto governato da soli uomini si riflette duramente sulla giovane co-protagonista. Non sempre Poppy riesce a farsi ascoltare dai colleghi e neppure a farsi rispettare dagli impiegati di cui è a capo, nemmeno dall’unica altra ragazza programmatrice. Questa, seppur rispettandola, ammette di non seguirne la leadership perchè in tale ambiente, in quanto ancora più difficile emergere in quanto donna, è necessario individualismo e competitività. Non c’è spazio per del femminismo nel duro mondo del tech e Mythic Quest ce lo ricorda con battute sottili e continui riferimenti culturali non esclusivamente limitati alla sola figura femminile. La celata ipocrisia dietro il tentativo di mostrare un brand inclusivo è un altro punto focale dello show.
Da parte sua, pur avendo momenti di maggior umanità, Ian rappresenta la massima espressione dello spietato business del gaming. E’ fisico, competitivo, individualista, egoriferito e angosciato dal suo continuo complesso di inferiorità. Il suo unico merito è quello di aver avuto una buona idea che è stata la base di partenza con cui altri per lui hanno lavorato al gioco multiplayer.
Nella realtà del politicamente corretto, Mythic Quest lancia le sue osservazioni in modo meno discreto rispetto ad altri titoli. Il tono non è propriamente polemico, ma la scelta di servirsi di personaggi senza peli sulla lingua è funzionale a veicolare con scaltra esplicitazione una serie di riflessioni sociali e sul contesto statunitense. Un esempio ne è la diabolica coppia formata dal responsabile della monetizzazione Brad (Danny Pudi) e l’assistente Jo.
In un contesto audiovisivo in cui la ripetitività è deleteria e l’ibridazione è all’ordine del giorno, pur seguendo il classico formato della workplace comedy, Mythic Quest compie quell’ulteriore salto di qualità che la distingue e esalta rispetto alle sitcom che l’hanno preceduta. A cingere la trama di alcune puntate è un’atmosfera meno umoristica che espone fragilità e connessioni più intime tra i protagonisti: ne sono esempio lo speciale Quarantine che ha anticipato la seconda stagione o agli episodi Dark Quiet Death della prima stagione e Backstory! della seconda.
Gli ultimi due citati sono segmenti collocati a metà delle relative stagioni e sono puntate flashback che si reggono in autonomo. Con ciò, Mythic Quest offre una finestra sul passato, su quanto ha preceduto il gioco in questione, con storie che a esso sono sottilmente legate e che ne hanno in qualche modo influenzato la realizzazione o i personaggi che ne sono coinvolti. In questo caso, gli standout episode proposti mettono in pausa per un momento la natura comica del racconto, proponendo narrative raffinate e dal tono più riflessivo, relativamente soprattutto al business dell’intrattenimento. Questi presentano personaggi e/o attori inediti (come i già noti Jake Johnson e Cristin Miloti) e trame a parte che sussistono al di là dello show stesso. Con tali esempi, lo show illustra le proprie potenzialità tecniche e creative, dotandosi di un marchio di fabbrica distintivo che ne permette il risalto rispetto a tanti contenuti attuali.
In un mondo in cui le comedy hanno già dato molto, Mythic Quest non si accontenta: è una serie multistrato che si adegua alle nuove esigenze degli spettatori che necessitano di commedie stimolanti e spesso impegnate. Il tono umoristico non necessariamente limita la rappresentazione portata in scena anzi, se usato sapientemente può rafforzare il messaggio veicolato, rendendolo fruibile da un pubblico più ampio.
A tal proposito, si pensi anche alla affilata riflessione trasmessa da un’altra brillante workplace comedy conclusa da poco, Superstore.
Oltre alla brillante costruzione narrativa, anche a livello tecnico la serie lascia poco spazio ai dubbi, la rappresentazione visiva è realizzata efficacemente. Portare in scena un contesto come quello del gaming non è semplice: tra simulazioni, realtà virtuali, interfacce grafiche e costumi, il Team dietro Mythic Quest non si è perso in chiacchiere. Seppur con intento parodico, le ricostruzioni grafiche si avvicinano di molto ai livelli cinematografici.
Pur essendo concretamente complesso seguire la scia lasciata in eredità dalle grandi commedie degli ultimi decenni, la serie di Apple TV+ è già un prodotto dai caratteri identitari e, seppur a tratti con risvolti scontati, dalla comicità centrata e riuscita. In un vivaio di direttori creativi, programmatori, sceneggiatori, grafici, tester, gamers, streamers, e molte altre figure professionali, Mythic Quest ci propone l’ennesima workplace comedy, che in comune con le precedenti ha solo il fatto di essere ambientata in un contesto di lavoro e generalizzarne le proprietà. La peculiarità dei ruoli presenti in questo convenzionale-non-convenzionale ufficio offrono nuovi sviluppi comici e inedite contestualizzazioni che permettono di seguire la linea avviata in passato ma percorrendola coi mezzi del presente. Il florido mondo del gaming ha una lunga e ricca storia alle spalle che non è stata fin ora eccessivamente affrontata dal mercato dell’intrattenimento audiovisivo, consentendo così di esplorare inedite dinamiche creative e sperimentare coi riferimenti e i dettagli.