Si fa ancora il tifo per gli eroi? Tutti quanti noi siamo cresciuti con gli schemi fissi dei cartoni animati o delle favole che prevedevano quasi sempre la presenza di questo personaggio perfetto in ogni suo particolare, impossibile da non amare, che nonostante qualche difficoltà finiva sempre con l’uscire vincitore da ogni situazione: è quasi stucchevole dire che i tempi sono cambiati (sigh).
Viviamo in un’epoca distorta, dove i canoni cristallizzati di un tempo sono stati perduti e si praticano culti alternativi come quello degli “anti-eroi” e dei cattivi. Si, avete letto bene, nelle forme moderne di narrazione molto spesso è l’antagonista ad essere il preferito dal pubblico; “Narcos” non fa eccezione se è vero come è vero che il suo simbolo (almeno per le prime due stagioni) è stato il faccione di Pablo Escobar/Wagner Moura, uno dei più affascinanti e ben riusciti “villain” della storia. Curioso, perché in teoria l’attenzione andrebbe concentrata su un altro personaggio, tutt’altro che perfetto, ma decisamente degno di essere lodato: Steve Murphy.
Rapido riassunto per i nativi di Marte che non hanno ancora visto la serie: dopo aver rincorso qualche capellone tossico per le strade di Miami, l’agente Murphy venne assegnato dalla DEA (l’agenzia federale antidroga americana) alla gestione del problema dei Narcos, il che significava portare baffi, ciuffo e culo bianco in Colombia. Fin dal primo momento Steve realizzò di essere finito in un mondo completamente ribaltato, “una terra talmente bella che Dio dovette popolarla di uomini malvagi per bilanciare le cose“, dove il crimine e la corruzione avevano raggiunto livelli mai visti prima. Lì fece la conoscenza di Javier Peña, che lo avrebbe affiancato per i successivi anni nella folle caccia a Pablo Escobar, il diabolico puparo dietro il traffico di cocaina.
Come si fronteggia un nemico più furbo, più esperto e soprattutto più ricco di te? Difficile rispondere, soprattutto nel contesto storico di allora (siamo negli anni ’80-’90), perciò si fa e basta, con i pochi mezzi a disposizione e gli ancor meno uomini fidati e incorruttibili che si riesce a trovare. Steve è ovviamente uno di quest’ultimi, testardo e grintoso, solo inizialmente a disagio nella sua nuova realtà e fin dal primo secondo convinto che fermare Escobar fosse la sua priorità. Le minacce alla moglie, l’impiccagione del gatto, i tanti amici persi, il suo stesso rapimento, la perdita di fiducia nelle istituzioni che in teoria dovevano affiancarlo, l’onta di dover tenere le labbra serrate mentre un mare di incompetenti mandava in fumo il suo lavoro: questa non è che una parte delle cose che Steve è chiamato a sopportare, il che la dice lunga sulla sua forza d’animo.
E’ come trainare un camion con solo le proprie forza e il nemico lì, a pochi metri, sorridente e spavaldo mentre fa i suoi porci comodi a scapito degli innocenti e dei deboli, convinto che così facendo finirà con lo scoraggiarti e invece è proprio in queste situazioni estreme che l’eroismo diventa l’unica opzione (a patto che si abbia un briciolo d’integrità morale, of course). Steve non lo fa per i soldi, la sua resilienza non è frutto di meri e vili interessi personali, è la naturale conseguenza della consapevolezza che in quel momento lui è chiamato a risolvere una magagna di proporzioni mondiali!
Questo, ovviamente, condiziona anche la sua vita privata: la sua bellissima Connie è una donna forte quasi quanto lui, ma non le si può chiedere di stare in prima linea per così tanto tempo ed è per questo che i due a un certo punto finiscono col decidere che forse per lei è venuto il momento di lasciare la Colombia e tornare negli States; paradossalmente, al netto del fisiologico struggimento che ogni coppia separata dai chilometri prova, questo fa bene a entrambi perché lei può finalmente trovare un po’ più di pace e lui, novello Atlante, diminuisce un po’ la pressione che gli grava sulle spalle, trovandosi a non doversi preoccupare più per la donna che ama ma solo per la vita dei suoi colleghi, per la sua e per il destino di un’intera nazione. Bruscolini insomma.
Sapete qual è il brutto di tutto questo? Steve Murphy esiste davvero. E’ un omaccione nato 59 anni fa nel Tennessee, con l’espressione magari un po’ meno magnetica di Boyd Holbrook (l’attore che lo impersona in “Narcos“), ma che riesce a comunicarti perfettamente la sua tempra e la sua brillantezza tanto nelle foto di repertorio di quegli anni di caccia quanto in quelle odierne, per lo più risalenti al suo pensionamento datato 2013. Il brutto è che nessuno conosceva quella faccia prima che arrivasse una meravigliosa Serie Tv a raccontare la sua storia, nessuno. Perché l’eroismo deve essere un prodotto di nicchia? Perché non ci sono murales in giro per questo gnocco minerale che ruota intorno al Sole che raffigurano Steve Murphy? Perché sono dovuti passare tutti questi anni prima che la gloria bussasse alla sua porta?
Tutto ciò è triste e sbagliato, due aggettivi che purtroppo si trovano spesso accostati alla normalità, ma se chiedete a lui otterrete probabilmente un largo sorriso e questo tipo di risposta: “Semplicemente non ho mai voluto fare altro nella vita, ho sempre provato ammirazione e amore per il mestiere di poliziotto e per la legge. E’ andata come doveva andare“. Eh si Steve, su questo hai pienamente ragione perché alla fine hai vinto tu, a nome di tutti noi, e anche se non hai ancora ricevuto un sufficiente numero di ringraziamenti, questa soddisfazione te la porterai sempre con te.