ATTENZIONE: proseguendo nella lettura, potreste imbattervi in spoiler sulla terza stagione di Narcos: Mexico (a proposito, avete mai sentito la storia di Cristiano Malgioglio che doveva interpretare un narcotrafficante in Narcos?)
Ci ha messo addirittura sei mesi in più, Narcos: Mexico, per tornare con il suo capitolo conclusivo su Netflix. Ventuno mesi sono trascorsi infatti dall’ultima stagione – tra prima e seconda ne passarono quindici -, che ci aveva lasciati un po’ perplessi sul futuro del cartello messicano dopo l’arresto di Miguel Ángel Félix Gallardo, il re del narcotraffico del Sudamerica negli anni Ottanta. Da venerdì 5 novembre, sono disponibili sulla piattaforma gli ultimi dieci episodi della serie, uscita per la prima volta nel 2015 con la versione colombiana. Carlo Bernard e Doug Miro, i creatori dello show, hanno riproposto la stessa linea narrativa ogni volta, anno dopo anno, rendendo così il prodotto perfettamente riconoscibile presso il grande pubblico. La coerenza dell’impianto narrativo è tale che potremmo azzardare più di un parallelismo tra la versione colombiana e quella messicana.
Entrambe le prime due stagioni infatti, sono incentrate su un protagonista potente e carismatico, attorno al quale ruotano tutti i personaggi secondari e le dinamiche esterne. In Narcos Colombia era Pablo Escobar (brillantemente interpretato da Wagner Moura), nella versione messicana è Félix Gallardo (Diego Luna). I due boss del narcotraffico hanno più di un elemento in comune: oltre ad essere leader autorevoli e spietati, disposti a tutto per mantenere la propria posizione di comando, condividono la stessa idea di gestione del potere, quella di un’organizzazione gerarchica fortemente accentrata, con le varie piazze autonome, ma mai al punto da mettere a rischio tutta l’impalcatura. Un sistema che, pur tenendo conto delle profonde differenze contingenti, ha funzionato e ha prodotto i suoi frutti, facendo di Escobar e Gallardo due leader incontrastati del mondo del narcotraffico.
Nella stagione conclusiva invece le cose cambiano.
Lo avevamo già visto in Narcos Colombia, con una terza stagione che, archiviato il capitolo di Escobar, si era concentrata sul cartello di Cali e sulla gestione del potere dopo la caduta di Medellín. La stessa cosa avviene anche in Narcos: Mexico: con Gallardo fuori dai giochi, l’ultimo capitolo della serie guarda all’organizzazione del traffico di droga dopo lo sfaldamento del sistema messo in piedi da Félix. Potremmo dire che mentre le prime due stagioni seguono l’ascesa di un singolo personaggio, le terze ci consegnano invece un racconto più corale, senza nessun protagonista che accentra su di sé l’attenzione, ma con un’attenzione maggiore alle diverse voci in campo.
All’inizio c’è sempre qualcuno che crea un impero, lo fortifica e lo espande. Poi, la testa di quello stesso impero viene meno, l’organizzazione si sfalda e torna il caos.
È quello che succede in Narcos: Mexico, ancor più che nella versione colombiana.
Félix Gallardo ci aveva avvisati: “sentirete la mia mancanza”. Ed è vero, perché se c’è un altro elemento comune tra le ultime stagioni del prodotto di Bernard e Miro è l’indebolirsi generale della storia nel finale, spezzettato tra una serie di filoni che non danno il tempo necessario allo spettatore per creare un legame – nel bene o nel male – con i personaggi. L’arresto di Gallardo ha provocato lo smembrarsi della sua organizzazione: non esiste più un unico cartello messicano della droga, con tutte le piazze riunite, ma tante piccole realtà che si mettono in proprio e agiscono in autonomia. “All’inizio andrà tutto bene”, aveva previsto Félix, “ma poi ogni piazza vorrà di più”. E in effetti, l’apparente concordia svanisce quasi subito: Sinaloa e Tijuana iniziano a farsi la guerra, indebolendosi a vicenda in una spirale di violenza che non promette nulla di buono.
