Ci sono tanti aspetti di Neon Genesis Evangelion per cui non ci saranno mai abbastanza articoli, mai abbastanza analisi, mai abbastanza speculazioni. La parte action e sci-fi, che virtualmente sarebbe “solo” lo specchietto per le allodole con cui Anno ci introduce alla sua poetica, ma che pure fa da apripista a tante altre opere che portano alle estreme conseguenze il rapporto uomo/macchina; l’intero immaginario che si compone di un glossario proprio, un po’ come Tolkien con Il Signore degli Anelli, e che pertanto crea a sua volta una serie infinita di immaginari; la commistione di riflessioni filosofiche, dal nichilismo e l’oltreuomo di Nietzsche al mito della Caverna di Platone.
Il tema che forse percepiamo più “nostro”, in quanto più vicino al nostro vissuto è probabilmente quello del viaggio interiore di Shinji Ikari. Il suo “progetto di perfezionamento” che si manifesta anche con uno stravolgimento della sua coscienza, dall’innocenza fino agli aspetti più brutali della sua anima. Un percorso che la serie di 24 episodi intraprende in maniera assoluta, definitiva, ma che al tempo stesso trova la sua compiutezza in funzione di The End of Evangelion, il film, l’altra faccia della medaglia di un unico finale.
La storia di questo film è nota. Dopo la fine di NGE, con le ultime puntate volutamente astratte per sopperire alla mancanza di budget e un finale criptico, i fan insorgono, chiedono e pretendono un “vero” finale. Qualche anno più tardi Hideaki Anno lo darà loro, senza stravolgere il senso della serie, ma semplicemente rappresentando in un linguaggio più concreto i temi e i contenuti che la serie aveva già sviscerato. Questo non vale solamente per l’epilogo (che comunque si presta a circa un migliaio di interpretazioni), ma anche per i suoi personaggi e, soprattutto, per Shinji. Laddove la serie si limitava a suggerire il mero presentimento, ecco che il film ne certifica il lato più repellente, più patetico, più fastidioso, più laido. Chi è, dunque, il vero Shinji?
Noi siamo Shinji
Shinji è l’otaku che preferisce masturbarsi invece di uscire dalla propria stanza e conoscere una persona in carne ed ossa; Shinji è i’adolescente così a suo agio con un joypad tra le mani, così a disagio nei rapporti umani; Shinji è il ragazzino privato dell’amore di una madre e che per questa ragione vive in maniera conflittuale il rapporto col genere femminile; Shinji è il bimbo disincantato, privato di una figura paterna, che si affeziona in maniera incondizionata all’unica persona che gli mostra un po’ di gentilezza, poco importa che questi si riveli essere l’ultimo Angelo; Shinji è me, è te, è una minuscola parte in ognuno di noi.
Sembra quasi stucchevole ammetterlo, ma Anno ci conosce più di quanto noi crediamo di conoscere noi stessi. Perché a sua volta ha imparato a conoscere se stesso. È probabile che ciò sia dovuto al delicato momento personale che ha affrontato, poi confluito nella creazione di Neon Genesis Evangelion. Una fase di depressione e di annichilimento individuale che lo ha portato a riflettere sul comportamento dell’essere umano in varie fasi della sua vita. Tra queste fasi l’adolescenza rappresenta senza dubbio un momento liminare, in cui si definisce la consapevolezza del sè e si delinea il nostro personale progetto di perfezionamento dell’uomo. E non puoi, non riesci a dare vita a un capolavoro come Neon Genesis Evangelion se non hai la capacità di guardarti dentro senza compromessi.
