La comparsa di Netflix nel panorama web-televisivo ha segnato profondamente la nostra vita. Siamo entrati in un nuovo millennio seriale in cui siamo bombardati da nuovi contenuti di altissima qualità e pronta visione che condizionano pesantemente le nostre giornate. Chi non ha passato interi pomeriggi e serate davanti a una nuova serie come un vero addicted? Tutti almeno una volta. Una delle prime serie evento che Netflix ha dato in pasto alla nostra passione è Narcos.
Narcos, ormai giunto alla seconda serie, nasce come biopic di uno dei personaggi più controversi degli ultimi trent’anni: Pablo Escobar (a cui abbiamo appositamente dedicato un focus). Il suo successo ha portato l’emittente ha ordinare altre due stagioni che, però, non vedranno più il personaggio come protagonista per ovvie ragioni storico-anagrafiche.
La curiosità intorno alla serie è subito montata vista la portata del personaggio. Pablo Escobar è considerato uno dei cattivi che, con la sua fama, ha creato intorno a sé un’aura misteriosa, quasi mitica dicventando un personaggio sul quale si sono scritti fiumi d’inchiostro.
Narcos, nelle prime due stagioni, non solo si pone come la storia della sua vita ma anche come racconto dell’uomo, della costruzione e successiva discussione del suo impero.
Pablo è solo un ragazzo quando il suo cammino inizia, ci viene presentato già come un abitudinario criminale che sguazza in una corrotta Colombia di fine anni ’70. Ci viene mostrata la sua ascesa, la sua incoronazione a re dei Narcos e la sua lentissima caduta, terminata su un tetto di Medellin, dove tutto è cominciato. Fa da contraltare nel racconto la voce narrante del poliziotto che per tutta la vita lo ha inseguito e la sua presenza, insieme a quella di altri “buoni esempi”, crea il dualismo bene-male, imprescindibile in questo tipo di storie dove è necessario stabilire le parti.
Vedere tutti i 20 episodi di Narcos, con una media di 5 al giorno, è stata solo l’ultima esperienza di vita. Non è la prima volta che mi è capitato ma con questa serie ha avuto tutto un altro sapore.
A prescindere da come continuerà la serie, con la puntata numero dieci della seconda stagione si chiude un capitolo.
Dal primo minuto di Narcos inizia un viaggio inesorabile, commovente e a tratti drammatico. Nel momento in cui la storia comincia sappiamo bene qual è il finale ma questo non distoglie lo spettatore dal naturale sentimento di curiosità che ti accompagna durante ogni episodio. È una guerra tra guardie e molto-più-che-ladri che ti costringe a prendere una parte e banalmente fare il tifo per l’uno o per l’altro, seguendo con il fiato sospeso ogni avvenimento.
Narcos diventa un fenomeno nel momento stesso in cui dà, senza filtri, pieno accesso a ogni informazione sulla vita e soprattutto sugli affari di Escobar. Ogni dubbio è tolto, ogni curiosità si risolve.
Viene dato di Pablo il ritratto perfetto, l’uomo, il narcotrafficante, il re, il latitante. E ciò che era all’inizio è solo un pallidissimo ricordo alla fine. Solo lo sguardo implacabile rimane lo stesso. La forza del racconto sta non solo nella storia e come viene raccontata, ma vive nella colonna sonora e nelle meravigliose inquadrature di una Colombia bella ma ferita, aspra ma implacabilmente serva. Non è solo il racconto di uomo ma di un paese intero, della sua storia e della sua cultura, dei suoi luoghi e dei suoi suoni.
Alla fine la morale che ne trai, piuttosto amaramente, è che non c’è Escobar senza Colombia ma non può esserci nemmeno Colombia senza Escobar e tutto ciò che nel bene e nel male ha lasciato.
In Narcos il re è nudo e questa nudità interiore non poteva essere raccontata meglio senza un cast come quello che troviamo.
L’Escobar di Wagner Moura è immenso. La sua interpretazione è una delle cose migliori di tutta la Serie. Questo sconosciuto attore brasiliano ha saputo dare non solo un volto identico, ma una vera profondità a un personaggio controverso. Ha mostrato l’uomo e il criminale, l’apice e la polvere.
Intorno a lui il resto del cast non ha certamente deluso le aspettative costruendo intorno al punto focale un racconto completo in cui, a volte, la differenza tra bene e male era talmente sfocata da non vedere più il contorno.
Dopo ore di visione ed apprezzamento è veramente difficile non farsi trascinare dentro la storia che all’inizio procede molto lenta e poi improvvisamente inizia a correre portando gli spettatori verso la fine del capitolo.
Parliamo di fine di un capitolo non solo perché finisce la storia di Pablo Escobar ma perché da quel finale prende il via un nuovo racconto che sorpassa il nostro protagonista e rende la sua vita solo un passaggio di uno schema più grande, di cui ancora dobbiamo davvero prendere coscienza.
Narcos ha concentrato all’interno di questi primi 20 episodi una vita, un’esperienza e tanti insegnamenti molto più profondi di quello che pensiamo. Ci racconta come si è costruito un mito, come si eretto un impero e come si sono distrutte e sprecate decine e decine di esistenze
Ma alla fine, in tutto questo, la banale morale che ne deriva è una e una sola:
“Plata o plomo”