” Soy el fuego que arde tu piel, soy el agua que mata tu sed.
El castillo, la torre yo soy..La espada que guarda el caudal..”
Benvenuti in Narcos, benvenuti in Colombia.
Definirla una serie biografica su Pablo Escobar è davvero riduttivo; Narcos ti trascina nel mondo reale del narcotraffico, quello vero, crudele, il più grosso della storia, e lo fa con violenza senza filtri o metafore.
Rapisce lo spettatore e lo coinvolge da subito, e per “subito” intendo sin dalla sigla. E’ acre, come l’odore della cocaina, e dolce come la passione che muove i protagonisti.
Wagner Moura, il nostro Pablo, è immenso; complice un eccellente lavoro di scrittura del personaggio che però non si riscontra negli altri protagonisti della storia, senza dubbio ben interpretati ma messi poco a fuoco.
La storia è in crescendo, avanza veloce e racconta l’ascesa del mito, da piccolo trafficante di sigarette ad icona mondiale di potere. Un uomo pieno di contraddizioni, il Pablo di Netflix, devoto alla famiglia e traditore seriale della moglie, feroce assassino senza pietà ma introverso e timido comunicatore, potente comandante del più grosso cartello della droga e, al tempo stesso, schiavo delle più intime paure del fallimento.
Padrone della Colombia intera, che corrompe con la sua plata, o uccide con il plomo; regna e comanda tutto, tenta perfino la strada politica e quasi ci riesce se non fosse stato per i gringos, venuti dall’America per rovinare il suo gioco di potere. Venerato come un santo da chi con la coca sfama i figli, ma odiato da chi, quella stessa roba, deve toglierla dalle strade di casa sua, in America.
Inizia così la guerra al narcotraffico, anzi, la guerra ad Escobar.
E’ palese un tentativo iniziale di definire il bene ed il male, di creare la fazione buona e quella cattiva: il poliziotto ed il bandito, considerando che il voice over è interamente di Steve Murphy (Boyd Holbrook) dunque, ci viene raccontata la storia dal punto di vista dello sbirro.
Ma inevitabilmente i ruoli si mischiano, complice il cieco desiderio, che diventa follia, di raggiungere i propri obiettivi ad ogni costo, riscontrabile allo stesso livello, da entrambe le fazioni.
È stata definita “serie evento“, osannata e attesa da tutti, ma c’è molto di più: c’è la ricerca della perfezione narrativa, c’è il fuoco della storia che di per sé travolge ed affascina in qualsiasi forma la si scelga di interpretare.
Ma soprattutto, troviamo perle rare di bellezza, come la sigla – tuyo di Rodrigo Amante– azzeccata, perfetta, da gustare tutta o le scene tratte da filmati originali, come a volerci ricordare che è tutto vero e che , no, non stiamo solo guardando una storia ma “la storia“.
La prima stagione si chiude con il grande pathos dell’ultimo episodio, ma senza vincitori né vinti – per quello attendiamo la seconda- lasciando nello spettatore il classico senso di vuoto, quello tipico delle serie fatte bene, e diciamocelo su : non eravamo più abituati a questo tipo di qualità, o no maricón?