Una figura di assoluto rilievo nella terza stagione di Narcos è Jorge Salcedo, il capo della sicurezza del cartello di Cali, interpretato da Matias Varela.
Il suo non è da subito un ruolo centrale. La serie, orfana di Pablo Escobar, si concentra infatti sulle dinamiche del cartello fondato negli anni Settanta da Gilberto Rodríguez Orejuela insieme a suo fratello Miguel e a José Santacruz Londoño, in arte Pacho Herrera. Una visione corale dunque, contro quella fortemente accentratrice delle prime due stagioni, polarizzate intorno alla figura di Escobar. Il profilo di Salcedo emerge poco alla volta, man mano che la trama si complica. Personaggio defilato, apparentemente marginale, il capo della sorveglianza assume poi un ruolo predominante. È lui ad avere in mano l’ordigno pronto a esplodere.
La sua è una corsa contro il tempo, un’arrampicata folle senza protezioni. Basta un passo falso e si precipita nel baratro.
Jorge Salcedo è il ponte di collegamento tra i due estremi dello sbarramento, i narcotrafficanti da una parte e la polizia dall’altra. Si muove come un equilibrista sul filo sottile che separa il bene dal male. Sporgersi troppo potrebbe costargli la vita. Non esporsi affatto, la libertà e la dignità. Il suo è un personaggio assolutamente affascinante, probabilmente quello che più di tutti riesce a farci superare la virata della serie da Medellín a Cali. La sensazione è che Salcedo abbia una cintura esplosiva legata alla vita, che potrebbe farlo saltare in aria da un momento all’altro. La sua lotta per la sopravvivenza dentro il mondo brutale di Narcos è uno degli elementi più elettrizzanti della terza stagione.
Ma quanto c’è di vero nella storia di Jorge Salcedo?
Sappiamo bene che in Narcos finzione e realtà il più delle volte coincidono perfettamente. Gli sceneggiatori l’hanno romanzata, ma la storia alla base delle vicende narrate è proprio quella che vediamo. La serie racconta con piglio documentaristico fatti veramente accaduti. Di completamente inventato c’è ben poco. Certo, l’elemento drammatico condisce le vicende con particolari fittizi, li rielabora e li enfatizza. Ma la storia è quella, non si discosta più di tanto dalla realtà. Jorge Salcedo è un personaggio realmente esistito. Oggi ha 73 anni e da quasi 25 vive sotto protezione negli Stati Uniti. Eric Newman, sceneggiatore della serie, lo ha contattato per farlo collaborare attivamente alla realizzazione della terza stagione. E Entertainment Weekly lo ha intervistato per capire quanto di vero ci fosse nelle vicende narrate sullo schermo.
Nelle linee generali la storia è la stessa. Però, hanno presentato alcune cose come se le avessi fatte io, quando in realtà o ne ero a conoscenza ma non ne ero l’esecutore materiale oppure ero nei paraggi mentre succedevano. Ma capisco che certe cose in televisione vanno fatte in un certo modo.
Jorge Salcedo è nato in Colombia, a Bogotà, nel 1947. Suo padre era nell’esercito e la sua famiglia ha vissuto due anni negli Usa, in Kansas, prima di tornare a casa. Ha studiato all’università di Los Andes, dove si è laureato in economia industriale. Ha fatto parte dei commandos britannici che lavoravano col governo colombiano per stanare le forze rivoluzionarie ed è poi entrato nell’Army Reserve division di Cali. Nel 1989 il primo contatto col cartello. Salcedo viene contattato per organizzare un attacco a Pablo Escobar, allora principale rivale di Cali. Il piano fallisce, ma Salcedo inizia a occuparsi della sicurezza personale della famiglia, in particolare di quella di Miguel.
Riesce a far comunicare i membri del cartello tramite radio e apparecchiature di comunicazione, in totale libertà e riuscendo a monitorare costantemente polizia e cartelli rivali. Tre anni dopo provano di nuovo ad eliminare Escobar. Salcedo reperisce le armi e viene denunciato per la prima volta come membro del cartello. La sua vita è segnata, nel cartello si entra ma non si esce. Se non da morti ammazzati. Il suo obiettivo in quel momento è uccidere Escobar.
Non mi chiesero se mi andava, se mi piacesse il piano o cose del genere. Solo: questo è il piano, non hai opzioni. E a quel tempo Escobar era un demone. Quello che ha fatto rende l’Isis un branco di boy scout. Dopo la sua morte, neppure mi lasciarono andare. Mi misero a capo della sicurezza: dovevo prevenire ogni attentato alla vita dei fratelli Rodriguez.
Escobar viene ammazzato e Salcedo crede di potersi sfilare. Invece viene promosso. A questo punto, la storia si intreccia a grandi linee con quella raccontata in Narcos: Gilberto viene arrestato, Salcedo diventa capo della sicurezza del cartello. Quando gli viene ordinato di uccidere il contabile Guillermo Pallomari, capisce di doversi tirare fuori dai giochi. Dopo l’arresto dell’avvocato Joel Rosenthal, prende contatto con Chris Feistl e David Mitchell, agenti della DEA. L’obiettivo, a quel punto, diventa uno solo: catturare Miguel Rodríguez.
Come vediamo in Narcos, il primo tentativo fallisce.
Salcedo vive davvero una situazione al limite. Sembra una storia scritta apposta per una sceneggiatura, invece è la triste realtà del mondo del narcotraffico sudamericano. Chi ha visto la terza stagione ricorderà senz’altro la scena in cui tentano di ucciderlo con un sacchetto di plastica sulla testa.
Stava per succedere una cosa del genere. Iniziarono a escludermi da alcuni meeting e così capii che non si fidavano di me. Quando provarono ad arrestare Miguel per la prima volta, fui io a trovare un modo per farlo scappare. Grazie a questa cosa, mi salvai.
Nel 1995, il secondo tentativo va a buon fine e Miguel viene arrestato. La collaborazione di Salcedo, vero e proprio infiltrato della DEA, assesta un colpo durissimo al cartello di Cali. L’ex capo della sicurezza, dopo aver messo a repentaglio la propria vita, viene trasferito negli Stati Uniti e inserito nel Programma di protezione.
Non sono orgoglioso di quello che ho fatto, ma sono orgoglioso di aver aiutato nella cattura di Miguel e nell’aver abbattuto il cartello. E con lui, l’intero sistema governativo. La cosa bella del lavorare nell’intelligence è questa: quando fai delle cose così grandiose, non puoi dirlo a nessuno.
Salcedo ha confermato la scena in cui Pacho uccide Salazar strappandogli gli arti con le motociclette. “Non erano delle Harley, ma delle Land Cruisers“. Sull’uccisione di Navegante dice invece: “Non so chi l’abbia fatto, forse la DEA, ma in quei giorni io ero nascosto in un bunker con i miei familiari. “. E anche il rapporto col figlio di Miguel è stato davvero quello più complicato: “Lo incontravo spesso ai meeting e alcune volte si lamentava con me del fatto che il padre lo caricasse di troppo lavoro. Gli suggerii di lasciar stare quella vita. Quando poi Miguel disse che lui sarebbe stato il suo successore, divenne un nemico per me. Era imprevedibile, perché doveva dimostrare a tutti, me compreso, di poter occupare quel trono“.