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Mythic Quest ce lo insegna: scrivere una grande comedy nel 2021 è ancora possibile

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Se è vero che a oggi le comedy non vogliono più solo far ridere, è anche vero che riuscire nell’intento di proporre una commedia che sia puramente tale è un compito tutt’altro che semplice. In una direzione che tenta di far coincidere entrambe le prospettive si colloca una delle recenti produzioni dell’altrettanto recente piattaforma Apple Tv+, Mythic Quest. Creata da Charlie Day, Megan Ganz, e Rob McElhenney e attualmente composta da due stagioni, si tratta di una workplace comedy ambientata in uno studio di videogame che si occupa di uno dei più popolari videogiochi online multiplayer, il fittizio Mythic Quest. La trama ha avvio dal momento di lancio della nuova espansione del gioco di ruolo Mythic Quest: Raven’s Banquet, con il conseguente fermento che questo suscita in tutto l’ufficio, toccando in maniera differente i diversi impiegati che vi lavorano. Sono proprio i personaggi e i caratteristici ruoli che questi ricoprono a dare vita allo studio e alle sue frizzanti dinamiche. Una fetta importante della comicità veicolata è alimentata dal modo in cui questi si avvicinano e allontanano in relazioni interpersonali fragili e di convenienza: si scontrano e incontrano e la tossicità di questi conflitti celati è il punto di snodo principale per le situazioni umoristiche. La cooperazione creativa progredisce, cambiando e determinando i rapporti umani. Mythic Quest offre un costoso affresco del conflitto tra ego e denaro: la collaborazione non può che essere momentanea e puramente formale in un ambiente spietato e costantemente in crescita come quello del gaming e dell’intrattenimento. I due principali antieroi che si fronteggiano sono il direttore creativo e ideatore del game Ian Grimm (Rob McElhenney) e la capo programmatrice Poppy Li (Charlotte Nicdao). Ian si affida moltissimo alla donna, non essendo in grado di fornire un contributo concreto al gioco se non attraverso sporadiche brillanti idee, mentre Poppy dà vita alle visioni del collega e capo. Così posto, l’equilibrio dello studio non sembra a repentaglio, se non fosse per il grande carattere di cui entrambi si dotano.

L’uomo è egoriferito, megalomane e orgoglioso. E’ un abile manipolatore e sa come farsi rispettare, soprattutto attraverso discorsi motivazionali che si fondano sui più basici cliché atti a smuovere le masse. Pur essendo estremamente vanitoso, ha un’autostima in realtà molto fragile: ha bisogno di continue conferme e di essere definito e riconosciuto come maschio alfa, proprio come mostra la disposizione degli interni, ponendo il suo ufficio in alto rispetto al resto degli impiegati dello studio. Così facendo, Ian si autoproclama implicitamente sovrano del proprio impero. Pur essendo il genio dietro Mythic Quest, questi è spesso in disaccordo e alle strette col produttore esecutivo David (David Hornsby) e con Poppy stessa. Da parte sua, Poppy vuole più libertà creativa e riconoscimento per il lavoro svolto, alla luce del fatto che senza il suo contributo il gioco non potrebbe fisicamente esistere e funzionare così come è. Si sente sottostimata e non apprezzata abbastanza, per questo cerca di dare voce alle sue esigenze e ottenere maggior stima. Mythic Quest è proprio una battaglia per il controllo e il potere. Anche se non è disposta ad ammetterlo, lavorare in tale ufficio ha reso la donna stessa come Ian: anch’essa è guidata dal proprio ego al pari del direttore creativo.

Poppy e Ian litigano regolarmente per il gioco e la sua realizzazione, la programmatrice vorrebbe più potere decisivo nello stesso. La giovane donna sa come realizzare le idee interessanti che le vengono passate, ma non è allo stesso modo in grado di giungere da sé a intuizioni ugualmente brillanti; di contro, ciò è qualcosa in cui Ian riesce molto bene, il che la frustra, molto. Non è capace di destreggiarsi con le relazioni interpersonali al pari del direttore creativo, non è portata per essere una leader: non essendo capace nemmeno di ottenere il rispetto dei suoi dipendenti (che guardano e seguono comunque a Gramm), neanche dell’unica altra donna dell’ufficio, l’apatica programmatrice Michelle.

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Attorno ai due ruota una cerchia di personaggi nettamente definiti psicologicamente e nel contributo fornito allo studio e alla trama stessa. Si tratta di alcune figure inedite nel mondo delle workplace comedy: Mythic Quest è una serie tv fatta per l’età moderna, ma che volge uno sguardo deciso a ciò che c’è stato con tutto il rispetto e l’ispirazione formativa che ne possa trarre. Dunque, siamo a uno dei primi approcci televisivi a ruoli come beta taster, grafici, programmatori e streamer che si affiancano ai più comunemente noti assistenti, produttori esecutivi, sceneggiatori e responsabili della monetizzazione (in cui spicca un’insolitamente spietato Danny Pudi). Ebbene, Mythic Quest sfrutta la struttura delle tradizionali sitcom ambientate sul luogo di lavoro per raccontare la sua storia. Pur poggiando pesantemente sulla base delle commedie che storicamente l’hanno preceduta, la serie si è solidamente eretta grazie alla tagliente comicità con cui esplora il mondo videoludico e l’industria che lo circonda. Una delle prime serie tv comedy Original Apple Tv+ è inedita in più sensi grazie all’impiego di un umorismo singolare e una formula che tutt’ora non si era approcciata a un territorio ancora poco esplorato dal mondo della serialità comica.

