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Perché Narcos è un capolavoro

Pablo Emilio Escobar Gaviria
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Plata o plomo?

I fortunati che hanno visto/vissuto le due stagioni di “Narcos” sono idealmente ancora tutti lì su quel ponte, rapiti, terrorizzati e al contempo estasiati da un uomo spaventosamente crudele ma il cui deviante carisma impone una sorta di rispetto reverenziale.

Questa singola e sottovalutatissima scena basta e avanza per far capire che cosa sia questa serie: una lama meravigliosa, impossibile da non guardare, che piano piano penetra nello sterno dello spettatore facendogli apprezzare il freddo del metallo e imponendogli di diventare testimone delle nefandezze e degli orrori legati al mondo della droga, contrapposta allo struggimento di una pistola carica che non riesce a trovare un bersaglio su cui sfogare i propri proiettili, perfetta rappresentazione di chi vive inseguendo coloro che rendono peggiori le vite delle altre persone, che più del predetto rispetto meriterebbero amore.

Al di là della retorica, “Narcos” è prima di tutto un prodotto televisivo di livello assoluto, criticabile e criticato per alcune imperfezioni storiche, che altro non sono che plancton in un oceano di inquadrature eccitanti, panorami mozzafiato e dialoghi brillanti che hanno contribuito a renderlo un capolavoro…eppure non basta, chi ama la serialità è come Peña e Murphy, vuole andare a fondo, scoprire il più possibile, essere tutt’uno con le ragioni di questo successo.

Hall of Series prova, umilmente, a dire la sua.

Carrillo, Murphy e Peña
Carrillo, Murphy e Peña

La storia, tutt’altro che banalmente, ha avuto un ruolo importantissimo: cosa c’è di meglio di un poliziesco con ambientazione esotica riguardante l’esaltante e drammatica caccia all’uomo nei confronti di uno degli esseri umani peggiori che abbiano mai calcato questo gnocco minerale che ruota attorno al sole, con annessa introspezione psicologica di quest’ultimo che va tanto di moda nell’epoca degli anti-eroi?

C’è tutto! Ogni ingrediente necessario ad estrarre il braccio dallo schermo, afferrare per la collottola lo spettatore e imporgli di fare attenzione è presente nella vicenda di Escobar, il che non toglie nulla a Chris Brancato & Co. che hanno gestito la ricetta in una maniera ai confini della perfezione.

Come si diceva poc’anzi la serie è esemplare dal punto di vista tecnico: le scene sono ragionate in modo da sembrare piccoli affreschi del coloratissimo e selvaggio contesto colombiano, un territorio finora inesplorato dall’industria della cinepresa che si è dimostrato ideale per attirare tutti i curiosi vogliosi di scoprire il più possibile su questa terra “talmente bella che Dio, resosi conto di aver esagerato nel crearla, dovette popolarla di uomini malvagi per riequilibrare la situazione” (semi-cit.). Stesso discorso vale per i dialoghi, studiati in maniera scientifica per risultare sempre e comunque brillanti, il che non li rende affatto beceramente pop, ma li fa risplendere di una luce del tutto innovativa che ha dato una marcia in più al progetto.

L'agente Steve Murphy
L’agente Steve Murphy

Dopo aver parlato di immagini e di scrittura passiamo ai suoni che, manco a dirlo, sono semplicemente unici. La scelta di lasciare così tanto spazio alla lingua originale, che di primo acchito sembrava un’imprudenza, si è rivelata vincente: l’orgogliosa e ritmica cadenza colombiana scandita dagli attori di origine latina ha fornito a “Narcos” l’escamotage perfetto per farlo diventare un prodotto virale. “Volete assaporare fino in fondo il gusto speziato di quest’enorme figata? Allora datevi una mossa a correre dietro ai sottotitoli e guai se vi perdete una sillaba!“, dev’essere stato più o meno questo il pensiero fatto da Brancato e la sua squadra, che oltre ad aver centrato in pieno il bersaglio dal punto di vista commerciale, ha portato il livello qualitativo della serie alle stelle, donandole una credibilità e un fascino (al momento) ineguagliabili.

Menzione d’onore anche per l’italianissimo Francesco Venditti, che ha avuto il privilegio e la bravura di doppiare l’agente Steve Murphy, narratore di tutta la storia: la sua voce magnetica (eredità di papà Antonello?) ci ha guidati nella narrazione come un machete nella giungla destandoci nei momenti di stanca, accarezzandoci sotto il mento quando il pathos lo richiedeva e gasandoci a dismisura accompagnando in maniera impeccabile le azioni dei protagonisti. Questa lode potrebbe sembrare esagerata, ma se questo ragazzo ha passato a pieni voti esami difficili come questo e il doppiaggio di “Deadpool” vuol dire che i nostri timpani saranno in buone mani ancora per molto tempo.

Pablo Escobar
Pablo Escobar

L’ultima (o la prima?) ragione per cui questo prodotto è da considerarsi un capolavoro è l’interpretazione leggendaria del suo cast.

Wagner Moura è stato immenso nei panni di Escobar, delineando perfettamente i contorni di un personaggio cattivissimo al 99%, che però meritava che quel briciolo di umanità in suo possesso venisse mostrato. Il suo sguardo grintoso, quei lineamenti severi, la sua voce primordiale e la mastodontica professionalità (è ingrassato di diversi chilogrammi e ha studiato come un topo di biblioteca per mesi per essere all’altezza di questo ruolo) avrebbero meritato la conquista del Golden Globe, ma i signori dell”HFPA hanno deciso diversamente. Peggio per loro.

Se l’oro è fuori discussione, per l’argento e il bronzo abbiamo un testa a testa furibondo tra Murphy e Peña, o meglio, Boyd Holbrook e Pedro Pascal. Il primo ha fatto per gran parte della sua vita il modello e l’artista, senza smettere mai di coltivare l’amore per la recitazione e a giudicare da quanto si è visto in questa sua prima grande chance è lecito dire che abbia fatto bene perché l’inquietudine, lo struggimento e la forza di quel biondino coi baffi sono sembrati crudelmente veritieri. Chapeau. Il secondo, invece, vantava la straordinaria figura fatta ne “Il Trono di Spade” vestendo i panni di Oberyn Martell (una sottile lacrima bagna le guance di chi vi scrive – un lungo respiro – ok, si può continuare), la quale però necessitava di un ulteriore exploit di grande livello per esprimere un giudizio a 360° sul nativo di Santiago del Cile e, udite udite, il verdetto è che qui si sta parlando di un attore con i controcazzi. Eccezionale nel comunicare con il viso, credibile nelle scene d’azione, piacevolissimo da ascoltare in entrambe le lingue. Well done.

Nella sincera speranza di aver dimenticato qualcosa e che le opinioni dei lettori possano donarmi nuovi aspetti da approfondire in uno degli “x che tende a infinito” rewatch che farò di questa serie, concludo questo mio pezzo, ma non prima di riportarvi su quel ponte:

Argento o piombo? Non dimenticatevi di Narcos, e scegliete chi volete diventare.