A che serve essere il re, se nessuno lo sa?
Questo si deve essere detto Miguel Rodrìguez, convincendosi del fatto che presenziare alla Fiera di Cali, la più grande manifestazione di salsa e di muscoli dei Narcos della Colombia, era proprio quello che gli ci voleva per consolidare il suo potere, apparentemente indebolito dall’assenza di Gilberto. Un’idea che mal si sposa con la figura di Miguel, meno uomo di mondo del fratello, ma che è un male necessario per assicurare lunga vita al cartello. Un’idea che manda in visibilio il figlio Davìd, che la vede come la sua occasione di dimostrare al padre di essere in grado di occuparsi personalmente della sua sicurezza, togliendo questo compito all’odiato Salcedo.
E a che serve andare a una festa, se nessuno lo sa? Quindi lo devono sapere anche i poliziotti, Van Ness e Feistl, che dopo il loro primo incontro con un nervoso Salcedo, ricevono da lui la possibilità di prendere Miguel davanti a tutti, decapitando la seconda testa dell’Idra.
Dicono gli americani: quando una cosa può andare male, di sicuro andrà peggio. E noi sappiamo già, ce lo sentiamo nel sangue, che questa idea della festa è una pessima pensata, sia che parteggiamo per i Narcos, sia che simpatizziamo per l’empatico Feistl e il diffidente Van Ness. Perché non importa quanto a lungo ti sia ripassato il piano, quanto ci creda, quanto abbia senso; se le cose devono andare male, andranno malissimo, e non ci potrai fare niente.
Questa sesta puntata è una lunga serie di piani andati a finire male: a cominciare da quelli piccoli, come la rivalsa dell’ambizioso e coraggioso giornalista che indaga sull’esplosione di un laboratorio di cocaina gestito da uno dei gentiluomini di Cali in trasferta a New York, freddato proprio dallo stesso Chepe per non essersi piegato al suo tentativo di corruzione. Per finire con i grandi piani, come quello pensato da Peña per scardinare il cartello di Cali dall’interno: una volta catturato Franklin Jurado e messa Christine sotto protezione, spremerlo e farsi dire tutti i segreti dei Narcos. Ma il seguito dell’adrenalinico inseguimento, reso ancor più incalzante da un uso magistrale della musica, non è proprio quello che Peña si aspettava; Christine viene rapita dagli uomini del cartello prima di arrivare all’ambasciata, facendo saltare l’accordo preso con Jurado.
La festa si fa, e il piano di Salcedo va avanti, per quanto improvvisato: far catturare Miguel all’uscita da Feistl e Van Ness, che però non si fidano completamente di lui. Qualcosa non torna nel personaggio dell’ex numero due della sicurezza, che appena diventato numero uno si fa venire gli scrupoli di coscienza. Decidono di sondare il terreno da soli, e sarà un altro dei tanti errori di valutazione che alzeranno il livello di Murphy alle stelle in questa puntata.
Miguel arriva in pompa magna, tenendo sotto braccio la sua donna che cammina ondeggiando i fianchi a ritmo di musica. Si cala subito nel ruolo di uomo di mondo a lui non troppo congeniale; non è un semplice sostituto del fratello, con lui il cartello può rinascere a nuova vita, e la balconata del locale di salsa è un ottimo trampolino di lancio per il nuovo leader dei Narcos, che si mostra in atteggiamento quasi benedicente.
Gli occhi di tutti sono puntati sul nuovo leader dei Narcos, tranne quelli di Salcedo, troppo allenati al lavoro da non notare che qualcosa non va: se Feistl giura di essere venuto solo con il suo partner, chi sono quegli uomini seriosi di fianco al dj? E non c’è quasi il tempo di reagire, che una pioggia di fuoco si scatena sulla festa, e colpisce la balconata da dove Miguel si gustava il suo potere, la sua bella donna, la sua serata. Ecco la risposta del cartello di Norte del Valle alla resistenza dei gentiluomini di Cali, al loro non volere lasciare il podio a nessuno. E mentre il piombo inizia a cadere come grandine sulla Fiera di Cali, i sicari arrivano, silenziosi come ratti, a casa di Pacho, che se la spassa con uno dei suoi ragazzini e il fratello.
Mentre la carneficina della Fiera di Cali è caotica, disordinata, la tentata esecuzione e la risposta di Pacho è fredda, sanguinaria e metodica com’è lui. Un personaggio davvero magnetico, Pacho, capace di salvare la situazione con freddezza e spietatezza, dopo essersi concesso i suoi dieci secondi di furia assassina che lo fanno assomigliare a un moderno Scarface.
Il piano del cartello di Norte del Valle è andato a monte, quello di Salcedo pure, e di conseguenza anche qualsiasi cosa avessero avuto in mente Feistl e Van Ness; anche Peña è in difficoltà, dopo essersi visto sfilare da sotto il naso la possibilità di avere la testimonianza di uno degli uomini chiave del giro di Cali. E quando quello che avevi in mente va a farsi benedire, se sei uno dei Narcos puoi sempre sparare: e in barba all’invito alla prudenza di Gilberto, Miguel decide di dare inizio a una guerra col cartello rivale, senza preoccuparsi di nascondere il fatto che ormai è lui quello che prende le decisioni. E anche se sappiamo che pure questo piano costerà lacrime e sangue da qualsiasi parte lo guardiamo, non possiamo che sentirci galvanizzati dopo una puntata del genere.
Una gestione del ritmo eccellente, una regia diversificata e sapiente delle scene d’azione, una caratterizzazione dei personaggi che passa dagli sguardi concentrati e insieme imperturbabili di Salcedo alla straordinaria fisicità di Peña, più in forma che mai anche dopo due stagioni di inseguimenti. Tutti ingredienti che vanno a comporre un cocktail di azione e drammaticità di cui avvertiamo già ora l’immenso potenziale esplosivo.