Mythic Quest coniuga passato e presente: sfrutta quanto c’è stato per proporre una comicità da workplace comedy fresca e al passo col cambiamento che il digitale ha apportato e sta apportando alla quotidianità, alle abitudini, ai posti di lavoro e nella fruizione di contenuti e servizi.

La dirompente energia di cui Mythic Quest si carica esplode e implode nello studio tramite l’impeto di personaggi arrivisti e orientati esclusivamente al soddisfacimento personale. Nonostante sia parodico e ricalcante le estremizzazioni del genere, non è mai realmente caratterizzato da mera ironia. Con un umorismo fuori dagli schemi (a volte al limite del politicamente corretto) e arrogante, ma mai grottesco, il racconto anima il caos eccentrico e frenetico di un ufficio di megalomani. Ma non per questo le figure che si muovono nel ristretto spazio non sono in grado di evolvere, i personaggi possono crescere e lo stanno facendo nel corso degli episodi, pur se con piccoli passi.

Mythic Quest non è soltanto il più popolare tra i videogame multiplayer online fittizi (che fonde parodicamente gli elementi più comuni dei prodotti di maggior successo).

Infatti, ci sono molteplici elementi godibili e funzionanti nello show volti a costruire le intelligenti assurdità che avvengono sullo schermo, ma tutto confluisce e si esalta in alcuni specifici segmenti. Pur essendo per la maggiore una storia leggera e senza grandi pretese, Mythic Quest si prende del tempo in cui mettere in pausa la tagliente satira che la contraddistingue per proporre attimi seri e emotivamente più profondi. Il prodotto di Apple Tv+ non tralascia l’emotività e spesso colpisce in momenti inattesi. Lo humor è sottilmente astuto, consentendo una rappresentazione realistica quanto basta per intrattenere e intrigare. I tempi in cui la serie mostra la sua maturità sono soprattutto negli episodi speciali, come in Quarantine, segmento rilasciato nel maggio 2020 durante il lockdown statunitense: scritto, girato e montato da remoto sotto forma di videochiamata coi membri del cast. In questo caso, nello specifico emerge con genuina onestà la fragilità di alcuni personaggi, soprattutto di Poppy e Ian.
Inoltre, sentimentale ma senza perdere il proprio umorismo, Mythic Quest sfrutta sapientemente le puntate sconnesse dalla trama primaria per elevarsi a commedia trasversale e multistrato. Ne sono una dimostrazione concreta i flashback episode di metà stagione: A Dark Quiet Death (nella prima) e Backstory! (nella seconda). Questi introducono storie non immediatamente connesse alla trama principale. Si tratta di puntate autoconclusive che costituiscono un punto di avvio e di partenza per la serie tv e che contribuiscono a manifestarne la capacità di fondere mondi e generi. Creativamente parlando, con gli stand alone episode lo show mostra il proprio potenziale. E’ in grado di essere serio e toccante, ma decide deliberatamente di non prendersi sul serio e dedicarsi nella maggior parte delle puntate alla sua satira spregiudicata. Con tali segmenti regala comunque in ciascuna stagione un malinconico frangente quasi antologico in cui ricordarci periodicamente la sua essenza, grandezza e potenziale, fornendo nel frattempo gli elementi necessari a cogliere ancora di più il quadro del suo racconto. Mettendo in pausa per un momento la sua traiettoria e vena umoristica, vengono proposte puntate dal sapore cinematografico di stampo prettamente più da drama series.

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Dall’episodio Backstory! della seconda stagione.

Oltre alla eterna battaglia tra i protagonisti e tra ego e potere, in Mythic Quest si scontrano anche due storici rivali: marketing e arte.

Il business è la chiave nel mondo del gaming e, coerentemente con ciò, anche in questo caso questa realtà fa attrito col più viscerale desiderio di omaggiare una visione e un’opera che non siano soltanto mera merce di scambio. Il rispetto per la creatività e il prodotto (che non è opera) che ne è frutto sembra un qualcosa di paradossalmente complesso da compiere in un ambiente freddo e orientato al profitto. A ricordarcelo non è soltanto il cinico streamer Pootie_Shoe, che tiene il lavoro di un intero studio da milioni di dollari in balia del suo giudizio, capace di influenzare un’importante fetta del mercato e le sorti stesse del videogame. Strumentale in questa direzione e in senso puramente più poetico sono proprio i già citati standalone flashback episode, che non sono in continuità diretta con quanto accade nella serie tv, ma sono il vero picco qualitativo dello show. Delle vere e proprie finestre su quel che c’è stato e che ha in qualche modo condotto alla realtà attuale. Manifestando le effettive risorse e capacità del titolo, questi sono la più esplicita rappresentazione di quanto gli intenti economici possano compromettere e influenzare i desideri e le capacità più pure degli individui, questi non sono che in balia dei più abbienti e dei relativi giochi di potere.