Ma se chi combatte subisce inevitabilmente delle perdite, chi resta defilato si arricchisce. È il caso di Amado Carrillo Fuentes (José María Yazpik), il Signore dei Cieli. Dopo aver ammazzato il socio Rafael Aguilar Guajardo, Amado si mette da solo alla guida del cartello di Juárez, diventando in poco tempo il più ricco trafficante di droga del mondo. Il caos offre opportunità, ricorda Amado. E lui le coglie, al volo. Il suo era un personaggio interessante già quando alla guida del cartello c’era Félix, ma la terza stagione riesce a renderlo ancora più affascinante, perché accanto al lato pubblico, quello per così dire professionale, affianca la dimensione privata, quella un po’ più intima. Amado si scopre un personaggio molto riflessivo, per certi versi addirittura distaccato.
Un focus di questa terza stagione di Narcos: Mexico è il tema del ritiro, del pensionamento anticipato. Alcuni personaggi capiscono che la sfortuna colpisce sempre, in una maniera o nell’altra. L’intelligenza di ognuno sta nell’anticiparla e nello smettere di rischiare giusto un attimo prima che affondi la lama nella carne. È il caso di Amado Fuentes, sulla scia dell’esperienza di Pacho Herrera (Alberto Ammann torna in grande stile anche in questa stagione) e dei suoi soci di Cali. Ma è un pensiero che accompagna anche l’agente Walt Breslin (Scoot McNairy), sebbene con tempi di maturazione diversi. Walt realizza nel finale che “noi non siamo i buoni”, anche se ci convinciamo del contrario, e che non c’è nessuna ricompensa per tutto ciò che si è perduto per strada.
La stagione conclusiva di Narcos: Mexico si tinge di una nota quasi malinconica.
È il racconto della caduta, della maturazione di una consapevolezza che spinge all’arrendevolezza, all’ineluttabilità. Le riprese dall’alto, frequentissime in questa stagione, enfatizzano ancor di più questo aspetto: anche gli dèi, per quanto in alto possano arrivare, camminano sull’orlo di una scarpata. Un precipizio dorato, ma pur sempre un precipizio. Cadere giù, schiantarsi al suolo, è questione di un attimo.
Era come se viaggiassimo tutti verso un limite. Dovevamo decidere se fermarci o valicarlo.
Per quanto riguarda i personaggi secondari, invece, anche questa stagione ne presenta diversi. Una prima grande novità è rappresentata dalla giornalista Andrea Nuñez (Luisa Rubino), che è la voce narrante di tutti gli episodi. Giovane reporter de LaVoz, l’unico quotidiano indipendente rimasto in Messico, Andrea cerca di capire i legami tra il potere legale e quello criminale, provando a raccontarli con coraggio nei suoi articoli. È un personaggio che offre quel punto di vista esterno che serve allo spettatore per raccapezzarsi tra le faide interne e il corso della storia. Ma non è stato sufficientemente approfondito dagli autori e non riesce ad intrecciare alcun legame con chi guarda. L’altra new entry è invece Victor Tapia (Luis Gerardo Méndez), un poliziotto messicano che prova a sbarcare il lunario con lavoretti non del tutto legali. Lo spettatore è portato a credere che Victor possa avere un ruolo decisivo nel modificare il corso degli eventi, ma deve accontentarsi di poche circostanze di scarso peso.
Si può dire che in questa stagione di Narcos: Mexico i personaggi secondari non abbiano un vero spessore, ma servano ad accendere i riflettori su due aspetti fin qui poco sviscerati dalla serie: il ruolo del giornalismo in quello che potremmo definire un teatro di guerra e il disagio morale di chi è costretto a camminare costantemente su un filo sottilissimo che separa il bene dal male. Sia Victor che Andrea sono lì per raccontare una storia tragica, ma non riescono a perforare mai davvero il nocciolo duro della trama principale.
Cosa ci resta dunque dopo quest’ultima stagione sui re del narcotraffico? Un senso di rassegnazione forse, accentuato dal ripetersi di certe storie di corruzione, collusione e contiguità. Tutto cambia, ma nulla cambia: Amado sarà sostituito da El Chapo, un generale corrotto lascerà il posto a un altro generale corrotto e la storia continuerà a ripetersi, le strade torneranno periodicamente a insozzarsi di sangue. Una vena di tristezza accompagna l’uscita di scena di questa serie, cruda e bellissima, che ci ha mostrato l’ascesa e la caduta di personaggi che si credevano immortali, ma che di immortale in realtà avevano ben poco. Il finale di Narcos: Mexico 3 sembra il commiato definitivo di Bernard e Miro da questo show. Che però ci lascia con il dubbio che un’altra strada, tutto sommato, era possibile. E che non tutto, forse, è finito.