Componenti fondamentali del vissuto adolescenziale di ognuno di noi sono l’affettività e la sessualità. In NGE questo aspetto viene colto con diversi riferimenti pruriginosi, talvolta velati, talvolta senza veli. Asuka, Rey, la stessa Misato – in quell’ibrida figura di madre/nave scuola – solleticano a più riprese le pulsioni erotiche di Shinji e degli spettatori (d’altra parte Shinji è il personaggio in cui gran parte degli spettatori si rivedono di più, ha quella specifica funzione e ce ne rendiamo conto nel finale di EoE in cui vengono mostrati esplicitamente gli spettatori al cinema in una “incursione” nella vita reale). La pornografia diventa così uno strumento di accettazione del proprio essere. Questo vale ovviamente per tutti i personaggi, ma viene portato alle estreme conseguenze proprio con Misato e Shinji.
Sono due le immagini che The End of Evangelion ci sbatte in faccia con una violenza destabilizzante. In primis, il bacio tra Misato e Shinji, con la prima in punto di morte. Un ultimo “regalo” ripugnante nei confronti di un ragazzino di quattordici anni con già diversi traumi da elaborare e che, in quel preciso momento della sua vita, non riesce più a distinguere il bene dal male. “Riprenderemo il discorso quando sarai tornato” è un messaggio di congedo ancor più inquietante dell’atto in sè.
Se possibile è ancor più perturbante l’immagine con cui si apre il film, vale a dire l’atto masturbatorio di Shinji sul corpo esanime di Asuka. Se abbiamo già accennato poco più su il senso della critica sociale dietro questa scena (alla voce “otaku”), l’episodio è fondamentale nel delineare “giusto” e “sbagliato”. Entrambi i momenti, a dire il vero, sono necessariamente repulsivi, tanto per i protagonisti di NGE quanto per noi. E se non riusciamo a percepire nausea e disgusto è perché, probabilmente, durante la nostra adolescenza non abbiamo avuto l’opportunità di codificare tali gesti, non abbiamo acquisito un senso del limite.
“Che schifo”
L’episodio avrà una profonda ripercussione sul ragazzino, che apparirà totalmente svuotato per tutto il resto di The End of Evangelion. Quell’atto deprecabile sarà la fine dell’inizio e l’inizio delle fine. Rappresenterà, infatti, al tempo stesso la fine dell’innocenza e l’inizio di un percorso di espiazione che giungerà al culmine con quell’applauso finale di tutti i personaggi, l’immagine con cui si conclude la serie.
Tuttavia è un percorso tortuoso che, anche in questo caso, necessita della narrazione materiale di EoE per rendere bene l’idea. Scongiurato il progetto di perfezionamento dell’uomo, la catarsi di Shinji non può dirsi completa e, infatti, prova a respingere il senso di colpa con la forza. Anzi, con la violenza, sopprimendo i propri istinti avvolgendo le mani attorno al collo di Asuka.
Servirà il primo gesto di affetto, spontaneo, in tutta la serie della ragazza nei suoi confronti per dare il colpo di grazia definitivo a Shinji: una carezza, una manifestazione di dolcezza a cui il ragazzino bisognoso di affetto non può essere insensibile. E infatti cede. Allenta la presa intorno al collo di Asuka, che esprime senza fronzoli la sintesi perfetta della loro relazione. “Che. Schifo”
“Che schifo”. Che schifo ciò che Shinii le ha fatto e che lei sa, lo ha potuto vedere durante il momento in cui tutte le coscienze sono diventate un’unica coscienza collettiva. Che schifo perché, in fondo, entrambi sono attratti l’uno dall’altra e non sono mai riusciti a esprimere a parole i loro sentimenti quando ne hanno avuto l’occasione. Che schifo perché l’adolescenza è fatta di tanti momenti di rifiuto nei confronti degli altri e, a maggior ragione, verso se stessi.
Ma è un gesto di affetto che a volte può sovvertire i pronostici. Quante volte, ripensando alla nostra adolescenza, ci ha salvati dal muro di solitudine che siamo portati a crearci? Neon Genesis Evangelion ha tanti sottotesti, ha tante chiavi di lettura: eppure, nel suo colpirci dritti nell’anima ci completa, rivela quanto di noi stessi sapevamo ma non avevamo mai osato chiedere. È così che qualcosa inizia e qualcos’altro finisce. Benvenuto nel tuo progetto di Perfezionamento.