I tuffi nel passato che Mythic Quest offre non fanno altro che renderlo ancora di più un prodotto pensato per l’era moderna, ma non necessariamente relativo solo a essa: si tratta di una gigantesca concatenazione di eventi che inevitabilmente determinano le sorti del presente.

Nel conflitto tra qualità e profitto non c’è spazio per compromessi e amicizie ed è proprio questo uno dei concetti cardine alla base della messa in scena di Mythic Quest. Con un’esuberante personalità, la serie tv propone attraverso la metafora dell’universo videoludico il freddo mondo dell’intrattenimento. Poppy è tremenda, è spietata perché ha imparato a esserlo per forza di cose. La odi e per questo la ami proprio perché il contesto in cui si muove premia il lato peggiore di ciascuno. Non c’è spazio neanche per la solidarietà femminile: affinché le donne possano realizzarsi in un campo storicamente maschile come quello del tech è necessario più del doppio dello sforzo richiesto agli uomini. Le poche ragazze che ce l’hanno fatta a Mythic Quest non se lo dimenticano. Proprio a fronte di una politica e cultura di genere misogina al lavoro Poppy e le sue poche, pochissime, colleghe non hanno tempo per la sorellanza. Non soltanto i personaggi sono generalmente in competizione tra loro, ma c’è una sotto-battaglia proprio tra le figure femminili che tra tradimenti e mancanze di rispetto sono in continuo conflitto per scavalcarsi a vicenda e prevalere in un contesto esclusivo. Con l’audace ironia di cui gli spietati personaggi si dotano, Mythic Quest ricostruisce un ambiente di lavoro tossico e sessista come la stessa industria del gaming e dell’intrattenimento solitamente sono. La satira parodica impiegata non fa che calcare quanto di più vicino possa accadere nel vivo universo in cui digitale e profitto si incontrano.

Pur avendo una seducente facciata comica, la serie tv non si esime dal trasmettere critiche e riflessioni sottili, ma non per questo moderate. Sessismo e machismo non sono gli unici problemi portati all’attenzione dal caotico gruppo di sviluppatori. Tramite giochi di potere e meschinità Mythic Quest è un contenuto toccante, divertente e senza tempo che tanto ha da dire sulla tirannia digitale e le ansie a essa connesse, sull’inclusività, sulla sicurezza sul lavoro e molto altro, senza mai darsi delle arie o uscire dagli effettivi schemi che ne impreziosiscono la linea editoriale.

Mythic Quest è da subito un istant classic per le workplace comedy che ci ricorda che, nel 2021, è ancora possibile produrre delle commedie lucide, intelligenti e maestosamente divertenti.

È reso talmente universale e godibile da esser accessibile sia agli amanti del gaming che da chi di tale ambiente è profano. Ciò è possibile proprio perché la storia è puramente quella di un gruppo di misantropi che lavorano assieme e uno contro l’altro (almeno per il momento) in uno studio sregolato ed eccentrico, in cui non ci sono regole per raggiungere gli unici obiettivi: profitto e riconoscimento. La prima stagione è puramente nerd e un intrigante affresco che omaggia la cultura geek e videoludica stessa, mentre la seconda è più ponderata e calibrata con alcune situazioni più introspettive ed emotive. Nei suoi tributi e riferimenti al mondo dei videogame e all’universo delle office comedy, Mythic Quest si pone controcorrente nel panorama seriale attuale, offrendo un prodotto che si colloca abilmente a metà strada ed è capace di onorare passato e presente senza far rimpiangere le grandi opere che l’hanno preceduta e guardando a un futuro narrativo inedito.

Apple Tv+ pare aver intrapreso una strada chiara sin dal suo lancio: comporre il proprio catalogo digitale di pochi titoli originali dal livello qualitativo indiscutibile. Non soltanto a livello di sceneggiatura (tra i creatori figura lo stesso McElhenney già noto per It’s Always Sunny in Philadelphia), Mythic Quest è anche visivamente un prodotto all’altezza del mondo che rappresenta. In una realtà in cui interfacce grafiche e grandi apparecchiature elettroniche sono alla base, lo show non può che impiegare ingenti risorse nella fedele riproduzione di ambientazioni, costumi, programmi e animazioni, dando vita sullo schermo a una ricostruzione consistente di una dinamica realtà. Ai fini di una qualità tecnica degna del prodotto e del genere, lo show Apple non è che una grande messa in scena sotto molteplici punti di vista che fa ben sperare sul futuro della comicità seriale, e che pare gettare solide basi per divenire una workplace comedy di riferimento per i prossimi anni. A tal proposito, recentemente è stata anche rinnovata per ulteriori due stagioni.

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