Oggi proviamo a sfatare un mito di cui, nonostante la nostra posizione in merito, comprendiamo totalmente le motivazioni. Narcos è stata, prima di essere qualsiasi altra cosa, la serie sulla vita di Pablo Escobar, incentrata sulla storia del più famoso narcotrafficante di sempre, con un interprete, Wagner Moura, semplicemente perfetto, un cast funzionale e una storia scandita in modo impeccabile. Tutto, nelle prime due stagioni di Narcos, è al suo posto, e se si fosse fermata con la morte di Escobar (diventando di fatto tutt’altra serie), staremmo parlando di un autentico trattato. Tuttavia, bisogna esporsi con molta cautela rispetto a prodotti di questo tipo: Narcos è pur sempre un biopic, e a “vincere” dunque non è altro che la miglior storia raccontata. La storia di Escobar è sicuramente più avvincente rispetto a quella dei gentiluomini di Cali, proprio perché rispetto a loro era molto più esposto mediaticamente, ma non per questo la terza stagione di Narcos va vista come l’anello debole, anche perché per alcuni aspetti riesce anche a superare le prime stagioni. Oggi proviamo a spiegarvi perché, secondo noi, Narcos non è affatto morta dopo la fine della seconda stagione.
Terroristi e gentiluomini
Il punto focale è banale, ma importantissimo: Narcos mette in scena la realtà. Per cui, se da una parte viene raccontata la storia di uno degli uomini più temuti e pericolosi al mondo, capace di tenere in ostaggio un intera nazione a colpi di bombe, attentati e violenza, spinto dalle proprie manie di grandezza, d’altro canto ci troviamo a tu per tu con dei veri e propri uomini d’affari, i leader di una organizzazione criminale organizzata e abituata a muoversi nell’ombra. Quindi, nelle prime due stagioni la storia è quella di un folle che minaccia costantemente il suo stesso paese per ottenere dei poteri che di certo non possono essere attribuiti a un narcotrafficante; mentre nell’ultima stagione vengono delineati i tratti di una associazione a delinquere strutturata e proficua, gestita da quattro personalità molto diverse tra loro e molto particolari. I fratelli Rodriguez, Chepe e Pacho sono ottimi personaggi, romanzati senza troppe forzature e scritti per durare a lungo nell’immaginario collettivo dei fan, soprattutto Pacho, che poi appare spesso anche in Narcos: Messico. Ma è ovvio che, a differenza di Pablo, i quattro padrini di Cali non potevano permettersi di esporsi con i media, che invece tenevano strategicamente sotto scacco.
Risultato: di Pablo si è sempre saputo tutto, vita morte e miracoli, mentre di loro quattro pochissimo, quasi nulla, eppure da quel poco è stata tratta una stagione forte. Uno degli episodi che più colpisce, della terza stagione di Narcos, è senza dubbio il primo: un ottimo pilot, che aveva un compito molto complesso, ovvero quello di far dimenticare subito Pablo al pubblico. E, per certi versi, ci è riuscito. I quattro padrini vengono presentati tutti assieme, raggruppati come una famiglia ma diversi l’uno dall’altro nei modi e nelle personalità e, mentre progettano di traslare il proprio impero in uno totalmente legale, il pubblico può comunque familiarizzare con il modo di fare dei quattro, che nonostante lavorino per non doversi più nascondere, sono tutt’altro che distanti dalla violenza e dai metodi già conosciuti nelle prime due di Narcos. La terza stagione ha avuto il compito di assottigliare sensibilmente la linea che conduceva il pubblico alla figura di Pablo, prima di poter fare un salto più alto verso un progetto come Narcos: Messico. Il merito dei quattro padrini di Cali è quello di aver contribuito, prima di tutti, ad allargare gli orizzonti narrativi di una delle serie più importanti e famose degli ultimi dieci anni, lasciandosi alle spalle i fasti del passato e proponendosi come più che degni eredi e trascinatori di una vera e propria saga seriale.
Un bilancio onesto
Volendo essere del tutto onesti, è palese e comprensibile la superiorità delle prime due stagioni di Narcos, rispetto alla terza, per diversi motivi: innanzitutto, l’elemento novità, perché Netflix, quando lanciò Narcos nel 2015, portò in auge quella che era diventata una necessità, ovvero il dramma reale, autentico, e lo fa con una potenza inaudita, presentandosi con una storia ai limiti della leggenda; in secondo luogo perché la vita di Pablo non è paragonabile praticamente a nessun’altra in ambito criminale, è la storia di un folle che ha messo in ginocchio un intero paese e ha spinto il governo a costruire per lui una prigione su misura; inoltre, l’averla raccontata concedendo così tanto spazio al suo point of view l’ha resa la sua serie a tutti gli effetti; infine, la bravura degli interpreti, sia di prima fascia che di contorno, non tanto per demeriti altrui, quanto più per l’equilibrio perfetto che si è creato tra le linee narrative di tutti i personaggi, e anche per questo la prima stagione dovrebbe essere considerata molto forte in termini di collettività, cosa di cui spesso ci si dimentica per via della bravura di Wagner Moura. Ammesso e concesso tutto ciò, bisogna comunque considerare la forza della terza stagione che, a sua volta, vive grazie alla grandezza della storia precedentemente narrata, ma che ha saputo portare avanti la storia tenendo vivo l’interesse di chi ha continuato a seguire la serie anche verso nuove sotto trame e personaggi – e qui non ci si dimentichi l’aver inserito il punto di vista del buono che lotta i cattivi dall’interno – dando di fatto il via all’ampliamento del progetto Netflix, che da lì in poi ha cominciato ad indagare su altri contesti analoghi e ha puntato sull’ampliamento degli orizzonti narrativi, con Narcos: Messico.
Quest’ultima rappresenta un capitolo a parte, rispetto alla “versione colombiana”, perché riparte in modo totalmente diverso, dando importanza alla figura di Kiki Camarena, autentico protagonista della prima stagione di Narcos: Messico. Da lì in poi Netflix sembrava aver totalmente cambiato rotta, mai disdegnando della presenza di rimandi, salvo poi fare un enorme passo indietro nelle stagioni successive, aspetto per cui si potrebbe, invece, ampiamente discutere. Questo collegamento serve per spiegare che, innanzitutto, bisogna distinguere tra il ruolo di Narcos e quello di Narcos: Messico, e soltanto in seguito si può avviare un ragionamento che preveda termini di paragone tra un ipotetico prima e dopo Pablo Escobar. La terza stagione di Narcos, per molti è e resterà sempre la chiusura degna e necessaria di un capitolo importante, per molti altri, invece, si limiterà ad essere una copia mal riuscita, ma anche vista la crescita dei risultati che ha spinto Netflix ad ampliare i propri orizzonti, pensare che Narcos sia finita con le prime due stagioni, fa proprio storcere il naso.