Per prima puntata, s’intende proprio la prima assoluta (insomma, si fa riferimento alla prima stagione), giusto per non creare qui pro quo. Prima di vedere il pilot di Narcos avevo sentito pronunciare il nome di Pablo Escobar in un’altra occasione narrativa: in Blow, il capolavoro di Ted Demme con Johnny Depp.
Molti amici mi avevano consigliato di guardare Narcos, la Serie Tv targata Netflix. Non te ne pentirai, dicevano. A causa di una pessima inclinazione caratteriale, inizialmente, sono restia ad accettare consigli che, a conti fatti, si rivelano sempre ottimi. Prima o poi, comunque, cedo. Vi racconto cosa è successo quando ho ceduto al “Re della Cocaina“.
Questi sono i cinque punti sui quali si è focalizzata la mia attenzione dopo la prima puntata di Narcos:
1) Voce fuori campo
Sembrerà una cosa alquanto sciocca, ma da non sottovalutare. La voce fuori campo non l’ha di certo inventata Narcos, sia ben chiaro, ma ha una forza espressiva indiscussa. A dire il vero, limitarsi alla voce fuori campo per parlare dell’efficacia comunicativa del primo episodio della Serie Tv è fuorviante. Il pilot, infatti, si apre in medias res e con un flashfoward: la DEA scopre, mediante un’intercettazione, che tale Poison (a quanto pare un pezzo grosso del narcotraffico, in qualche modo legato a Pablo Escobar) sta per andare a festeggiare in un locale di Medelin. Nel giro di qualche telefonata, l’informazione arriva alle orecchie “giuste” e Poison e i suoi scagnozzi vengono massacrati. Ecco che Narcos ci si mostra, sin dall’inizio, come una miscela di potenza dei contenuti e della forma, creando subito uno stile narrativo poderoso e diretto al contempo.
Infatti, stiamo assistendo a qualcosa che accade dopo le prime fasi della costruzione dell’impero di Escobar, e mediante questo stratagemma si crea anche la giusta suspense: i personaggi che ci vengono presentati non comprendono il protagonista. Si tratta delle “forze dell’ordine” e di un malavitoso che pensiamo possa essere connesso a Pablo, ma nulla di più. Così facendo, lo spettatore viene calato nel cuore della storia, senza ancora conoscerne le coordinate. Si tratta di un vero e proprio “rapimento” narrativo e tu che guardi ti senti spaesato, ma, al contempo, completamente coinvolto in una faccenda che non ti è ancora chiara per niente, ma proprio in virtù di questo fatto ti intriga ancora di più.
Torniamo al punto iniziale: la voce fuori campo. Tali eventi vengono narrati da una voce fuori campo che si palesa immediatamente come quella di un personaggio molto bene informato, probabilmente coinvolto in prima persona nella losca vicenda. Ben presto scopriremo trattarsi di Steve Murphy, un agente della DEA implicato in questa folle storia. Ciò ci permette di individuare il punto di vista attraverso il quale (almeno parzialmente) ci vengono raccontati gli accadimenti. Il fatto che il narratore sia un personaggio implicato nelle vicissitudini narrate e che si ponga in un modo tanto confidenziale con lo spettatore, crea un’atmosfera di familiarità che ci fa sentire subito coinvolti nel racconto.